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Eurostop: dalla piattaforma a movimento

Il dado è tratto e la giocata fa ben sperare: dopo una lunga, necessaria fase di studio, costruzione teorica, confronto ed esperienze comuni di lotta, la Piattaforma Sociale Eurostop si costituisce in movimento organizzato.

L’assemblea è prevista a Roma per sabato prossimo 1 luglio ed è un appuntamento al quale non dovrebbero mancare la presenza e il contributo – foss’anche critico – ma costruttivo di tutte le forze che mirano alla ricomposizione di una sinistra autentica, in grado di affrontare una sfida che diventa purtroppo di giorno in giorno più feroce.

Non importa su quali numeri potrà immediatamente contare, quali forze potrà mettere in campo al momento. Questo non dipende solo dai promotori.

Importa che finalmente qualcosa di concreto si muova a sinistra e per la sinistra di classe, per i movimenti sociali che hanno come stella polare il conflitto e per quanti hanno ormai maturato la convinzione, pienamente fondata, che l’Unione Europea non solo non è la soluzione dei nostri mali, ma rappresenta la causa principale dei problemi e delle sofferenze dei ceti subalterni.

La definizione che Eurostop dà di se stesso è allo stesso tempo aperta, inclusiva, ma anche così netta, da non lasciare spazio ad equivoci ed ambiguità. Il nascente movimento si definisce «sociale e politico» e chiama a raccolta «persone, organizzazioni sindacali e politiche, movimenti civili, sociali, ambientali, che agiscono sulla base della democrazia e del consenso, in coerenza con gli obiettivi, i principi e i valori […] delle regole condivise».

Di fronte a un’iniziativa che riconosce come sua prima trincea quella della rottura con la NATO, arma puntata contro la sicurezza di chiunque si azzardi a contrastare le rinascenti velleità imperialiste del capitalismo, è difficile scegliere di stare altrove.

Anche perché Eurostop, preso atto della irreversibile trasformazione dell’UE, che non è più, se mai lo è stata, «l’Europa dei popoli», ma ha il volto inaccettabile dell’«Europa delle banche», riconosce in questo autentico mostro liberista il principale pilastro delle politiche di austerity.

La scelta di campo è inevitabile e conseguente: Eurostop si schiera contro una globalizzazione intesa come processo di distruzione di diritti e conquiste sociali che costituivano la sola e più autentica eredità della migliore storia della sinistra.

Una convinzione che non lascia spazio a dubbi: Eurostop intende costruire la via per l’abbandono dell’Euro e la rottura dell’Unione Europea, non per questioni di «nazionalismo», ma come unico, indispensabile strumento in grado di rovesciare le politiche di austerità e mandare in frantumi la globalizzazione liberista, che non solo ha fatto tabula rasa dei diritti dei lavoratori, ma mette in discussione la stessa democrazia borghese e le costituzioni di ispirazione antifascista, nate dopo la seconda guerra mondiale.

Anche qui è onestamente difficile capire eventuali riserve che non riguardino eventualmente i tempi e gli strumenti con cui giungere allo scopo. Sugli obiettivi, non c’è più tempo per discutere. Al di là di ogni comprensibile prudenza, la contemporanea presenza a Roma dell’appuntamento voluto da Giuliano Pisapia, non consente titubanze. La sedicente sinistra del cosiddetto «Campo progressista» non è solo una iniziativa di riciclaggio di fuorusciti dal PD renziano, ma il tentativo di passare una mano di vernice rossa sui protagonisti di quell’autentica macelleria sociale messa in azione al grido osceno che ancora risuona nel Paese semidistrutto: «l’Europa lo vuole».

Una responsabilità storica che nessun appuntamento romano potrà mai cancellare!

Il processo che si apre ha dalla sua la sola forza che assicura la vita di una iniziativa politica: la sua necessità storica. Su questa base potrebbe ben presto diventare un invito a riflettere per quanti, in buona fede, seguono le speranze suscitate da Varoufakis, destinate a fare i conti con una realtà che purtroppo non consente a nessuno di inseguire sogni.

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