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Roma. Sahel: punto di caduta dell’imperialismo dell’Unione Europea?

Sahel: punto di caduta dell’imperialismo dell’Unione Europea?

Appuntamento: sabato 26 febbraio, ore 18:00, Casa della Pace (via Monte Testaccio, 22)

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una accelerazione delle tensioni diplomatiche, politiche ed anche militari tra alcuni Stati dell’Africa occidentale e l’Unione Europea, in particolare attraverso il suo pivot militare rappresentato dalla Francia, la quale conta poco meno di 5.000 militari in tutto il Sahel. Mali, Guinea e Burkina Faso sono entrati in “rotta di collisione” con quelli che erano i piani decisi per loro a Bruxelles e Francoforte, ed in parte a Washington.

L’Africa occidentale sta sfuggendo di mano agli “apprendisti stregoni” che hanno concorso alla destabilizzazione della Libia nel 2011, prima scatenando le forze jihadiste, che sono successivamente esondate in tutta l’area, e poi intervenendo militarmente attraverso la NATO. La diffusione delle forze islamiste è servita come pretesto per occupare militarmente una vasta zona, con un notevole impiego di effettivi da parte in primis della Francia, perpetuando la propria politica neocoloniale fatta di espropriazione di materie prime, dipendenza economica, signoraggio monetario con il Franco CFA e subordinazione politica attraverso una élite politica corrotta.

Intervengono:
Abdoulaye Dabo (Mali)
Gando Diallo (Guinea)
Francois Farafin Sandouno (Urgences Panafricanistes)
Giacomo Marchetti (Rete dei Comunisti)

Moderatrice: Mila Pernice

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una accelerazione delle tensioni diplomatiche, politiche ed anche militari tra alcuni Stati dell’Africa occidentale e l’Unione Europea, in particolare attraverso il suo pivot militare rappresentato dalla Francia, la quale conta poco meno di 5.000 militari in tutto il Sahel.

Mali, Guinea e Burkina Faso sono entrati in “rotta di collisione” con quelli che erano i piani decisi per loro a Bruxelles e Francoforte, ed in parte a Washington. Il Mali, in particolare, che era il centro della strategia militare francese, nonché il paese che “ospitava” più della metà di tutti i suoi effettivi nell’area, è venuto ai ferri corti con Parigi ma non solo.

In altri Paesi lo status quo neocoloniale scricchiola a causa delle macerie prodotte da un modello di sviluppo che ha devastato i paesi della periferia integrata alle catene del valore occidentale già prima della “vittoria” della globalizzazione neoliberista.

L’Esagono attraverso il sistema politico, economico e monetario della Françafrique è stato il vettore degli interessi neocoloniali europei in Africa, dove l’Unione Europea sta non solo sperimentando quella “autonomia strategica” a cui anela sul piano militare, ma anche una delle sue principali direttrici di espansione economica attraverso la nuova strategia di investimento europea del “Global Gateway”.

Parigi è stata per così dire “l’ariete” nei territori del suo antico dominio coloniale – su cui non ha mai voluto mollare la presa – per conto della UE, ma anche gli altri Stati europei – compresa l’Italia – hanno contribuito con gli “stivali sul terreno”. Recentemente, il ministro della Difesa italiano, Lorenzo Guerini, ha dichiarato che il Sahel rappresenta “il vero confine meridionale dell’Europa”, sostanziando di fatto le pretese espansionistiche e le influenze politiche dell’imperialismo dell’Unione Europea.

La Germania ha il suo più grande contingente all’estero, circa 1.300 uomini, proprio in Mali, all’interno di due differenti missioni: 1.000 su 15.000 effettivi della missione delle Nazioni Unite MINUSMA, iniziata nel 2013, e più di 300 su circa 1.100 nella missione di Addestramento della UE, EUTM-Mali. La Spagna ha 530 effettivi nella missione EUTM-Mali. Complessivamente le forze “esterne” nella regione ammontano a 25.000 unità.

Il super-Stato europeo in formazione sta incontrando diversi ostacoli alla sua affermazione in quello che pensava potesse essere il proprio cortile di casa: temibili competitor come Russia e Cina, militari “patriottici” che destituiscono i terminali politici locali della Françafrique, movimenti politico-sociali di massa che vogliono continuare il loro percorso di liberazione lì dov’è stato bruscamente interrotto dall’Occidente e dalle sue pedine.

La presenza militare francese attraverso l’operazione Serval, poi divenuta Barkhane, nel Sahel è stata intrapresa nel 2013 con l’intento propagandato della “lotta al terrorismo”. Una narrazione tossica – quella della guerra al terrorismo islamico – che è servita da strumento ideologico per giustificare i nove anni della più lunga ed estesa operazione militare francese dalla Seconda Guerra Mondiale, in maniera non dissimile dalla “war on terror” propagandata da Washington dall’Afghanistan in poi.

In realtà, più che a difesa delle popolazioni civili minacciate e vittime delle violenze perpetrate da gruppi armati jihadisti nella regione, l’obiettivo della Francia è la tutela dei suoi interessi economici e la prosperità dei profitti delle sue multinazionali che depredano e saccheggiano le risorse del Sahel (Total, Areva, Bolloré ed altre ancora).

Sotto il profilo prettamente militare se qualche dirigente jihadista è stato eliminato, l’insorgenza islamica si è diffusa a macchia d’olio e lambisce ormai gli Stati del Golfo di Guinea, e sembra saldamente ancorata in luoghi dove non era mai riuscita a impiantarsi prima.

La complicità e la subordinazione di alcuni governi dell’Africa occidentale al neocolonialismo francese ha trovato una dimensione stabile ed istituzionalizzata non solo attraverso alcune figure politiche, come Macky Sall in Senegal o di Alassane Ouattara in Costa d’Avorio, dentro la gabbia di strutture sovra-nazionali come la CEDEAO e il coordinamento militare del “G5 Sahel”, entrambe entità subordinate agli interessi imperialistici occidentali.

La CEDEAO è responsabile, insieme all’UEMOA, delle sanzioni economiche e finanziarie comminate recentemente al Mali che, di fatto, hanno imposto un embargo dall’impronta decisamente neocoloniale. Dal canto suo, il Mali ha inviato un ultimatum all’ambasciatore francese dopo le osservazioni oltraggiose del ministro degli esteri francese, mentre la Francia e l’UE continuano a discreditare e delegittimare – così come l’Unione Africana – le diverse forme ed espressioni di indipendenza e sovranità che vanno affermandosi nell’Africa occidentale.

Il piano di ridimensionamento dell’operazione Barkhane annunciato a luglio scorso dal presidente francese Emmanuel Macron non aveva come intento quello di un “ritiro delle truppe” dal Mali – come erroneamente scritto dai media mainstream –, ma una sua riorganizzazione e ridefinizione attraverso l’“europeizzazione” dell’intervento militare nel Sahel. La missione Takuba prevede proprio l’impegno delle forze speciali della Francia e dei suoi alleati europei (più il Canada) e rappresenta un ulteriore passo nella costruzione di quell’esercito di difesa europeo identificato come uno dei pilastri della “autonomia strategica” dell’Unione Europea, di cui la Strategic compass è uno dei principali strumenti.

L’allargamento e lo sviluppo della missione Takuba, che secondo i piani di Parigi e di Bruxelles doveva avvenire in buon ordine, hanno conosciuto forti resistenze e mobilitazioni popolari tra le popolazioni di vari paesi dell’Africa occidentale. Il braccio di ferro deciso dalle autorità maliane sul dispiegamento di nuovi contingenti militari europei della missione Takuba – che aveva già portato al ritiro di alcuni contingenti – cerca di invertire le relazioni internazionali che finora hanno determinato un meccanismo di dominio e soggiogamento da parte delle potenze occidentali nei confronti degli Stati africani.

Il 16 febbraio si è tenuto a Parigi un vertice dei capi di Stato dell’Africa occidentale e dell’Europa coinvolti nella task force Takuba, durante il quale Emmanuel Macron ha annunciato la partenza delle forze francesi dal Mali e il loro spostamento nei paesi confinanti, verso il Niger (dove ha già una base aerea ed un notevole dispiegamento di uomini) e il Burkina Faso. Una “ritirata disordinata” di fronte all’incertezza e alla paura crescente che il Sahel possa diventare in prospettiva “l’Afghanistan dell’Unione Europea” (con tutte le differenze del caso). In quattro-sei mesi, secondo le dichiarazioni dell’Eliseo, verrà completato il ritiro dal Mali, ma non dal Sahel dove continueranno a stazionare tra i 2.000 e i 3.000 soldati. Parigi continuerà a dare il proprio supporto aereo e medico alle altre missioni, ma è chiaro che senza la Francia la missione della UE, EUTM e quella ONU, MINUSMA saranno fortemente penalizzate.

L’Africa occidentale sta sfuggendo di mano agli “apprendisti stregoni” che hanno concorso alla destabilizzazione della Libia nel 2011, prima scatenando le forze jihadiste, che sono successivamente esondate in tutta l’area, e poi intervenendo militarmente attraverso la NATO. La diffusione delle forze islamiste è servita come pretesto per occupare militarmente una vasta zona, con un notevole impiego di effettivi da parte in primis della Francia, perpetuando la propria politica neocoloniale fatta di espropriazione di materie prime, dipendenza economica, signoraggio monetario con il Franco CFA e subordinazione politica attraverso una élite politica corrotta.

L’Africa occidentale e, in generale, il continente africano – con tutte le sue sfaccettature multidimensionali, peculiarità regionali e specificità locali – stanno diventando un teatro importante per la competizione internazionale, con un ruolo più marcato per la compresenza della Russia e della Cina, mentre si sta affermando la tendenza verso un mondo sempre più multipolare.

Pensiamo che ciò che sta avvenendo pone con forza la questione di una alternativa politica che prefiguri una configurazione di relazioni tra popolazioni che rompa con la logica neocolonialista. Una logica che vorrebbe imporre il nascente polo imperialista europeo. La prefigurazione di questa alternativa – abbandonando un deleterio “eurocentrismo” – deve comprendere il valore del riemergente forte sentimento di indipendenza e la ripresa di un discorso panafricanista specie tra le giovani generazioni.

Come Rete dei Comunisti ci auguriamo e ci adoperiamo per la sconfitta del “nostro” imperialismo europeo in Africa, come altrove, e la realizzazione di una piena indipendenza e sovranità da parte di quei Paesi soggiogati dal neocolonialismo dell’Unione Europea, dentro una configurazione di rapporti multipolari, in cui la cooperazione tra popoli sia il principale motore di una alternativa politica.

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