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I portuali spagnoli impartiscono una lezione al governo

Il neoliberismo sfrenato ha trovato un blocco insormontabile sul fronte dei porti spagnoli. Quello che succede altrove, ovvero, il drastico peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro di migliaia di portuali in nome della concorrenza globale, in Spagna, nei porti, non passa. La sconfitta è clamorosa per il governo di Mariano Rajoy e per il PP.

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Un applauso gioioso ha accolto l’abrogazione del Real decreto legge 4/2017, che ieri, 16 marzo, è stato bloccato con 174 voti contro (PSOE, UP, ERC, PdeCAT, Compromís, Bildu, CC y NC), 141 a favore (PP, PNV, UPN y Foro) e 33 astenuti (Ciudadanos). Pietrificato in volto, invece, il ministro dello sviluppo De la Serna che aveva proposto e sostenuto il decreto evitando, in modo autoritario, il confronto con i portuali, i sindacati -Coordinadora de Trabajadores del Mar, nel settore il sindacato principale, con CC.OO., UGT y CGT- che negli ultimi mesi avevano, per questo, più volte minacciato il blocco generale dei porti consapevoli delle ripercussioni a livello nazionale.

E’ stata una battaglia, non facile da vincere, condotta sotto il fuoco incrociato delle pressanti richieste di riforma di Bruxelles – la Commissione di Giustizia europea aveva condannato il sistema spagnolo perché, in sintesi, minava il ‘dogma’ della libertà d’impresa e di contrattazione del lavoro1 – e di una pesante campagna mediatica tesa a delegittimare le ragioni della tenace lotta contro il ‘decretone’ autoritario cercando di far apparire i portuali agli occhi dell’opinione pubblica come dei privilegiati, una sorta di aristocrazia operaia sopravvissuta oltre il tempo massimo in un mondo del lavoro oramai modellato dal liberismo alla flessibilità e alla precarietà. Oltre a quello del mancato adeguamento alla sentenza della Commissione di Giustizia dell’Unione Europea e la multa da pagare, l’argomento principale nell’ordine del discorso intessuto per far passare la riforma era, infatti, quello dei salari ‘non da fame’ percepiti dai portuali spagnoli – di oltre 50 mila euro l’anno in media.

Aspetto questo che, sempre nella campagna diffamatoria, era ritenuto un ostacolo agli investimenti di multinazionali straniere. A questi attacchi i portuali e i loro rappresentanti sindacali, con la Coordinadora in testa, hanno risposto senza farsi intimorire, destrutturando e rovesciando quest’ordine del discorso, ricordando che il sistema spagnolo dei porti, le assunzioni attraverso le cooperative, aveva retto in un clima di pace sociale per anni, con buoni risultati in termini di profitti per le imprese a prescindere dal costo del lavoro più alto in Spagna rispetto ad altri paesi, e che piuttosto del gioco al ribasso, ovvero, salari da fame per tutti- qui il rovesciamento dell’impianto discorsivo- di trattava, invece, di aumentarli per tutti.

Non un passo indietro’, ¡NI UN PASO ATRÁS!, lo slogan che ha accompagnato la lotta, e così è stato. La forza della solidarietà, la capacità di non lasciarsi intimidire o dividere, l’appoggio a livello internazionale degli altri portuali e quello interno di partiti politici come PSOE oltre agli altri, e l’astensione strategica di Ciudadanos, ha determinato la vittoria.

La gioia rimbalza ora sul web, sui siti dei portuali (https://www.facebook.com/CoordinadoraEstatalDeTrabajadoresDelMar/?fref=ts), dove parole come ‘orgoglio’, ‘solidarietà’, ‘vittoria’, ci ricordano che non tutto è perduto mentre la lezione spagnola viaggia di porto in porto e ben oltre.

 

1# http://eur-lex.europa.eu/legal-content/it/TXT/?uri=CELEX%3A12012E%2FTXT

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