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Austostrade, la criminalità seriale del gruppo Benetton

In qualsiasi paese del mondo, se per fare soldi ammazzi parecchia gente, finisci in galera per un periodo piuttosto lungo. Se sei un’impresa, invece, e fai la stessa cosa in modo più “istituzionalizzato”, cominciano subito i distinguo.

In Italia, se l’impresa è di proprietà dei Benetton, da sempre benefattori dei partiti politici di qualsiasi orientamento, quasi ci si deve scusare per aver alzato un sopracciglio davanti a 43 morti sul Ponte Morandi.

Le cronache di questi giorni riferiscono delle modalità operative con cui dirigenti di Atlantia (la società del gruppo Benetton che controlla Autostrade per l’Italia) e della Spea (un’altra società dello stesso gruppo che si occupa della manutenzione delle stesse autostrade – alla faccia della “semplificazione efficiente” di cui dovrebbero essere portatori i “privati”) falsificavano la documentazione sullo stato di parecchi viadotti per evitare interventi di manutenzione ritenuti “troppo onerosi”.

Alcuni manager e dipendenti sono stati arrestati e messi ai domiciliari o altre misure cautelari; alcuni di essi sono stati anche “sospesi” dai rispettivi datori di lavoro, secondo l’antico scarico delle responsabilità sui sottoposti. Avessero bruciato un compressore in Val Susa li avrebbero invece messi in carcere per mesi o anni…

Si potrebbe anche dire che spetta alla magistratura verificare le responsabilità dei singoli, ma nella vicenda non è questo il punto principale. Le “tecniche” messe in campo per falsificare i rapporti sullo stato dei viadotti sono parte essenziale di una mentalità criminale che mette in conto un certo numero di morti e se ne frega totalmente, pur di evitare di spendere un po’ di soldi per manutenere il bene pubblico (le autostrade sono state costruite e sono di proprietà dello Stato, i Benetton hanno ottenuto solo la “concessione” a gestirle).

Mentalità criminale talmente abituata a considerarsi “normale” e soprattutto intoccabile da continuare a falsificare i report anche dopo la strage di Ponte Morandi. Ossia dopo che “l’eventualità” di un disastro era diventata tragica realtà.

Stiamo parlando appunto della gestione di una proprietà e di un servizio pubblico, ancorché a pagamento parecchio esoso (in Germania o Austria, per dirne una, si paga un abbonamento annuale inferiore alla tariffa per un solo viaggio Roma-Milano). Dunque al “proprietario” – lo Stato italiano – dovrebbe certo interessare l’esito delle indagini e l’eventuale condanna (al terzo grado di giudizio, ovviamente, ossia tra molti anni, se non interviene prima la prescrizione), ma solo al fine di sapere con certezza a chi addebitare il conto dei danni e il costo del risarcimento alle vittime.

Ma di sicuro il suo primo atto – come per un qualsiasi proprietario che vede il proprio bene distrutto da colui cui l’ha dato in gestione o affittato – dovrebbe essere la revoca della concessione e quindi la ripresa del “bene” (Autostrade per l’Italia, la parte della rete in mano ai Benetton, neanche tutta la rete autostradale) sotto la propria gestione.

Perché la prima questione non riguarda le “responsabilità penali”, ma la capacità o la volontà di gestire le autostrade in modo che siano percorribili dai “clienti”. Il crollo di Ponte Morandi, insomma, è un fatto concreto che dimostra anche ai ciechi che i Benetton (e i sottoposti che ne eseguivano le direttive societarie) sono l’ultimo dei soggetti cui un normale “padre di famiglia” affiderebbe un proprio bene.

Questo andava naturalmente fatto già un anno fa, subito dopo la strage. Allora, infatti, c’era solo da prendere atto che quell’incapacità di gestione era un fatto accertato.

Si poteva sospettare – e l’abbiamo detto tutti subito – che ci fosse una colpa enorme di Atlantia nella, diciamo così, qualità infima della manutenzione del ponte. Allora…

Oggi l’inchiesta in corso mostra e dimostra che non c’era solo “disattenzione colpevole”, “incapacità gestionale”, “avarizia negli investimenti”. C’era la volontà criminale di evitare qualsiasi intervento serio di conservazione delle strutture – tutte le strutture controllate da quella società – sapendo perfettamente che erano all’ordine del giorno altri crolli e probabilmente altre stragi. Non è insomma un crimine occasionale, un errore fatto una volta. E’ una politica aziendale, una governance, insomma un crimine seriale

Certo, gli elegantissimi Benetton non sono assassini sanguinari che sparano ai passanti (in Patagonia lo fanno per loro esercito e polizia). Loro “si limitano” a lasciar passare su ponti e gallerie automobili, incassando il pedaggio a fine tratta. Finché le strutture stanno su. Poi, quando crollano, si uniscono al dolore generale e scuciono (con grande pubblicità) un po’ di risarcimenti, che costano comunque molto meno della manutenzione che si sono evitati di far fare.

Leggiamo che nelle sedi di molti partiti c’è la volontà di limitare al massimo “il danno per i Benetton”, che dal canto loro stanno pensando di vendere la stessa Atlantia (sapendo probabilmente che l’età media dell’infrastruttura autostradale e l’evanescenza della manutenzione da loro assicurata  rendono ogni giorno più probabili altri crolli).

Nel Pd starebbero addirittura studiando la possibilità di dare il via libera alla revoca della concessione “soltanto per la regione Liguria”.

Quale audacia, quale indipendenza dalla multinazionale stragista, quale rispetto per le vittime…

Quando diciamo che bisogna nazionalizzare Autostrade ed altre infrastrutture strategiche, ci sembra di dire proprio il minimo. Quasi una banalità.

Per dei criminali seriali sembra decisamente fin troppo poco…

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2 Commenti


  • Manlio Padovan

    Non se ne farebbe niente.
    Bisogna distruggere il PD!


  • fabio

    Leggo da fonti molto meno “di sinistra” che la difficoltà nella revoca delle concessioni starebbe nel fatto che Atlantia è partecipata di fondi di investimento del calibro di Blackrock. Questo spiegherebbe da dove arriva tutto il potere che pare rendere impossibile la revoca, Blackrock hanno un potere di ricatto molto alto nei confronti dei poteri pubblici italiani in termini di svendita dei titoli pubblici e conseguente innalzamento dello spread.

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