Il mondo del XXI Secolo sta diventando una scacchiera con più giocatori in conflitto ma in una condizione di stallo. Ognuno vorrebbe portare scompiglio sui quadrati degli avversari ma non trova la possibilità di farlo, rimescola la posizione dei propri pezzi, gli altri fanno altrettanto ma si riproduce continuamente uno stallo sul campo. L’unica tentazione – o soluzione come altre usate in passato – è quella di sbaragliare la scacchiera. Con esiti drammatici, come quelli vissuti nel secolo precedente.
Cambiando metafora – e passando dalla scacchiera all’aerodinamica – se un aereo va in stallo, un attimo dopo precipita. E qui, come direbbe il maestro Kassovitz, il problema non sarebbe la caduta ma l’atterraggio.
Traslando questi scenari alle relazioni internazionali di questo primo ventennio del XXI Secolo, lo stallo configura gli attuali rapporti nella competizione interimperialista. Sì perché continua ad essere erroneo ritenere che l’unico imperialismo sia quello degli Stati Uniti o che vi sia un solo impero che sussume e media tutte le contraddizioni e le ambizioni dei vari poli imperialisti che si sono venuti determinando.
Di questo si è discusso a Roma sabato scorso nel forum organizzato dalla Rete dei Comunisti – in una sala piena nonostante il tema più che impegnativo in una fase di pensiero ” short and smart” – proprio sul tema dello “Stallo degli imperialismi” e di come contraddizioni e conflitti tra i vari poli competano con gli strumenti oggi possibili: dalle guerre commerciali a quelle monetarie. Lo strumento militare può essere giocato solo con le sanzioni, la destabilizzazione interna o con conflitti parziali – magari su più teatri di crisi – ma senza poter ricorrere agli armamenti più decisivi come quelli nucleari.
Oggi i soggetti che dispongono di armi nucleari sono molteplici e un rapporto costo/benefici del loro uso per “piegare” un avversario darebbe esiti terrificanti per tutti. In qualche modo sembra essere tornati alla situazione di equilibrio e di mutua distruzione assicurata della Guerra Fredda tra Usa e Urss ma in un mondo diventato multipolare e non più bipolare.
Su questo aspetto e sulla funzione che deve provare a svolgere una organizzazione comunista agente in uno dei poli imperialisti – l’Unione Europea – ha introdotto i lavori Mauro Casadio ricollegando la discussione su questa fase a quella già avviata nel forum del dicembre 2016 su “Il vecchio muore ma il nuovo stenta a nascere” che in qualche la anticipava. Ed è proprio in questo “interregno” che, secondo Gramsci, “si sviluppano i fenomeni morbosi più svariati”. E’ in questo cambiamento di fase storica e in questa zona grigia della storia che, secondo Casadio, i comunisti devono saper ritrovare il loro ruolo nella messa in campo di alternative di società e di modello produttivo contro quelli esistenti che si vanno avvitando in una crisi senza soluzioni indolori per l’umanità.
Le relazioni che hanno contribuito alla discussione nel forum sono state ampie e ben documentate. La storia della competizione monetaria, dalla disdetta dell’accordo di Bretton Woods da parte degli Usa nel 1971 a oggi, è stata ripercorsa da Francesco Piccioni segnalando come il dollaro per decenni abbia agito come strumento di egemonia dell’imperialismo Usa come moneta non più ancorata a valore reale ma meramente “fiduciaria”, avendo come unica garanzia la deterrenza militare del Pentagono.
Luciano Vasapollo, aiutatosi con diverse slide che saranno rese disponibili a breve, si è soffermato su un processo con un doppio aspetto: quello delle criptomonete. Non sono una alternativa ma anzi sono collaterali al dollaro e all’imperialismo Usa, ma possono essere utilizzate contro di esso, soprattutto da parte dei paesi che stanno puntando sulla de/dollarizzazione negli scambi commerciali reciproci e su criptomonete legate a beni reali come oro o petrolio. E’ il caso del Venezuela, ma anche di paesi sottoposti alle sanzioni Usa come l’Iran, la Russia, la Siria e recentemente la stessa Turchia, o la Cina contro cui gli Stati Uniti hanno scatenato una guerra commerciale di proporzioni globali.
Sergio Cararo ha invece ricostruito la rincorsa delle potenze europee dalla fine del XX Secolo verso la costruzione di un polo imperialista autonomo dagli Usa con ambizioni che stanno mettendo in crisi anche uno strumento come la NATO. Un processo che, come scrive il premio Nobel Peter Handke, ha avuto anche un suo atto traumatico di fondazione, quella guerra in Jugoslavia con cui “è morta l’Europa ed è nata l’Unione Europea”. In particolare si è soffermato su due documenti strategici per il progetto imperialista europeo come il “Piano Altmaier” redatto dal ministro dell’industria ed energia tedesco da qui al 2030 e il Trattato di Aquisgrana siglato a gennaio da Francia e Germania.
Guglielmo Carchedi, anche qui con l’aiuto di alcune slides, si è soffermato sui nessi strettissimi tra competizione produttiva e competizione monetaria evidenziando anche gli obiettivi contraccolpi di una rottura con l’euro fondata sulla tesi – sbagliata – dell’utilità della svalutazione competitiva della moneta. Giorgio Gattei ha affrontato la fase della competizione interimperialista attraverso le categorie della geopolitica, usando come metafora lo scontro tra “potenze marittime e potenze terrestri”. Alle prime è ascrivibile lo storico blocco angloamericano, al secondo quello europeo e russo con evidenti conseguenze sulla Nato per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.
Manfredi, del collettivo di economisti Coniare Rivolta ha messo in discussione la tesi del declino del dollaro, ritenendo anche i tentativi di de/dollarizzazione avviati da alcuni paesi più come azioni di resistenza che di offensiva tese a demolire l’egemonia globale della moneta statunitense.
Giacomo Marchetti ha invece sviluppato una questione fin troppo sottovalutata (o strumentalizzata come avvenuto nei mesi del governo giallo-verde) cioè l’uso colonialista del Franco CFA nell’Africa francofona. I meccanismi di dipendenza dei paesi africani ex colonie francesi verso il “centro” sono tuttora micidiali e vincolanti oltre ogni immaginazione. La totale subordinazione al Franco francese è stata poi trasferita all’Euro, con interventi militari, colpi di stato, eliminazione fisica di leader africani scomodi da parte della Francia per impedire ogni aspirazione di indipendenza economica dei paesi dell’Africa francofona.
Nel dibattito è intervenuto Francesco Della Croce per la segreteria del Pci con il quale da tempo è avviato un confronto di merito proprio sulla natura imperialista dell’Unione Europea e su come opporsi ad essa.
Le conclusioni del Forum del 26 ottobre, hanno in qualche modo ricostruito il filo rosso dell’elaborazione che la Rete dei Comunisti ha messo in piedi in questi anni, riaffermando il valore della proposta di rottura con l’Unione Europea in quanto “nostro” strumento dell’imperialismo. La rottura della catena imperialista nei suoi anelli deboli e la rimessa in campo di alternative – tattiche come l’Area Alternativa Euromediterranea – e strategiche come il socialismo, non può più essere una visione rimossa nella elaborazione e nell’azione dei comunisti sul piano politico, sociale, sindacale, ideologico, anche in questa fase di “interregno e di fenomeni morbosi più svariati” in cui ci troviamo ad agire.
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