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L’Europa dei disoccupati non avrà tregua

Lo andavamo ripetendo da anni, come quei matti che parlano da soli nel deserto. Poi, all’improvviso, quando ti stavi quasi rassegnando all’impossibilità di bucare la cappa d’acciaio della disinformazione ufficiale, ecco la conferma: il tasso di disoccupazione ufficiale, quello stilato secondo i criteri dettati da Eurostat (e dunque utilizzati anche dall’Istat), usato dai governi per misurare l’efficacia o meno delle proprie politiche del lavoro, non fotografa affatto la disoccupazione reale. Che, nell’Unione Europea, è almeno il doppio di quella “certificata”.

Se poi a dirlo è la Banca Centrale Europea, possiamo dire che non ci poteva essere fonte più autorevole. Da oggi in poi, insomma, anche i giornalisti mainstream dovrebbero prendere quei dati con molta più diffidenza (ma siamo certi che non cambieranno “narrazione”.

Per somma soddisfazione di testata, possiamo aggiungere che anche gli argomenti con cui la Bce smonta le statistiche ufficiali sulla disoccupazione sono le stesse che indichiamo da anni. Cosa dice infatti il report interno di Mario Draghi?

Nonostante il generale miglioramento dei mercati del lavoro dall’inizio della ripresa e il marcato declino del tasso di disoccupazione in diversi Paesi dell’eurozona, la crescita dei salari resta debole e questo indica che c’è ancora un notevole livello di sovraccapacità sul mercato del lavoro”.

Che significa? Se i salari non crescono – stando alla normale legge della domanda e dell’offerta – vuol dire che la massa di disoccupati reali è superiore a quella registrata dalle statistiche; altrimenti le imprese, per trovare chi gli serve, sarebbero state obbligate ad offrire un po’ di più.

E dunque le definizioni statistiche – i criteri usati – non inquadrano la realtà. Il tasso di disoccupazione ufficiale, infatti – dice la Bce – “si basa su una definizione rigida del sottoutilizzo della forza lavoro”. Per essere considerato ufficialmente un disoccupato servono infatti tre caratteristiche: non avere un lavoro, dichiarare di essere pronto a lavorare entro due settimane e essere attivo nella ricerca. Non è difficile capire che queste tre condizioni si presentano contemporaneamente con qualche difficoltà…

E infatti la Bce – non un sindacalista di base inferocito! – invita a considerare il peso di altre due categorie: quelli che non hanno lavoro ma, per l’appunto, non si dichiarano pronti o in caccia di un posto, e quanti hanno un lavoretto parti time ma vorrebbero averne uno a tempo pieno, o comunque tale da garantire un salario decente. Normalmente, aggiunge la Bce, “il primo gruppo finisce nella categoria degli inattivi, mentre il secondo in quello degli occupati”. Applausi. E l’invito a verificare quanto scritto da noi, per esempio, qui, qui o qui.

Ne consegue un invito a rivedere le politiche salariali. Ma chi è che può alzare i salari, in questo momento, in Europa? Tutti i paesi sono sotto botta della Commissione europea e della Troika, che esigono esplicitamente una deflazione salariale e la diminuzione dei diritti dei lavoratori (che implicitamente permette di raggiungere lo stesso scopo).

Ma non la Germania… E questo lo hanno capito tutti, tanto che il Corriere della Sera ha affidato oggi a Federico Fubini un editoriale velenosissimo (“Dove sono le riforme tedesche?”, misteriosamente addolcita nella versione online come L’effetto Macron su Berlino) che accusa Angela Merkel di Wolfgang Schaeuble di aver costruito una narrazione sull’infingardaggine degli europei e sulle virtù della Germania completamente falsa.

«Merkel, con discrezione, ha evitato il tema delle riforme fondamentali» e si è limitata a «beneficiare di quelle del suo predecessore Gerhard Schröder». In altri termini, l’ultima modernizzazione del sistema tedesco da parte di un governo è di quindici anni fa. Merkel e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schäuble, hanno messo a segno un grande colpo di pubbliche relazioni convincendo tutti del contrario: la Germania è riformista, altri no.

Peggio ancora. La Germania la scientemente guadagnato da una gestione “austera” della crisi, imponendo di fatto una ristrutturazione vioenta della divisione del lavoro – e del valore – all’interno del Vecchio Continente.

Finora l’immobilismo merkeliano per la Germania ha funzionato. Grazie alle qualità del Paese, ma anche perché durante la crisi la Ue e l’area euro si sono involute in un ingranaggio di afflussi di risorse dalle «periferie» verso il centro tedesco del sistema. La fuga di capitali dal Sud al Nord Europa partita nel 2008 contribuisce a ridurre di 145 miliardi gli oneri da interessi sul debito pubblico tedesco, secondo il ministero delle Finanze di Berlino. I flussi netti di persone da Sud e Centro-Est Europa verso la Germania dal 2011 sono di 1,5 milioni di persone in cerca di un salario decente. Un sussidio indiretto a Berlino visto che, solo in investimenti pubblici, per produrre un laureato in un Paese europeo servono 160 mila euro. C’è poi una terza migrazione, quella del valore industriale da Est: tante componenti dell’industria tedesca si producono nei nuovi Stati membri sulla base di salari quasi sempre sotto i 500 euro al mese da masse di working poor. Quei beni vengono poi assemblati in Germania in prodotti finali che monetizzano solo a quel punto gran parte del valore aggiunto.

Hanno così risparmiato sulla spesa per “servizio dei debito” (interessi sui titoli di stato), hanno raccolto capitali in fuga da paesi che loro stessi avevano “terrorizzato”, ha succhiato giovani laureati a gratis, fanno profitti con componenti prodotti in paesi a basso salario, non investono un euro del loro enorme surplus, non hanno fatto neanche un “riforma strutturale”… e vengono ancora a farci la morale?

Si può capire – ma non solidarizzare – la frustrazione della classe dirigente italica, incarnata nell’invettiva di Fubini, ma non sembra che l’evoluzione andrà nel senso sperato dal Corriere (“il sistema Merkel-Schäuble dà segni di sclerosi: poche forze fresche nel loro partito sotto quei due, con il caso unico di un ministro delle Finanze 75enne che è lì da otto anni e vuole restarci altri quattro. Quel Paese resta un faro in Europa e specie in Italia, per la sua democrazia e per il suo sistema industriale. Ma Macron inaugura una nuova generazione di leader: libera dal veleno della crisi, metterà in causa le sorde resistenze contro un sistema euro più equilibrato”), perché sembra evidente che Emmanuel Macron sia stato il candidato “europeo” (ossia tedesco) scelto per normalizzare la Francia, non il nuovo sangue vitale francese orientato a mettere le briglie a Berlino.

La contemporanea intervista di Repubblica proprio a Wolfgang Schaeuble indica infatti la piena soddisfazione del vecchio cerbero teutonico: “Macron e io la pensiamo esattamente allo stesso modo, specie sull’istituzione di un ministro delle finanze europeo (sul modello di Lady Pesc per la politica estera) che abbi ail potere di mettere le mani sulle leggi di bilacio dei singoli Stati. Ancora più espicitamente: “Il trasferimento di pezzi di sovranità nazionali all'Europa non è mai fallito per colpa della Germania o l'Italia, ma piuttosto della Francia. Il presidente Macron e io siamo totalmente d'accordo su questo: ci sono due modi di rafforzare l'eurozona: cambiare i Trattati oppure farlo con pragmatismo attraverso l'intergovernativo. Modifiche dei Trattati richiedono l'unanimità e la ratifica nei Parlamenti nazionali o in alcuni Paesi addirittura un referendum. Siccome al momento non è realistico, dobbiamo provare ad andare avanti con gli strumenti esistenti, dunque attraverso uno sviluppo del trattato che regola il fondo salva-Stati Esm.

Volete la traduzione? Non è difficile… L’unico modo di prendere il controllo delle finanze continentali, togliendolo ai singoli governi, è evitare di far votare questa decisione ai parlamenti, o addirittura ai popoli (ogni referendum “europeo” è stato sepolto sotto valanghe di NO). Ci metteremo d’accordo tra governi, trasformando il “fondo salvastati Esm” in un vero e proprio Fondo Monetario Europeo, in grado di strangolare più efficacemente ogni paese nel caso vengano eletti governi “sbagliati”.

Vi sembra poco democratico? Lo è, naturalmente. Ma Scaheuble è disposto a darvi un contentino: “con i parlamentari del Parlamento europeo si potrebbe creare un Parlamento dell'Eurozona. Che potrebbe avere un potere consultivo sul fondo salva-Stati". Per chiarezza: un “potere consultivo” è quella cosa per cui si può dare un parere, ma quell’altro se ne può altamente fregare.

Ok, ma i disoccupati reali da cui siamo partiti? Beh, per quelli non c’è una soluzione. A Schaeuble e soci – come lamentava Fubini – va tutto benissimo così com’è…

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