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Il golpe contro Lula. La prove documentali sono ora pubbliche

Che la cosiddetta indagine sulla corruzione di Lula da Silva, ex presidente del Brasile e leader del Pt, fosse solo una manovra degli Stati Uniti per impedirne la rielezione e fare arrivare alla presidenza il neonazista Jair Bolsonaro, era una certezza politica.

Ora ci sono anche le prove. Indiscutibili.

Una delle tante fughe di documenti, in stile Wikileaks, ha portato sul tavolo di The Intercept un enorme quantità di file che dimostrano come i magistrati della “mani pulite” brasiliana, a partire dal pluripremiato ed osannato Sergio Moro, abbiano condotto la loro azione esclusivamente con l’obiettivo di impedire a Lula e al Pt di vincere le elezioni presidenziali, come previsto da tutti i sondaggi prima dell’arresto.

La lettura di questi documenti, ad opera di Glenn Greenwald e Victor Pougy, parte da un episodio apparentemente minore ma illuminante. Dieci giorni prima del primo turno di elezioni presidenziali dello scorso anno, un giudice della Corte Suprema – Ricardo Lewandowski – ha dato parere favorevole alla richiesta avanzata dal più grande giornale del paese, Folha de São Paulo, per intervistare Lula, in quel momento in carcere per accuse di corruzione avanzate dalla la task force Car Wash, guidata appunto da Sergio Moro.

Vista da qui, un’intervista a un detenuto non sembra evento che possa incidere più di tanto su una votazione con più di 100 milioni di elettori. Ma la notizia manda nel panico il team di “indagatori”.

Il 28 settembre 2018, la squadra di pubblici ministeri che ha gestito il caso di corruzione di Lula – che per anni ha negato con veemenza di essere spinti da motivi politici di qualsiasi tipo – ha iniziato a discutere in un gruppo privato di chat di Telegram come bloccare, sovvertire, o minare la decisione della Corte Suprema. Quest’azione era basata sul loro espresso timore che l’intervista avrebbe aiutato il PT – il partito di Lula – a vincere le elezioni. Sulla base del desiderio dichiarato di impedire il ritorno al potere del PT, hanno trascorso ore a discutere delle strategie per prevenire o attenuare l’impatto politico dell’intervista di Lula.”

Uno dei procuratori, Laura Tessler, dopo aver appreso della decisione della Corte Suprema, commenta preoccupata: “Che scherzo!. Subito dopo spiega ai “colleghi” l’urgenza di prevenire o minare la decisione. “Una conferenza stampa prima del secondo turno di votazioni potrebbe aiutare ad eleggere Haddad”, scrive nel gruppo di discussione, riferendosi al candidato del PT Fernando Haddad.

Deltan Dellagnol

Il capo della task force, il procuratore Deltan Dallagnol, tiene invece una conversazione separata con un confidente di lunga data, anche lui un procuratore, e concordato che avrebbero “pregato” insieme perché gli eventi di quel giorno non potessero inaugurare il ritorno al potere del PT.

Per chiarire i ruoli: in quel momento Dallagnol è il procuratore capo, ossia il rappresentante dell’accusa contro Lula. Sergio Moro, invece, è il giudice, che istituzionalmente dovrebbe essere “terzo”, ossia neutrale e orientato ad emettere un verdetto solo sulla base delle prove.

Molti di questi documenti mostrano inve un intreccio totalmente “scorretto e immorale” (scrivono i due giornalisti anglosassoni) tra Dallagnol e Moro su come strutturare al meglio il caso di corruzione contro Lula. In Italia diremmo che si danno da fare per “combinare” il processo…

C’è un altro aspetto singolare. In tutto il mondo la squadra di pubblici ministeri noti come Car Wash (mutuando l’espressione da “mani pulite”) ha imprigionato una vasta platea di politici e miliardari, mentre il risultato più significativo del team brasiliano è stata… la detenzione di Lula nel 2018.

Un’operazione dal tempismo quasi straordinario, visto che all’epoca della condanna di Lula tutti i sondaggi mostravano che l’ex presidente – eletto due volte con ampia maggioranza, nel 2002 e poi di nuovo nel 2006, e che al momento di lasciare l’ufficio beneficiava di un tasso di approvazione dell’87% – avrebbe riportato una facile e schiacciante vittoria anche nelle presidenziali nel 2018.

La condanna seguita a un’inchiesta “aggiustata” lo aveva reso ineleggibile e detenuto, ma il suo carisma era ancora tale – e pericoloso per i congiurati – da rendere anche un’intervista un fatto “esplosivo”, tale da stravolgere il risultato elettorale.

Si oppongono dunque alla decisione del giudice Lewandoski (autorizzare l’intervista) con argomenti talmente capziosi che il magistrato può agevolmente rigettarl. Lewandowski ha spiegato infatti che gli argomenti usati per impedire un colloquio con Lula – cioè “timori per la sicurezza” e la necessità di mantenere il “silenzio dei detenuti” – erano apertamente invalidi, viste le numerose altre interviste in carcere “autorizzate per prigionieri condannati per crimini come traffico di esseri umani, omicidio e criminalità organizzata internazionale”.

Visto che c’era, la sentenza ha anche rilevato che Lula non era né in una prigione di massima sicurezza, né sotto un regime carcerario particolarmente restrittivo, demolendo ulteriormente la logica del divieto di intervista.

A quel punto il pool di magistrati-golpisti va in fibrillazione. Vediamo come la raccontano Greenwald e Pourgy.

Basandosi esplicitamente sulla paura [che l’intervista a Lula avrebbe fatto vincere il candidato del Pt, Haddad, ndr], i procuratori di Car Wash hanno trascorso la giornata lavorando febbrilmente per sviluppare strategie per rovesciare la sentenza, oppure ritardare l’intervista di Lula fino a dopo le elezioni, o almeno assicurare che fosse strutturata in modo da minimizzare il suo impatto politico e la sua capacità di aiutare vincere il PT.

Reagendo alla decisione, Tessler, uno dei pubblici ministeri, ha esclamato: “Che scherzo !!! Revolting !!! Lì va a tenere una manifestazione in prigione. Un vero circo. Dopo Mônica Bergamo, basata sul principio della parità di trattamento, sono sicuro che arriveranno anche molti altri giornalisti … e siamo lasciati qui, fatti per comportarci come clown con una corte suprema del genere …

Un altro pubblico ministero, Athayde Ribeiro Costa , ha risposto alla decisione con una parola e numerosi punti esclamativi: “Mafiosos !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!”

I pubblici ministeri, secondo i timestamp delle loro chat, hanno passato quasi un giorno intero a inventare strategie per impedire che l’intervista a Lula si svolgesse prima delle elezioni o almeno diluire il suo impatto; fino a chiedersi se una conferenza stampa sarebbe meno efficace di un’intervista individuale, o anche se avessero dovuto presentare una richiesta parallela per consentire a tutti gli altri prigionieri di essere intervistati, così da distrarre l’attenzione da Lula.

Tessler ha quindi chiarito il motivo per cui questi pubblici ministeri erano così profondamente sconvolti: il popolo avrebbe potuto ascoltare l’ex presidente così presto prima delle elezioni: “Chissà … ma un’intervista prima del secondo turno di votazioni potrebbe aiutare ad eleggere Haddad”.

Mentre queste “chiacchierate” si svolgevano all’interno del gruppo di chat Car Wash, Deltan Dallagnol, il capo della task force, stava anche conversando con uno stretto confidente, un pubblico ministero che non lavorava alla task force Car Wash. Entrambi hanno espressamente convenuto che l’obiettivo principale era impedire il ritorno del PT al potere, e il procuratore capo – che spesso si vanta della sua religiosità – era d’accordo sul fatto che avrebbero “pregato” che ciò non potesse accadere. Essendo il capo del pool, naturalmente, le sue “preghiere” potevano garantire un effetto molto pratico e diretto.

Queste ammissioni delle vere preoccupazioni dei pubblici ministeri – che un’intervista di Lula potesse “eleggere Haddad” e inaugurare il “ritorno del PT” al potere – possono difficilmente essere considerate delle confessioni isolate. Al contrario, l’intera discussione, che si svolge per molte ore, appare molto meno come un incontro di pubblici ministeri neutrali che una sessione di agenti politici e strategici anti-PT, focalizzata sull’obiettivo di determinare il modo più efficace per prevenire o minimizzare l’impatto politico dell’intervista di Lula.

Athayde Ribeiro Costa, ad esempio, ha cinicamente suggerito che l’omissione di qualsiasi data – nella decisione di Lewandowski – avrebbe potuto consentire alla polizia federale di programmare di proposito l’intervista dopo le elezioni, fingendo così di rispettare l’ordine: “Non c’è data. Quindi la polizia federale potrebbe pianificare questo per dopo le elezioni, e saremo ancora in conformità con la decisione”.

Un altro pubblico ministero, Januário Paludo, ha proposto una serie di azioni volte a prevenire o minimizzare l’intervista a Lula: “Piano A: potremmo presentare un ricorso alla Corte Suprema stessa, zero probabilità [di successo]. Piano B: aprilo a tutti per intervistarlo lo stesso giorno. Sarà caotico ma riduce la probabilità che l’intervista sia diretta.”

In nessun momento Dallagnol, che ha partecipato attivamente alla discussione nel corso della giornata, o in qualsiasi altro procuratore di Car Wash, prova neppure a suggerire che non fosse “corretto” che tali considerazioni politiche portassero a una strategia di persecuzione.

In effetti, questo gruppo di discussione di Telegram, che è stato usato dai partecipanti per molti mesi, suggerisce che considerazioni politiche di questo tipo sono state abitualmente inserite nel processo decisionale della task force.

I pubblici ministeri hanno lamentato tra loro di essere stati esclusi dalla possibilità di appellarsi contro la decisione, perché un appello della task force li avrebbe resi “troppo politici” e avrebbe creato la percezione, nell’opinione pubblica, che le loro vere intenzioni fossero soltanto quelle di mettere a tacere Lula e impedirgli di aiutare il PT a vincere.

Più tardi nel corso della giornata, hanno appreso che un partito di destra, chiamato Novo (“Nuovo”), aveva impugnato la decisione, e che l’autorizzazione per intervistare Lula era stata bloccata dal tribunale. I procuratori a quel punto hanno festosamente celebrato la notizia, prendendo in giro i conflitti che avrebbero potuto sorgere all’interno della Corte Suprema (STF) e lodando i responsabili che avevano tentato di fermare l’intervista.

Paludo aggiunge, ironicamente, che “dovremmo ringraziare il nostro Ufficio dei pubblici ministeri: il partito Novo!“, Intendendo dire che questo partito politico di destra aveva eseguito ciò che la task force desiderava fare per impedire a Lula dall’essere ascoltato.

L’appello di quel partito ha provocato una sospensione giudiziaria dell’autorizzazione all’intervista di Lewandowski. Di conseguenza, nessuna intervista pre-elettorale con Lula è stato permessa e quindi il leader del Pt non è mai stato ascoltato prima del voto.

Solo una volta chiuse le elezioni, con la vittoria di Bolsonaro, la Corte Suprema ha ripreso a autorizzare i media a intervistare Lula in carcere.

Una volta eletto presidente, Bolsonaro ha immediatamente “offerto” a Moro (il cui ruolo era già stato illustrato con precisione dal nostro giornale) – la cui sentenza sulla corruzione aveva fatto sì che la candidatura di Lula venisse bloccata – una posizione appena creata e potente, senza precedenti, come quello che viene ora definito il “ministro della giustizia suprema”, concepito proprio per riflettere i massicci poteri conferiti a Moro.

Che lo stesso giudice che ha giudicato colpevole Lula sia stato poi ricompensato dall’avversario vittorioso di Lula ha messo a disagio persino i sostenitori di vecchia data dell’indagine anti-corruzione chiamata Car Wash, a causa dell’ovvia percezione di un quid pro quo e della trasformazione di Moro, che ha sempre dichiarato di essere “apolitico”, in un funzionario politico che lavora per il presidente più di estrema destra mai eletto nella storia della democrazia del Brasile.

Queste preoccupazioni sono aumentate quando Bolsonaro, di recente, ha ammesso di aver anche promesso di nominare Moro a un posto permanente nella Corte Suprema, non appena ci fosse stato un posto vacante.

Queste discussioni del 28 settembre sono solo l’inizio delle relazioni di The Intercept e The Intercept Brasil su questo archivio.

p.s. La task force Car Wash non ha smentito l’autenticità delle informazioni pubblicate da The Intercept. In un comunicato stampa pubblicato domenica sera, hanno scritto, “probabilmente tra le informazioni copiate illegalmente ci sono documenti e dati sulle strategie e indagini in corso e sulle routine personali e di sicurezza dei membri della task force e delle loro famiglie. È pacifico che tutti i dati ottenuti riflettano attività sviluppate nel pieno rispetto della legalità e in modo tecnico e imparziale, in oltre cinque anni di attività“.

La “legalità” ridotta a uso della posizione di magistrato nel realizzare un golpe ordinato da Washington. Un esempio da tenere a mente, di certo…

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