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Le “regole europee” che distruggono l’Europa a beneficio della Germania

Scriviamo queste poche righe per i nostri interlocutori nella sinistra variamente anticapitalista (le autodefinizioni sono ormai più numerose che efficaci). E’ noto infatti che abbiamo messo da tempo al centro della nostra riflessione sul “potere effettivo” l’Unione Europea, i suoi trattati, i meccanismi della governance sull’intero continente e soprattutto su lavoratori e ceti popolari.

Da cui facciamo discendere una linea di rottura della Ue come condizione minima indispensabile per poter concretamente avanzare verso un cambiamento radicale, in qualche misura socialista.

Sappiamo benissimo che molti (ma sempre meno) continuano a restare aggrappati a vecchi schemi analitici, confondendo – secondo noi – la dimensione “internazionalista” del capitale con quella dei lavoratori. Il movimento operaio è stato sempre internazionalista, fin da quando i capitali erano ancora rigidamente nazionalisti; dunque un sistema di valori universalista non dipende dai confini storicamente determinati esistenti in un certo momento storico. Mentre la lotta politica concreta deve naturalmente da fare i conti con le condizioni date.

La domanda cui un qualsiasi soggetto anticapitalista deve rispondere per ragionare seriamente su una prospettiva conflittuale è dunque: dov’è oggi il luogo della decisione politica? Che è poi la domanda: chi decide sulla nostra vita, il nostro salario, il modo in cui avviene la riproduzione sociale?

Una cosa ci sembra evidente: il potere sull’Italia non sta più, e da tempo, a Palazzo Chigi. Basta pensare che la più importante legge dello Stato – la legge finanziaria, oggi “legge di stabilità”, che determina spese, entrate e uscite dello Stato, nonché le misure fiscali relative – viene scritta “di concerto” con la Commissione Europea, l’Eurogruppo e altri organismi sovranazionali. Secondo regole non approvate democraticamente, ma anzi sempre sottratte al vaglio e al voto delle popolazioni. Una “sovranità rigidamente limitata”, come si diceva al tempo in cui la sinistra si batteva contro la subordinazione del Paese agli Stati Uniti e alla presenza delle basi Nato.

A chi non ha provato neanche a leggerle, le “regole europee” potrebbero apparire per come vengono narrate dai media del potere: formule razionali, best pratices, “si fa così”. Al contrario, è sempre più chiaro che nessuna regola è neutra, tanto meno quelle che determinano decisioni macroeconomiche, spostamenti colossali di ricchezza, impoverimenti e arricchimenti di intere classi sociali, all’interno di uno o più paesi.

Chi non vuol sapere e capire potrebbe giudicare questo discorso come “ideologico”, troppo “generico”.

Vi proponiamo allora questo curioso articolo di Giovanni Pons, pubblicato su Business Insider, autorevole blog specializzato del gruppo Repubblica, certamente non accusabile di populismo o sovranismo nazionalista. Da cui emerge la preoccupazione – decisamente tardiva – di una parte notevole dell’establishment economico italiano per “regole europee” che vengono elaborate sotto la guida degli interessi economici tedeschi per facilitare una egemonia finanziaria e produttiva delle imprese basate a Berlino e dintorni.

E’ una lettura che per qualcuno potrebbe illuminante, facilitando modi e tempi del dibattito tra anticapitalisti.

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I tedeschi vogliono mettere in ginocchio il Veneto. Per diventare padroni d’Europa

Giovanni Pons

Che cosa succederebbe in concreto se la Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca dovessero entrare in procedura di risoluzione con le regole del bail in approvate in Europa nel 2015? Lo spiega bene Fabrizio Viola, ad della Vicenza, in un’intervista al Corriere della Sera del 2 giugno: “Gli effetti di una crisi non risolta delle due banche venete non sarebbero molto inferiori a quelli generati dal default della Grecia. Per essere più chiari: la procedura di bail-in impone il rientro forzoso degli impieghi a tutela dei depositi. Si pensi che BpVi e Veneto banca hanno concesso prestiti ‘buoni’, cioè al netto da sofferenze e incagli, per circa 30 miliardi. In gran parte concentrati nel Nordest, cioè nel territorio più importante per l’economia nazionale. Doverli richiamare da un momento all’altro creerebbe uno sconquasso tremendo, non senza conseguenze anche sul piano politico. Anche per questo faccio appello al senso di responsabilità delle autorità europee: le dimensioni in gioco non possono essere sottovalutate”.

E chi spinge per fare il bail in delle banche venete? La Germania, come riferiscono diverse fonti interpellate le quali convergono nel dire che influenti esponenti dell’economia tedesca sono intervenuti presso la Dg Comp (la direzione generale della concorrenza della Ue in mano all’olandese Marghrete Vestager) affinchè vengano posti paletti molto rigidi all’impiego di soldi pubblici in BpVi e Veneto Banca. Nonostante il primo esame della Bce abbia accertato che le due banche sono solvibili e dunque possono accedere al meccanismo della ricapitalizzazione precauzionale previsto dalla direttiva se si è in presenza di un rischio sistemico.

Ma questa spinta germanica non era difficile da prevedere. Il 27 dicembre scorso, in un’intervista alla Bild, il governatore della banca centrale tedesca Jens Weidmann, pronunciava le seguenti parole: “Per le misure previste dal governo italiano la banca deve essere finanziariamente sana nel suo fulcro poiché il denaro non può essere usato per coprire perdite già prevedibili”. Il riferimento era alla direttiva Brrd (bail in) e al decreto legge varato il 19 dicembre dal neonato governo Gentiloni in cui si sono stanziati 20 miliardi di soldi pubblici per salvare le banche in crisi. Un provvedimento dettato in particolare dalla preoccupazione per il Monte dei Paschi di Siena che proprio in quei giorni aveva fallito nel tentativo di varare un aumento di capitale da 5 miliardi finanziato sul mercato.

In pratica Weidmann richiamava il rispetto delle regole sul bail in, la cui portata le autorità italiane hanno compreso con colpevole ritardo. “Abbiamo stabilito nuove regole di base – aveva detto ancora Weidmann – e queste sono mirate essenzialmente alla protezione dei contribuenti e a indurre gli investitori a comportamenti responsabili. Il denaro pubblico deve essere considerato come l’ultima risorsa, per questo l’asticella è posta molto in alto”.

A distanza di quasi sei mesi da quelle dichiarazioni il braccio di ferro tra italiani e tedeschi sembra segnare un punto in favore dei primi. Il Monte dei Paschi, attraverso una trattativa assai laboriosa con la Bce prima e la Dg Comp poi, sta per ottenere il via libero definitivo alla ‘ricapitalizzazione preventiva’, cioé quella che permette di utilizzare soldi pubblici per un aumento di capitale ma solo dopo una conversione delle obbligazioni subordinate in azioni. In pratica si fa pagare una parte del conto agli investitori privati ma poi si permette allo Stato di subentrare per evitare guai peggiori. In pratica si tratta di una via di mezzo tra risoluzione e salvataggio pubblico che è stata abilmente chiesta e sfruttata dagli uomini del Tesoro e che per la prima volta viene applicata a una realtà bancaria della Ue. Siamo quindi nel campo dell’innovazione pura soprattutto a livello giuridico anche perché la stessa direttiva si presta a diverse interpretazioni da parte dei legali. Quali siano le perdite ‘prevedibili’ che non possono essere coperte da denaro dei contribuenti è infatti esercizio complesso da definire ma comunque nel caso di Mps pare che la strada sia ormai spianata.

Tuttavia ai tedeschi si è presentata una seconda occasione per manifestare agli italiani la loro indole rigorista. A febbraio infatti è arrivata agli organismi europei una seconda richiesta di ricapitalizzazione preventiva, questa volta da parte di due banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto banca) che avevano rischiato di fallire già a inizio 2016 ma erano state salvate dall’intervento provvidenziale del fondo Atlante (uno strumento ad hoc finanziato dalle principali banche, fondazioni e assicurazioni italiane). L’attivo delle due banche si è deteriorato al punto che si è resa necessaria una nuova immissione di capitali a cui Atlante ha potuto contribuire solo in parte. All’appello mancano altri 6,4 miliardi e anche in questo caso è stato chiesto l’intervento dello Stato attraverso il pacchetto da 20 miliardi stanziato a dicembre. Per la Bce l’operazione è fattibile poichè le due banche sono state ritenute ‘solvibili’ mentre per la Dg Comp occorre che dei 6,4 miliardi almeno 1,2 sia a carico di soci privati.

Nel caso delle venete l’asticella si è dunque spostata in alto, come preannunciava Weidmann già a dicembre, e a questo punto non è facile trovare soci privati che versino un miliardo in due istituti la cui operatività è così seriamente compromessa e che avranno comunque bisogno di un sostegno pubblico per poter continuare la loro attività. Se non si trova una soluzione in fretta Popolare Vicenza e Veneto banca rischiano di essere messe in risoluzione, cioé di veder realizzato ciò che dice Viola nella sua intervista, la richiesta di rientro di 30 miliardi di prestiti che senza dubbio può mettere in ginocchio migliaia di piccole e medie aziende sane che contavano su quei prestiti. E non è escluso che a beneficiarne siano le stesse aziende tedesche che con il tessuto industriale veneto hanno un forte interscambio e che potrebbero sostituirsi a esse o comprarle per un tozzo di pane.

Insomma c’è il fondato sospetto che la Germania stia utilizzando con l’Italia la stessa strategia già sperimentata con la Grecia: da una parte sollecita attraverso le autorità europee piani di risanamento lacrime e sangue e poi si presenta con le sue aziende, assegno in mano, quando vengono messe in vendita. L’ultimo caso è quello dell’aeroporto di Atene, acquistato per 600 milioni dalla società tedesca AviAlliance che già gestisce gli scali di Amburgo e di Dusseldorf. Ma in precedenza la società aeroportuale pubblica tedesca Fraport (quella che gestisce l’aeroporto di Francoforte) aveva firmato un accordo del valore di 1,2 miliardi di euro per la locazione e gestione di 14 aeroporti greci regionali greci, fra cui molti collocati strategicamente nelle maggiori isole turistiche per un periodo di 40 anni. Fra gli scali compresi nell’accordo ci sono quelli di Salonicco, seconda città del paese, e delle isole di Creta, Corfù e Rodi. In pratica tutto il sistema aeroportuale greco è ormai in mano ad aziende tedesche, private e pubbliche.

Imporre il bail in delle banche venete italiane rappresenterebbe un atto molto ostile da parte della Germania, di cui preoccuparsi in futuro. I tedeschi intendono l’Europa non come un processo di progressiva integrazione tra economie anche molto diverse tra di loro, in un’ottica di socializzazione. Il loro pensiero è egemonico e fa leva sullo stereotipo degli italiani spendaccioni e con un tenore di vita troppo alto rispetto alle loro possibilità. La paura di dover, un giorno o l’altro, accollarsi una parte dell’ingente debito pubblico italiano spinge Angela Merkel e il ministro delle Finanze Wolfgang Shaeuble a mettere nell’angolo il governo italiano per poter imporre misure di austerity fiscale che finora non hanno fornito esempi di successo in giro per l’Europa.

Negli ambienti finanziari italiani e internazionali sono in molti a pensare che con l’applicazione di bail in ‘pieno’ alle malmesse banche venete possa essere inflitta una lezione all’Italia in grado di portare maggior rigore in futuro anche sul fronte dei conti pubblici e del debito pubblico. Un commissariamento vero e proprio potrebbe poi avvenire con l’utilizzo del fondo Esm che dovrebbe essere trasformato in una sorta di Fondo monetario europeo in grado di risolvere choc sul fronte delle finanze pubbliche in cambio della messa sotto tutela delle politiche economiche. La candidatura di Weidmann alla successione di Mario Draghi al vertice della Bce nell’autunno 2018 fa parte di questo disegno.

L’ipotesi di elezioni anticipate a settembre in Italia, ventilata nei giorni scorsi, con la possibilità che il governo del paese possa finire sotto l’ala di un partito populista come i 5Stelle potrebbe aver fatto scattare l’allarme rosso a Berlino e fatto spingere sull’acceleratore dell’intransigenza riguardo il bail delle banche venete. E l’ormai disperato tentativo del ministro Pier Carlo Padoan di abbassare il livello dell’intervento e di trovare qualche investitore privato (fondi di private equity, Poste, finanziarie regionali) in grado di sacrificarsi in nome della stabilità di sistema sta diventando ogni giorno più difficile. Le prossime settimane saranno dunque cruciali per definire il futuro dell’Unione Europea e dell’euro.

La Germania aveva impiegato più di 200 miliardi per salvare le banche in crisi sul proprio territorio ma l’ha fatto prima che entrasse in vigore la direttiva sul bail in. Tra il 2011 e il 2012 invece l’Italia doveva combattere contro lo spread sui titoli pubblici che era schizzato alle stelle e non ha previsto il pesante deterioramento degli impieghi bancari in sofferenze.

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