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Stacchiamo la spina a questo sistema! Le nuove traiettorie dei piani energetici Ue e l’EmiliaRomagna

Di fronte all’imporsi della crisi climatica, non è più possibile ridurre il problema dell’attivismo ambientalista a qualche etichetta green o ad un semplicistico discorso sull’innalzamento dei livelli di Co2 nell’atmosfera.

È necessario che l’analisi scientifica e politica dei fenomeni climatici venga messa a disposizione della pratica militante, per dare vita a una prospettiva di lotta in grado di trovare una sintesi tra piano generale e lotta particolare, e dunque tra una lettura complessiva degli eventi e lo sforzo di sviluppare battaglie territoriali che siano sabbia negli ingranaggi di questo modello di sviluppo.

L’ambiente, costituito da sistemi complessi in relazione tra loro, sta subendo un progressivo avvelenamento condotto su molteplici piani: l’eccessiva produzione industriale, il consumo di suolo, il modello della grande impresa nel settore
agricolo, l’allevamento, il sovraconsumo di energia ecc… a monte di ognuno di questi problemi ci sono i limiti strutturali del modo di produzione capitalistico, che irrazionalmente produce l’inesorabile conflitto tra capitale e natura.

Come Ecoresistenze ci proponiamo di avviare un percorso di formazione rivolto allo scontro politico su ognuno di questi temi specifici, in relazione alla fase attuale caratterizzata dai rapporti di produzione sociali all’interno del nostro contesto
regionale, nazionale ed europeo.

Giovedì 7 marzo all’Officina del popolo la prima iniziativa, che vedrà come ospiti Vincenzo Balzani, professore emerito di Chimica all’Alma Mater Studiorum, e l’Officina della Ricerca per l’Ambiente.

Negli ultimi due anni, a partire dallo stop ai rifornimenti di gas russo con l’escalation della guerra in Ucraina, la questione energetica è stata al centro del dibattito e della crisi di carattere sociale vissuta internamente dai paesi dell’UE, tra cui anche l’Italia, allora dipendente per il 40% da gas russo. Da quel momento, all’interno dello schema del RePowerEu (che si è sostituito per obiettivi strategici concreti agli obiettivi di facciata del Green New Deal del 2019), si sono tracciate le linee guida della “differenziazione” dei fornitori, nella “sovranità energetica”, e dell’investimento su “fonti green”.

Queste direttive, calate nella realtà di un contesto internazionale caratterizzato da un sempre più marcato multipolarismo a geometrie variabili, nel nostro paese ha riprodotto degli automatismi corroborati: la subalternità agli USA nell’ambito dell’alleanza atlantica (con l’importazione del costosissimo gnl e il potenziamento dei sistemi di rigassificazione nazionale) e nuovi tentativi di abbocco negli stati africani e dell’area MENA (come dimostra il nuovo piano Mattei su cui saranno investiti 5,5 miliardi di euro), rapinata da decenni delle sue risorse naturali, in primis il gas, e oggi teatro di sperimentazioni per le nuove fonti rinnovabili (come il parco eolico concesso dal Marocco ad Enel nel Sahara Occidentale) e gli impianti di cattura di CO2 su cui fanno profitti le aziende energetiche, tra cui nell’ambito del progetto Callisto Mediterranean CO2 network, anche Eni e Snam.

Inoltre, l’incremento dell’investimento su gas e nucleare, inseriti nella Tassonomia green europea – basata, come è evidente, su parametri politico-strategici più che scientifici – ci mostra che la prospettiva è quella di un ancoraggio suicida alle fonti fossili e dello sdoganamento del nucleare per nuovi investimenti che strizzano l’occhio ai soliti ignoti (Ansaldo, Eni, Enel – già destinatari di finanziamenti del PNRR e del RePowerEu), e niente ha a che fare con la “sovranità energetica”, infatti l’uranio, non presente nei nostri paesi, sarà causa di estrattivismo predatorio nell’ambito di ulteriori relazioni asimmetriche tra Europa e paesi africani.

Da questo punto di vista la regione Emilia-Romagna rappresenta il core nazionale delle politiche energetiche, e non a caso ha ospitato a Ravenna l’edizione 2023 del vertice OMC Med Energy Conference. Con la sua posizione strategica – affacciata
sul mar Adriatico e snodo tra nord e sud Italia – è una delle regioni italiane con più impianti onshore e offshore per l’estrazione di gas (insieme a Basilicata e Sicilia, famose entrambe per gli scandali di avvelenamento ambientale legate agli impianti ENI), e ospita numerosi centri di ricerca nucleare, tra cui quello di Enea sul Brasimone, con il nuovo progetto da 50milioni del reattore di quarta generazione.

Paradigmatica la scelta di continuare con i lavori sulla linea Adriatica, metanodotto che passerà sotto i territori alluvionati e terremotati tra Emilia-Romagna e Abruzzo, tra i più sismici e a rischio frana di tutto il paese; così come il nuovo rigassificatore a Ravenna, acquistato sempre da Snam per 367 milioni di euro, e che sarà attivo solo nel 2025, nascendo già vecchio rispetto agli obiettivi di sganciamento dalle fonti fossili sbandierati nei vertici internazionali, e davanti all’incombenza della catastrofe climatica.

All’interno di questo quadro, riconfermato dal nulla di fatto della COP28 che guarda senza speranza al G7 di aprile, come possiamo muoverci sui nostri territori per organizzare una ecoresistenza attiva all’avanzare della crisi? Ne parleremo giovedì 7 ottobre alle ore 18 all’Officina del Popolo Valerio Evangelisti, con Vincenzo Balzani, professore emerito di Chimica all’Alma Mater Studiorum, e i ragazzi dell’Officina della Ricerca per l’Ambiente.

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