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Il lungo braccio di ferro con Macron

Il braccio di ferro continua. Quindicesima settimana. Il movimento non si è diluito nel grande dibattito, né disperso sotto il bombardamento della diffamazione all’antisemitismo, né nell’entusiasmo per il Presidente dimostrato dagli agricoltori felici del loro destino al Salone dell’Agricoltura. Dopo il quale, l’incontro generale del 16 marzo si fa strada nella mente dei cittadini. Questo si unirà nelle stesse strade ai Gilets Jaunes che marceranno per la lotta contro il cambiamento climatico.

Riassumiamo questa concomitanza con uno slogan: “se il clima fosse una banca, sarebbe già salvo“. E “fine del mese, fine del mondo, stessi colpevoli, stessa battaglia“.

Questo è un momento prezioso perché dà alla sequenza politica tutta la sua portata, riunendo in un unico stato d’animo i due fronti del nostro tempo: la lotta contro le disuguaglianze e quella contro il modo di produzione che distrugge l’ecosistema. In queste condizioni, l’idea che ci sia un interesse umano generale si diffonde in profondità e con essa l’idea che il collettivo sia la soluzione.

Sono stati alcuni dei giorni più tristi che abbiamo vissuto da molto tempo, come militanti politici. Perché la grossolana strumentalizzazione politica della lotta contro l’antisemitismo per appassire i Gilets Jaunes è stata fatta in gran parte anche sulle spalle degli insoumis. E questo con tutta la solita violenza degli infiniti loop mediatici. In effetti, l’operazione è così visibilmente cucita dal filo bianco della propaganda che risulta evidente.

Il risultato, tutti noi l’abbiamo avuto davanti ai nostri occhi con quella serata fallimentare a Place de la République. Troppe persone hanno avuto l’impressione di essere manipolate. Sono stati smobilitati dall’idea che manifestare contro l’antisemitismo sarebbe stato anche manifestare contro i Gilets Jaunes e i gli insoumis. Molti probabilmente avevano in mente questa forte affermazione di Jérôme Rodrigues, l’uomo vicino a Drouet e accecato da Castaner: “I miei due nonni indossavano il pigiama a righe. Quindi basta con l’accusa di antisemitismo”.

Sul posto, molti partecipanti hanno anche mostrato la loro insoddisfazione verso le manipolazioni. Quando la milizia “Lega per la Difesa Ebraica” è venuta ad insultare i nostri funzionari eletti per cacciarli via, come avevano già fatto alla marcia per Mireille Knoll, la gente intorno  si è arrabbiata con lei. Perché a cosa serve inventare degli antisemiti quando ce ne sono già tanti, secondo quelle stesse persone? Al punto che alcuni editorialisti, rendendosi conto dell’assurdità della situazione, hanno avuto il coraggio di provare a far tornare indietro i colleghi. Una perdita di tempo.

Apolline de Malherbe, poco fantasiosa, ha apparecchiato la tavola con totale irresponsabilità anche questa domenica ospitando Adrien Quatennens: un quarto d’ora di trasmissione sul tema delle presunte “ambiguità” degli insoumis e naturalmente dei Gilets Jaunes.

E, questo lunedì, “Le Parisien” si è ancora impegnato in un’odiosa campagna di panico sulla prima pagina del giornale. Fare della Francia un paese antisemita dove ogni ebreo sarebbe in pericolo è vergognoso. Ma soprattutto, è così falso che tutti si chiedono spontaneamente quale sia il significato di questa campagna. Soprattutto perché è stata immediatamente utilizzata dagli ambienti radicali per aumentare il vantaggio e ricominciare con l’insopportabile rivendicazione di uguaglianza tra antisemitismo e opposizione al sionismo.

Questa richiesta è apparsa rapidamente come un divieto di criticare la politica del governo israeliano. Un diritto che gli israeliani stessi usano il più possibile, e per buone ragioni, contro il governo di estrema destra del loro paese. Quindi molta gente si chiedeva quale fosse lo scopo di tutto questo.

Questa domanda e le sue risposte rimangono nell’ombra del non detto, del non discusso. Un buio cupo e disastroso. C’è un modo per fare finta di combattere l’antisemitismo, che lo alimenta direttamente.

Tuttavia, per gli insoumis, questa settimana è stata un momento importante di proposte. Avevamo il controllo sull’ordine del giorno dell’Assemblée Nationale. Abbiamo quindi presentato sei proposte legislative, mettendo al primo posto della nostra agenda l’introduzione del referendum d’iniziativa cittadina. E’ stata portata nell’emiciclo la voce della società, che lo reclama da quindici settimane.

Tutto questo lavoro è stato quasi cancellato in parte dalla terribile campagna di diffamazione gratuita montata contro di noi. Ma i dibattiti hanno avuto i loro ascoltatori e i risultati sono stati portati all’attenzione dei destinatari. In questo senso, è stato marcato il punto che dimostra a tutti come un’altra politica sia possibile e che ci siano persone in grado di portarla avanti.

La campagna per le europee è un’altra occasione per Macron per tentare di cancellare le tracce del movimento dei Gilets Jaunes. In testa nei sondaggi, pensa di arrivare primo alle elezioni e il voto dell’estrema destra gli sembra essere un valido vis-à-vis. In questo modo, prevede di rimettere a zero i contatori prima dell’estate e riprendere l’offensiva sociale questa volta contro il sistema pensionistico.

Il fatto che queste elezioni siano alla fine un referendum su Macron stesso è un’idea che sta guadagnando terreno. Ma non abbastanza velocemente o abbastanza forte. Parte della nostra attenzione è così fortemente investita nell’azione dei Gilets Jaunes che le elezioni sembrano fuori tema e fuori portata. Il nostro obiettivo non è quello di opporsi ai tempi politici, ma di farli lavorare insieme. La nostra particolare responsabilità come movimento politico è in questo lavoro di esploratori, che consiste nel rendere visibili le opportunità che si danno.

E sviluppiamo un buon ritmo di lavoro. Tra le venti e le trenta riunioni settimanali in tutto il paese con priorità assoluta per le piccole città. L’Holovan circola con i suoi ologrammi, sempre fuori dai sentieri battuti e ribattuti, per quanto riguarda luoghi e forme espressive. A differenza di giornali pieni di odio come “Le Parisien” e “Le JDD”, che scrivono su di noi solo per infangarci, la stampa locale non si astiene dal sorridere e dal parlarne.

In questo modo, che siano o meno d’accordo con noi, si crea la consapevolezza che c’è un’elezione e una sfida. É la cosa migliore che possa accadere per noi. In ogni caso, questo ci sarà utile perché, secondo i sondaggisti, siamo la famiglia politica meno mobilitata da questa elezione. Non riesco a crederci se mi attengo agli indicatori di attività che abbiamo online sul sito web degli insoumis. Ma lo trovo uno stimolo all’azione. Naturalmente, non sono ingannato dal valore di tali inchieste, che Manuel Bompard ha descritto nel suo blog. Ma intendo anche fare affidamento su di loro per chiedere a tutti di salire sul ponte. La chiave del successo è lì. E aprirà la porta giusta per il futuro.

Il “grande dibattito”: che danno!

Infatti, il “grande dibattito”, un’operazione messa in atto da Macron per sciogliere il movimento dei Gilets Jaunes, è un fiasco. Non solo perché non ha affievolito nulla. Ma come dibattito stesso. L’interminabile discorso e la cosa del “signore, ho una risposta a tutto” ha ucciso il gioco stesso. Tanto che i suoi promotori sono ora costretti a soffiare molto forte nel palloncino per dargli forma.

Così, il ministro Sébastien Lecornu, responsabile dell’organizzazione di questa consultazione, ha twittato con orgoglio che il sito web aveva “un milione di contributi”. Voleva ingannare tutti con quel numero. Per primo ha reagito Alexis Corbière,  andando sul sito per vedere di cosa si trattasse. Un milione di click, davvero. Solo che anche una sola persona può inviare più contributi in ciascuno dei quattro temi proposti. E in effetti hanno effettivamente partecipato solo 175.000 persone diverse. E 53.000 hanno risposto solo a questionari veloci. Se si contano solo quelli che hanno dato un contributo “dettagliato”, siamo a 122.000. 122.000 persone è l’1,4% del numero di elettori di Emmanuel Macron al primo turno delle elezioni presidenziali. Il suo partito vanta 411.000 membri, quasi 4 volte di più dei “contributori”.

In fondo, la consultazione dei cittadini organizzata nel 2018 dalla France Insoumise per l’uscita dal nucleare è riuscita a raccogliere 314.530 elettori in una settimana, 192.530 in più del “grande dibattito”.

Quindi è un flop totale. E come potrebbe essere altrimenti? Non è necessario essere degli esperti per rendersi conto che i dadi sono truccati.

In primo luogo, il dibattito è iniziato con l’eliminazione della Commissione nazionale, considerata troppo indipendente. Alla fine di gennaio, la sua presidente, Chantal Jouanno, ha dichiarato pubblicamente che il dibattito era “distorto” e che si trattava in realtà di una “operazione di comunicazione”.

Poi i questionari proposti dal governo sul sito web sono orientati in maniera caricaturale. Pertanto, per quanto riguarda la protezione sociale, lascia ai contributori solo tre opzioni tra cui scegliere: “innalzare l’età pensionabile“, “aumentare l’orario di lavoro” o “rivedere le condizioni per la concessione di determinate prestazioni sociali“. Il liberalismo è l’unica opzione presa in considerazione.

Queste domande molto chiuse, scritte dall’Eliseo, non lasciano spazio alle rivendicazioni dei Gilets Jaunes.

Non appena l’operazione è stata avviata, Macron ha detto no al rpristino dell’ISF [Impôt de Solidarité sur la Fortune, una tassa sui grandi patrimoni, ndt]. Per quanto riguarda il referendum d’iniziativa cittadina, i deputati macronisti hanno respinto il disegno di legge degli insoumis sull’argomento senza nemmeno discuterne.

In realtà, tutto questo è solo un pretesto per il Presidente della Repubblica per fare campagna elettorale sottraendosi a tutte le regole di parità in materia. Con il pretesto del “grande dibattito”, abbiamo avuto il piacere di interminabili monologhi del monarca trasmessi per intero e senza interruzioni da tutti i canali di informazione continua. Dal 15 gennaio, 34 ore di monologo per Macron, senza commenti o contraddizioni. E tutto questo accade durante il periodo della campagna elettorale.

Alexis Corbière chiede quindi di integrare gli spettacoli del Presidente nei conti della campagna elettorale per le elezioni europee oppure la sospensione della loro trasmissione televisiva. Questo è l’unico modo per garantire il pluralismo politico.

In ogni caso, il pubblico di questi spettacoli è sceso rapidamente, fino a diventare catastrofico. Questo è un altro segno, con i pochi partecipanti, di mancanza di interesse per il “grande dibattito”. E per una buona ragione: il dibattito, i francesi possono farlo da soli. Lo hanno fatto durante le occupazioni delle rotatorie. Ne sono emerse con le rivendicazioni di redistribuzione della ricchezza e divisone del potere. É della facoltà decisionale che sono privati. Con questa iniziativa essi ne restano privati, poiché Macron deciderà da solo sulle decisioni che ne deriveranno. I potenti non hanno capito che non saranno in grado di uscire da tale crisi di regime con le piroette.

Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo) dell’editoriale di Jean-Luc Mélenchon, pubblicato su: https://melenchon.fr/2019/02/25/le-grand-bras-de-fer-continue

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