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Savona, lavoro, fuga dei giovani

Questa la notizia che sta rimbalzando in questi giorni circa la realtà socio – economica della Provincia di Savona:

Per “Il Sole 24 Ore” Savona è al 72° posto. Nella graduatoria del quotidiano economico della Confindustria – diversa dall’altra classifica elaborata e pubblicata da Italia Oggi – la provincia savonese perde posizioni: nel 2018 era al 51° posto. Savona è al 56°posto per ricchezza e consumi; 53° per ambiente e servizi; 86° per giustizia e sicurezza; 58° per affari e lavoro; 107° demografia e società; 15° cultura e tempo libero. Savona è dietro a Genova al 45°posto a La Spezia al 49°ed è davanti a Imperia all’ 89°posto. In testa alla classifica c’è invece Milano. L’indagine del quotidiano economico è arrivata alla trentesima edizione. Misura il benessere nelle province e nelle città metropolitane italiane con 90 indicatori.

Naturalmente tutte queste graduatorie risultano opinabili e i risultati che ne sortiscono dipendono molto dagli indicatori di volta in volta usati nella ricerca.

Rimane valido però il fatto riguardante la costatazione di un arretramento nella qualità della vita per la nostra Provincia.

Se si esaminano le varie situazioni si può notare come la posizione peggiore per quel che ci riguarda concerne la demografia; cioè l’invecchiamento progressivo della popolazione, che naturalmente porta a un sostanziale immobilismo nelle dinamiche economiche e a una superiore richiesta di servizi deboli dal punto di vista del valore aggiunto.

Occorre però guardare a fondo le ragioni di questo invecchiamento progressivo: fenomeno che dura da molti anni.

La causa principale di questo stato di cose deriva soprattutto dalla carente offerta di lavoro qualificato: fatto che sta alla base della “fuga di cervelli” ormai in atto da decenni, si potrebbe dire fin dagli anni’60, nei settori di maggiore richiesta di professionalità capaci di realizzare “intelligenza produttiva”.

Da un recente sondaggio condotto da “Yougov”, per conto dell’European Council of Foreign Relations nel merito dei fenomeni migratori riguardanti i giovani che dalle province italiane emigrano all’estero o in altre province del Paese, emerge, in maniera assolutamente sorprendente, che dalla provincia di Savona la media di giovani che emigrano verso altre provincie italiane in cerca di lavoro e/o di carriera, è ancora superiore alle media nazionale.

La media savonese, infatti, è dello 0,76% di fronte ad una media nazionale dello 0,53%.

Savona invece non compare nella graduatoria delle province nelle quali la ricerca di emigrazione si rivolge prevalentemente verso l’estero, come accade invece a Imperia che si colloca in questa speciale classifica alla pari di Bolzano: è evidente come il fenomeno risulti accentuato dalla vicinanza delle frontiere e quindi probabilmente si tratta – appunto – di un fenomeno di carattere transfrontaliero.

Il fenomeno savonese s’inquadra, invece, all’interno di una ricerca a raggio ridotto con le mete tradizionali di Genova e Milano privilegiate dai giovani che cercano sbocchi lavorativi più adeguati alle loro capacità e si sentono soffocati da una situazione locale che davvero non offre sbocchi praticabili se non in forma precaria e in settori di secondaria importanza.

Il fenomeno della “fuga dei cervelli” risale molto indietro nel tempo e deve essere considerato come uno dei fattori decisivi della crisi che ha investito la nostra provincia nel quadro di quel processo di deindustrializzazione dovuto soprattutto alla perdita di competitività tecnologica delle nostre più grandi aziende che ha caratterizzato la situazione savonese a partire almeno dagli anni’60.

 In quel periodo, infatti, si avviò, infatti, in una forma quasi “carsica” quella “fuga di cervelli” che poi esploderà in una misura particolarmente evidente negli anni’70-’80, quelli che fecero registrare un incontrovertibile impoverimento generale, mascherato dalla tenuta dei livelli pensionistici degli ex-operai dell’industria e dei portuali che contribuirono a tenere alto il livello medio di vita.

Il fenomeno della “fuga dei cervelli” merita un attimo di approfondimento: a Savona funzionavano allora istituti tecnici di grande prestigio e in grado di formare forti capacità nel campo della ricerca e dell’applicazione; ebbene, gran parte dei diplomati da quegli istituti, proprio a partire dagli anni’60, dovettero cercare lavoro fuori città (in un primo tempo principalmente a Genova, successivamente anche a Milano) perchè la nostra industria che, nel frattempo, aveva subito nuovi colpi sul piano occupazionale, con il ridimensionamento dello stabilimento “Scarpa e Magnano” passato dall’Edison, al momento della nazionalizzazione dell’energia elettrica, al gruppo Magrini di Bergamo che in quella città aveva trasferito quadri tecnici fondamentali per lo sviluppo e il rinnovamento del “know-how” dell’azienda savonese e la partenza per Trieste del reparto fonderia dell’Italsider, aveva già mancato l’appuntamento con i punti più avanzati del processo di riconversione industriale, già in atto in altre parti del Paese: un elemento, questo, che avrà riflessi davvero decisivi sull’insieme della prospettiva economico – sociale del savonese.

Ancora sarebbero da ricordare, soltanto come esempi, la perdita progressiva di know – how della Ferrania dopo la cessione da parte della 3M e l’apertura di una distruttiva fase di confronto sul tema lavoro – ambiente riguardante l’ACNA al riguardo delle quale mancò totalmente la volontà politica di affrontare una questione di portata internazionale.

Per comprendere i fenomeni ancora in atto e che abbiamo segnalato in apertura è necessario risalire all’indietro nella nostra storia industriale per capire le ragioni di un declino ormai inarrestabile per una Città e una Provincia per le quali, nel corso dei decenni, è stato proposto un modello – fondato sulla speculazione – profondamente e colpevolmente sbagliato da parte dell’insieme di una borghesia e di un quadro istituzionale votati alla speculazione e a una visione quasi fatalistica di abbandono all’ineluttabilità dei fenomeni più negativi.

Senza dimenticare la dirimente “questione morale” degli anni’80.

Una borghesia, quella savonese, ridotta alla mera conservazione e accumulazione dei propri patrimoni, incapace di sviluppare un progetto complessivo di riqualificazione dell’economia, con Camera di Commercio e Unione Industriali semplicisticamente abbarbicate nel mantenimento di uno “status quo” che appariva inscalfibile.

 Successivamente, quando questi soggetti si accorsero dell’insostenibilità della loro posizione, non riuscirono a oltrepassare la logica di proposta interna a una “logica di scambio”.

Le istituzioni, dopo un primo tentativo di programmazione comprensoriale della gestione del territorio e del conseguente possibile sviluppo economico (il PRIS che prese avvio nel 1964) cedettero gradualmente alle miopi scelte compiute da quei privati che erano ancora in grado di utilizzare grandi concentrazioni di capitali sul territorio.

Fu quello il momento – appunto – dell’apparire sulla scena della già citata “logica di scambio”.

Si fornì, infatti, il terreno di coltura a forme di intervento (soprattutto in campo urbanistico) sulla base delle quali si stabilì, in Città e nel Ponente, un rapporto diretto tra “cultura del cemento”, deindustrializzazione, pratica delle tangenti.

Si era così aperta la strada alla “fuga dei cervelli”, all’impoverimento generale, a scelte francamente deleterie come quella legata alla davvero deprimente presenza delle crociere, i cui effetti oggi abbiamo con drammatica evidenza sotto il nostro sguardo di ormai anziani osservatori.

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