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Turchia: il colpo di stato è servito

Quella del ‘sultano’ Erdogan è stata una vittoria netta, rapida e completa. Con ben 376 voti a favore – nove in più del necessario – e solo 140 contrari, venerdì il Parlamento turco ha approvato un provvedimento senza precedenti che di fatto revoca l’immunità parlamentare dei deputati rinviati a giudizio. Il regime ha ottenuto forse di più di quanto sperasse alla vigilia del voto parlamentare: è riuscito infatti a coinvolgere nell’approvazione della misura liberticida anche molti dei parlamentari della cosiddetta opposizione – in particolare quelli del partito nazionalista di destra Mhp – rendendo quindi la legge immediatamente esecutiva dopo la firma del presidente della Repubblica, che l’ha fortemente sostenuta, e rendendo invece non necessaria la ratifica attraverso un referendum popolare che secondo la costituzione di Ankara sarebbe stata obbligata nel caso in cui i parlamentari favorevoli fossero stati meno dei due terzi. A parte i consueti scambi di accuse e controaccuse tra i fautori del provvedimento e gli oppositori, l’Akp è riuscito a far passare la misura in tempi record, prima che venga nominato il nuovo primo ministro che sostituirà il dimissionato Davutoglu con un esponente dell’establishment ancora più fedele.

Ovviamente Erdogan non è riuscito a contenere il suo entusiasmo, definendo ‘storico’ il voto di venerdì: “Il mio popolo non vuole vedere in questo Parlamento dei deputati colpevoli di aver commesso dei reati, e soprattutto quelli che sostengono l’organizzazione terroristica e separatista” del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk).

Dalle stesse parole del ‘sultano’ emerge che il vero obiettivo della revoca dell’immunità ai deputati non è certo quello di ripulire l’assemblea nazionale di corrotti – molti dei quali militano proprio nelle file del partito di governo – ma di espellere e mandare in galera un buon numero di deputati di sinistra e curdi, quelli eletti nelle liste del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), bersaglio dichiarato della nuova escalation repressiva.

Se teoricamente sono ben 138 i deputati che la nuova legge permetterebbe di processare, c’è da giurare che saranno i 50 – su 59 – della formazione che raccoglie i movimenti nazionalisti curdi e alcune sinistra turche a finire sul banco degli imputati. E non certo per reati di corruzione, ma per aver difeso il proprio popolo e aver denunciato la brutale repressione da parte del regime, la sistematica violazione dei diritti umani e politici di milioni di curdi e turchi, il sostegno al jihadismo in patria e all’estero contro i propri nemici. Denunce politiche che secondo i tribunali del regime configurerebbero però il reato di ‘incitamento alla violenza’, ‘sostegno ad organizzazione terroristica’, ‘attentato all’unità del paese’ e quant’altro. Certo, la legge concede al regime un ampio margine di manovra per controllare e ricattare tanto i deputati della maggioranza quanto quelli delle opposizioni ‘embedded’, e ogni tanto anche qualche esponente dell’Akp, dei repubblicani del Chp o del sempre più in crisi Mhp potrebbe subire gli strali di un presidente sempre più potente e forsennato.

La legge imposta da Erdogan, inoltre, non mira solo a ridurre al lumicino l’agibilità di un partito, l’Hdp, che verrebbe di fatto scaraventato fuori dalle istituzioni (nonostante i 4 milioni di voti conquistati a giugno del 2015) senza però obbligare il regime a mettere fuori legge il Partito Democratico dei Popoli come fu fatto in passato anche dai regimi laici e nazionalisti nei confronti delle forze politiche della sinistra curda. La revoca dell’immunità parlamentare e quindi l’espulsione dal parlamento dei deputati nel mirino del regime consentirà ad Erdogan anche di snaturare gli equilibri usciti dalle ultime elezioni, quando gli islamisti si aggiudicarono una netta vittoria grazie alla ripetizione di elezioni improntate a una massiccia campagna di destabilizzazione e condizionamento del voto, senza però ottenere quella maggioranza in grado di permettere all’Akp di imprimere una svolta ancora più reazionaria alla Costituzione. Costituzione che Erdogan vuole ‘riformare’ per aumentare i propri poteri all’interno di un quadro iper-presidenzialista.

Non è un caso che le sinistre radicali e i movimenti curdi stiano apertamente accusando Erdogan e la sua cerchia di perseguire un vero e proprio colpo di stato.
“Per la stabilità interna di ogni democrazia, è bene che ogni minoranza possa essere rappresentata in Parlamento” ha commentato senza particolare enfasi il portavoce del governo di Berlino, Steffen Seibert, precisando che la questione verrà “certamente affrontata” nell’incontro fra Erdogan e il Cancelliere Angela Merkel in programma domani.

Ma assai ipocrite appaiono le preoccupazioni espresse dalla cosiddetta comunità internazionale ed in particolare dalla Germania, che hanno regalato ben 6 miliardi di euro ad Ankara in cambio del controllo dei flussi migratori, dando il via libera alla creazione di veri e propri campi di concentramento per migranti sul suolo turco e sorvolando sulla brutale repressione di ogni dissenso interno, oltre che sullo sterminio di centinaia di civili curdi da parte dell’esercito turco nelle regioni anatoliche del paese. Senza i deputati curdi ad amplificare a livello interno ed internazionale le denunce sui massacri a Cizre, Diyarbakir e nelle altre città target dei bombardamenti delle forze armate turche, l’esercito di Ankara avrà mano ancora più libera.

Nel frattempo i Ministri degli Interni dell’Unione Europea hanno adottato il cosiddetto “freno di emergenza”, ovvero la possibilità di mettere fine velocemente all’esenzione del visto per i cittadini turchi, considerata da Ankara una condizione indispensabile per l’accordo sui migranti e peraltro non ancora entrata in vigore dopo il rifiuto del regime turco di addolcire la legislazione d’emergenza come chiesto da Bruxelles.

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