Menu

Venezuela, l’ultima fregatura made in Usa

Tra guerre sbagliate, golpe falliti e colpi di mano, il catalogo è lungo. Con Trump questi sono diventati sempre di più gli «Stati uniti dell’Amnesia», sottolinea sul Financial Times Edward Luce. Campioni di un unilateralismo esasperato, senza storia e senza memoria, che riaccende il bloqueo contro Cuba, aumenta le sanzioni contro il Venezuela e spera con l’embargo petrolifero di strangolare l’Iran. Il tutto con l’obiettivo evidente di imporre, da fuori e da dentro, un cambio di regime in questi Paesi. Ma pure qui abbiamo bisogno di rinfrescarci la memoria sulle fregature degli americani di cui siamo stati alleati e complici.

Sembra che nessuno impari la lezione: credono ancora agli Stati Uniti. Nel 2001 gli Usa, dopo gli attentati a New York e Washington, cominciarono la guerra al terrorismo in Afghanistan e ci siamo ritrovati il terrorismo in casa, nato da quel jihadismo che gli stessi americani alimentarono negli anni Ottanta per far fuori l’Urss.

E tutti siamo andati prontamente in Afghanistan a dare una mano contro Al Qaida e il Mullah Omar mentre adesso gli Usa negoziano proprio con i talebani. Ma perché teniamo ancora 800 soldati a Herat che ci costano un occhio nella testa?

Nel 2003 gli Stati uniti, in compagnia dell’ineffabile Tony Blair, da noi venerato come un idolo da una sinistra invertebrata, mentirono spudoratamente sulle armi di distruzione di massa di Saddam e affondarono, insieme all’Iraq, il Medio Oriente intero. Centinaia di migliaia di morti e una destabilizzazione senza fine: anche lì siamo andati a dare manforte a Washington o qualcuno si è già dimenticato di Nassiriya?

Nel 2011 gli Usa volevano cacciare Assad, che è ancora al suo posto, spingendo la Turchia e le monarchie del Golfo a usare i jihadisti e l’Isis. Poi sono riusciti insieme a Francia e Gran Bretagna – e alla nostra attiva complicità – a buttare giù il Colonnello Gheddafi con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti: un marasma sulla sponda Sud di casa nostra e la peggiore sconfitta subita dall’Italia dalla seconda guerra mondiale.

Nel 2016 a Washington avevano sperato, con il raffazzonato golpe del 15 luglio, di far fuori Erdogan che aveva dato retta alla signora Clinton e rischiava di trovarsi con un pugno di mosche, al punto che poi si era alleato con la Russia e l’Iran. Forse anche allora gli Usa avevano fatto credere ai golpisti turchi di avere le forze armate dalla loro parte, visto che i militari americani di Incirlik abbandonarono le postazioni e la base Nato venne chiusa dal governo. Certo queste sono cosucce che oggi dà anche un po’ fastidio ricordare.

Poi gli Usa, per rientrare nel gioco siriano, hanno usato i curdi contro il Califfato, ma Trump stava per abbandonarli a loro destino, cioè a un nuovo massacro organizzato da Erdogan. Il tutto doveva avere lo scopo di contenere l’influenza iraniana nella regione per tenere bordone a Israele e all’Arabia Saudita, che conduce un conflitto disastroso in Yemen, un’altra guerra per procura contro l’Iran.

E, giusto per gradire, dopo essere uscito dall’accordo sul nucleare con Teheran, Trump ha riconosciuto Gerusalemme capitale dello stato ebraico e l’annessione israeliana del Golan. Alla faccia delle risoluzioni Onu: ma perché convocano ancora il Consiglio di Sicurezza?

Nel 2019 gli Stati Uniti hanno annunciato di avere sconfitto l’Isis, ma il terrorismo prosegue e forse gli Usa tengono in vita Al Baghdadi, da loro stessi liberato dal carcere nel 2004: l’arci-nemico jihadista potrebbe di nuovo servirgli contro l’Iran per riaccendere il conflitto sciiti-sunniti, così ben orchestrato già nel 1980 quando Saddam Hussein attaccò la repubblica islamica di Khomeini con l’appoggio occidentale e i soldi delle petro-monarchie.

Perché – dannata memoria – quando Al Baghadi nel giugno 2014 conquistò Mosul, seconda città irachena, gli Stati uniti non mossero un dito e furono le milizie sciite e i pasdaran iraniani a limitare alle porte di Baghdad la frana delle forze armate irachene che si erano liquefatte. Adesso tocca al Venezuela essere travolto dalla propaganda americana. E qui come al solito abboccano.

Come scriveva Tommaso Di Francesco sul manifesto del 3 aprile: non ci sono più i Pinochet, i golpisti di una volta. Se non fosse per il clima da guerra fredda tra Mosca e Washington e le sofferenze del popolo venezuelano, ci sarebbe quasi da ridere.

Il tentativo di insurrezione del leader dell’opposizione Juan Guaidó, autoproclamatosi mesi fa presidente ad interim, è stata una delle operazioni più maldestre messe in piedi negli ultimi tempi dagli Stati uniti di Donald Trump. A cadere nella trappola di un golpe doveva essere il presidente Maduro, alleato della Russia di Putin, invece ci è cascato il giovane Guaidò, che si è giocato un pezzo di credibilità e forse anche qualche cosa di più.

Se continua di questo passo non troveremo più un Venezuela intero, come non si trova più sulla mappa un Iraq, una Siria e una Libia. Avvisate anche quelli che qui dormono nella nostra ovattata «cabina di regia».

* da ilmanifesto.it

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *