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Germania in piazza contro il trattato Ttip

I giornali mainstream sanno essere molto discreti, certe volte. Per esempio, se centinaia di migliaia di persone manifestano da qualche parte si limitano a dare le cifre della questura (oscillanti tra il 10 e il 30% dei manifestanti reali). Se poi le manifestazioni avvengono altrove, allora non c’è quasi necessità di darne notizia, a meno che non si concludano con una strage.

Può dunque capitare che la Germania – ieri, 10 ottobre – sia attraversata da centinaia di migliaia di persone che protestano contro il trattato Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip), ancora in corso di negoziazione) e che allaa notizia siano dedicate poche righe, ovviamente sminuenti l’evento.

Un esempio? L’Ansa, l’agenzia “ufficiale” da cui tutti gli altri media riprendono sia la notizia che l’”impostazione”, si limita a dire che sono scese in piazza un po’ più di 100.000 persone, che hanno risposto alla convocazione da parte di 16 organizzazioni della “società civile”, a partire da Greenpeace, Oxfam e la Confederazione dei sindacati tedeschi. Pudicamente si aggiunge che tutte queste persone e organizzazioni “temono che il trattato possa abbassare gli standard di qualità, sicurezza e tutela ambientale, nonché mettere in pericoli i diritti dei lavoratori”.

Non c’è che dire, trattano molto peggio gli scioperi dei tranvieri o le assemblee sindacali che si svolgono in Italia, criminalizzati a prescindere. Ma si sa, i tedeschi meritano un occhio di riguardo…

Non troppo, però, se si muovono – a livello di “società civile” – contro un negoziato che qui da noi viene descritto come in non plus ultra delle possibilità di far ripartire la mitica crescita che non si vede mai (da otto anni a questa parte).

Qualcuno meno stupido, davanti alle foto provenienti da Berlino, ammette che “ameno 250.000 persone” hanno percorso le strade della capitale. E molte altre – niente numeri, per carità – quelle di altre città di primo piano.

Il fatto è politicamente enorme. La popolazione “cosciente” del paese-guida dell’Unione Europea si oppone a una trattato che punta a istituire un zona di libero scambio sul modello dell’Unione di oltre 25 anni fa, prima che si cominciassero a costruire strutture di governance a-democratica e semi-dittatoriali.

20151010 133356 1BF6F531Ci vogliamo chiedere perché? Secondo noi perché hanno visto cosa sta accadendo agli altri paesi europei, una volta che il libero scambio – senza più barriere tariffarie e adottando la stessa moneta – è andato a regime. Come previsto da qualsiasi manuale di macroeconomia, i sistemi produttivi dei paesi relativamente più arretrati hanno cominciato a sgonfiarsi (tra fallimenti, acquisizioni dall’estero, riduzione della produzione, ecc). E i comparti, o le singole aziende, più competitive sono stati risucchiati nelle filiere industriali più avanzate, perdendo comunque autonomia strategica e diventando “contoterzisti” delle aree più sviluppate (la Germania, naturalmente, oltre a qualche propaggine francese, olandese, ecc). Questo declino industriale si è ovviamente tradotto in riduzione dell’occupazione, della sua stabilità, delle retribuzioni e dei diritti. Con ovvie e drammatiche ricadute sulla coesione sociale, i flussi migratori verso le aree top, ecc. La Grecia fa da laboratorio estremo, ma in Italia, Portogallo, Spagna, Irlanda o persono Francia, non è che le cose vadano molto meglio.

Questo i normali cittadini tedeschi mediamente informati l’hanno capito benissimo perché si sono accorti che il loro standard di vita è rimasto mediamente più alto grazie a prodotti a basso costo provenienti dai Piigs euromeridionali, nonché dai nuovi schiavetti dell’Est europeo, nonstante un congelamento salariale ultradecennale.

thumb800 176-0-3379-2402 148E94008F2529F2Il Ttip, ovvero l’integrazione economica totale con gli Stati Uniti (più Canada e Messico), non può che distruggere anche questo residuo di “modello europeo” sopravvissuto all’austerità imposta a tutta Europa. Cambiando oltretutto gli standard qualitativi del mercato alimentare (via libera agli ogm di ogni prdine e fantasia), quelli relativi ai servizi sociali e al welfare, ecc. Anche lo scandalo Volkswagen, a suo modo, è un anticipo di Ttip, sebbene rovesciato (le motorizzazioni diesel, negli Usa, non hanno mai avuto grande spazio nel mercato automobilistico, proprio a causa della fissazione di standard più rigidi – e controlli più seri – di quelli adottati nell’Unione Europea, dove l’industria tedesca detta letteralmente legge, ovvero le “direttive” di Bruxelles).

È comunque un bene che larga parte del popolo tedesco abbia cominciato a mobilitarsi in massa per cercare di convincere il proprio governo – che altrettanto detta legge a livello politico nella Ue – a mettere la parola fine al trattato Ttip.

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Il problema è tutto nostro, italiano ma non solo. Qui si è msso finora molto poco, con forze come noi minoritarie. Si vede che, al contrario di quanto compreso dai certo non agguerriti sindacati tedeschi, nei sindacati “ufficiali” nostrani non esiste più neppure un centro studi in grado di segnalare i pericoli per il normale funzionamento del sistema…

 

 

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