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Violenza sulle donne afghane, la legge e la beffa

La norma venne  votata nel 2009 e teoricamente appare  perfetta. Nei vari articoli prevede condanne per: gli assalti sessuali (art.17), l’induzione alla prostituzione (art.18), le ustioni prodotte con sostanze chimiche (art. 20), le automutilazioni e la spinta al suicidio (art. 21), le disabilita’ provocate (art. 22), le percosse (art. 23), per non parlare della negazione di accesso all’educazione (art. 35) che risulta diffusissima. Di fatto la legge rimane come un bel soprammobile riposto in una sorta di credenza giuridica nazionale. Un mobile polveroso e abbandonato alle consuetudini. Infatti purtroppo le donne continuano a morire, a subire i soprusi delle pratiche tribali e del pasthunwali  anche quando, fuggendo da mariti o da uomini che attentano alla loro vita, trovano riparo nei pochi shelter messi a disposizione delle associazioni che si battono per i diritti al femminile.

Lo denuncia Selay Ghaffar, direttrice dell’Humanitarian Assistance Women and Children of Afghanistan, con la forza di un’appassionata battaglia condotta da anni all’interno del suo Paese e nei rapporti con la comunita’ internazionale che tali diritti dovrebbe sostenere. La Ghaffar dichiara “Si tratta di una legge di sola facciata che vede proprio i rappresentanti delle istituzioni, i ministeri di Giustizia e Affari sociali e direttamente il premier ben lontani da qualsivoglia intento di reale applicazione che ovviamente dovrebbe offrire consequenzialita’ a possibili denunce con indagini della magistratura e azioni repressive rivolte ai responsabili dei crimini commessi, misure che sono assolutamente assenti. Pesanti intimidazioni vengono lanciate alle associazioni impegnate nella gestione dei luoghi di rifugio per donne che fuggono dalle violenze domestiche. Due anni or sono molte di queste case sono state minacciate di chiusura perche’ accusate di promuovere la prostituzione. Avete capito bene: alcuni potentati degli affari e della guerra provavano a intralciare l’importante impegno di recupero umano e sociale di ragazze e madri abusate con l’accusa piu’ infamante”.

Un tentativo che alla lunga e’ stato bloccato, ma che ha fatto perdere tempo prezioso e ha ricreato un clima di terrore soprattutto per le giovani che subiscono la ritualita’ dei matrimoni combinati, pena quei comportamenti che dovrebbero essere perseguiti dai commi citati. La Ghaffar sottolinea ”La carenza e al tempo stesso l’utilita’ di una reale riforma del sistema giudiziario” verso cui nella cosiddetta “Missione di pace” Isaf – sostenuta e finanziata trasversalmente dai governi a guida berlusconiana, prodiana e montiana – l’Italia era impegnata a  predisporre appunto la formazione giuridica di taluni procuratori afghani. Il progetto, avviato nel 2007, da un paio d’anni sembra caduto nel vuoto. E il settore giudiziario locale e’ una delle spine nel fianco della societa’ civile afghana che vede scoperti settori bisognosi d’aiuto, come questo dei diritti delle donne.“Ahnoi, l’impegno in tal senso avra’ tempi lunghi – aggiunge Ghaffar con un sorriso accattivante e motivato – ma siamo caparbie e motivate e proseguiremo a riprorre il tema. Certo la comunita’ internazionale, il vostro Paese e la vostra  cooperazione che hanno a Kabul una presenza stanziale potrebbero offrirci un aiuto concreto…”

Domanda girata ai rappresentanti in loco: l’ambasciatore Luciano Pezzotti e il responsabile della cooperazione italiana Maurizio Di Callisto che assicurano d’interessarsi a futuri progetti. Interessate sarebbero anche le donne presenti in Parlamento, 69 in tutto, ma quelle pronte a dar battaglia, come Belquis Roshan, dovranno riconquistarsi con fatica un seggio, visto che nel suo caso Roshan si presentera’ da indipendente, priva dell’appoggio di un partito. Nel 2009 riusci’ nell’impresa nella provincial di Farah, alle elezioni del 2015 bisognera’ vedere. Le tante donne che la seguono e la votano temono che possa finire come la famosa Malalai Joya, espulsa dal Parlamento per le sue aperte denunce ai Signori della Guerra, due di loro (Fahim, Khalili) ora sono addirittura vicepresidenti al fianco di Karzai. E molti temono che anche Roshan possa  diventare oggetto di attentati. Malalai ne ha subiti ben otto, tutti andati a vuoto. Gli stessi Taliban ormai potrebbero aver archiviato la criminale intenzione di decretarne la morte. Ovviamente lei continua a vivere un’esistenza blindata, a Kabul e fuori.

Da Kabul, Enrico Campofreda, 10 marzo 2013

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