Intervista con Luigi Del Prete, membro dell’esecutivo della Usb Scuola
D: Venerdi 10 maggio l’Usb scuola sciopererà insieme agli altri lavoratori pubblici su una piattaforma generale che mette in evidenza diversi scheletri nell’armadio. Nella scuola sottolineate due emergenze: gli effetti dell’autonomia differenziata sul sistema di istruzione e la questione di un precariato che sembra ancora lontano da soluzioni dignitose. Vogliamo provare a spiegare quanto pesano queste due contraddizioni nel mondo della formazione?
R: Più che di contraddizione parlerei di coerenza degli interventi dei governi di centro-destra e centro-sinistra in tema di istruzione negli ultimi vent’anni. Entrambi, seguendo le rigorose indicazioni europee che tendono ad omologare i sistemi di istruzione europei nell’ottica di una scuola che formi all’acquisizione di competenze spendibili nel mondo del lavoro, hanno determinato una mutazione profonda della scuola italiana post-resistenziale. Il tema della regionalizzazione non fa altro che portare a conclusione un processo inziato dalla riforma del titolo V della Costituzione, approvata nel 2001, che ha di molto ampliato le competenze delle regioni su materie essenziali, come appunto la scuola e la formazione. Il rischio concreto è quello di costruire una sistema scolastico regionale e di creare inaccettabili differenze all’interno del sistema scolastico nazionale, con le regioni che entrano a gamba tesa nella scelta dei programmi scolastici, nel reclutamento dei docenti e nella gestione degli uffici periferici del Miur, con il chiaro intento di operare un controllo politico/territoriale sulla scuola ed orientarla sempre più verso la formazione professionale e l’educazione alla precarietà. Questa secessione mascherata potrebbe non trovare alcun contrasto, visto che le maggiori forze di presunta “opposizione” sono quel PD che la riforma del titolo V ha voluto fortemente e quei sindacati gialli che parlano nei loro documenti di federalismo cooperativo (CGIL). In questo nuovo sistema con 20 sistemi di istruzione diversi la questione della precarietà diventa centrale, nel senso di un ulteriore processo di precarizzazione del lavoro intellettuale attraverso contratti atipici e una contrattazione di secondo livello regionale che andrebbe a depotenziare il contratto nazionale. Noi chiediamo invece un processo di stabilizzazione del personale precario attraverso un concorso per titoli riservato ai colleghi che hanno 3 anni di servizio (3 x 180), un percorso abilitante speciale gratuito per quanti vogliano acquisire un abilitazione dopo tanti anni di lavoro nella scuola e la trasformazione di tutto l’organico di fatto in organico di diritto, per garantire l’immissione in ruolo dei precari delle gae (graduatorie ad esaurimento, ndr), l’esaurimento delle graduatorie concorsuali ancora vigenti e consentire il ritorno dei docenti precari/esiliati nelle loro terre con una mobilità straordinaria.
D: Nel mondo della scuola abbiamo assistito ad una plateale “ritirata” di Cgil Cisl Uil che hanno revocato lo sciopero convocato per il 17 maggio. Come ve lo spiegate questo atteggiamento?
L’atteggiamento dei sindacati gialli riprende uno schema già evidenziatosi con lo sciopero del 5 Maggio, con il chiaro intento di acquisire un potere di contrattazione che loro stessi hanno svilito negli ultimi anni, firmando contratti a perdere con aumenti stipendiali ridicoli e offensivi per la categoria. Il ritiro dello sciopero del 17 Maggio, in cambio di tavoli tematici “fuffa” su precariato, dirigenti scolastici, personale Ata ecc. ecc., mentre resta totalmente fuori il tema della regionalizzazione, testimonia che ormai la loro funzione di stampella del governo avviene in cambio di ben poca roba e che l’obiettivo di Landini di costruire il sindacato unico filo-governativo con Cisl e Uil sia pienamente in atto. Naturalmente siamo lontani dalla consapevolezza, da parte dei lavoratori della scuola e pubblici, della funzione ormai svolta dai sindacati gialli, ma crediamo resti prioritario nella coerenza del nostro percorso continuare a mantenere la barra dritta e non lasciarsi scalfire dall’emozionalità momentanea della vacua unità con i sindacati complici, pronti a tradirti un secondo dopo.
D: Ci sono però alcuni sindacati di base che, nonostante questa debacle, hanno voluto mantenere lo sciopero nella data del 17 maggio. Avete avuto modo di interlocuire con loro? Quali risposte avete ottenuto?
R: USB ha proclamato lo sciopero del 10 maggio molto prima dei confederali e come comparto scuola per due mesi ci siamo tenuti lontani da quei proclami fintamente unitari, che vedevano concertativi e gran parte del sindacalismo di base insieme, consapevoli di quale sarebbe stato il risultato e di come avrebbero portato la categoria a sbattere contro un muro di gomma. La data del 10 maggio è ad oggi l’unica data con una piattaforma chiara, rivendicativa e conflittuale, sulla quale chiediamo ai lavoratori di scioperare e su cui abbiamo chiesto al sindacalismo di base di aderire, per non continuare a perseverare negli errori e finirla di confondere i lavoratori. La risposta è stata che avremmo dovuto scioperare noi il 17 Maggio, per riempire le caselle vuote lasciate da Cgil, Cisl, Uil, Snals e Gilda, in una giornata di sciopero indetta dai sindacati gialli, dopo che questi hanno sedotto ed abbandonato una parte del sindacalismo di base. Vogliamo essere chiari: le battaglie che vogliamo condurre, soprattutto quella contro il progetto di regionalizzazione, infatti, richiedono un intervento più ampio di quello del solo comparto scuola e soprattutto necessitano di un fronte assolutamente alternativo a Cgil, Cisl e UIL. Il sindacalismo di base, rispetto alla cui storia abbiamo operato un superamento in termini di elaborazione politica e di funzione del sindacato, è ormai un semplice sindacato di categoria della scuola, chiuso in logiche di guerra interna per una velleitaria supremazia dello 0,5 % all’interno del comparto. Con coerenza rispetto al nostro progetto, stiamo cercando di ricostruire l’unità dei lavoratori del pubblico impiego e del privato, e crediamo che la nostra crescita nella scuola in termini di iscritti e voti alle RSU testimoni che anche i lavoratori della scuola ormai non vogliano più sentirsi isolati all’interno del mondo del lavoro e stiano comprendendo che ci sia sempre più bisogno di un sindacato confederale, di massa e di classe, capace di rispondere compattamente all’attacco rivolto a tutti i lavoratori pubblici.
D: Il mondo della formazione è uno snodo del controllo ideologico sulla società. A Roma e Palermo avete organizzato un convegno contro il feticcio delle competenze con cui il sistema dominante vorrebbe sostituire la conoscenza. Qual è la posta in gioco sul terreno della qualità e della libertà dell’istruzione nel nostro paese e in Europa?
R: In questi due anni come Cestes/USB abbiamo portato avanti un lavoro di formazione che ha messo al centro il tema della “didattica per competenze”, con il contributo fondamentale di Nico Hirtt che sarà di nuovo presente in Italia per due nostri convegni a Roma il giorno 8 e a Palermo il giorno 9 maggio. La parte consapevole del mondo scolastico italiano deve giungere ad una assunzione piena del piano di analisi sull’Europa. La UE, attraverso le proprie indicazione e i propri documenti sulla formazione, ha individuato nella scuola pubblica statale il principale strumento ideologico per muovere la società in tre direzioni: controllare la formazione delle nuove generazioni, sostituendo alla “pedagogia dei saperi” la “pedagogia delle competenze” (soft skills), attraverso l’apprendimento di strategie da spendere nel mondo del lavoro, mutuandole dal mondo militare ed imprenditoriale, con l’obiettivo di creare lavoratori capaci di “competere” in un mondo del lavoro sempre più flessibile, sottopagato e liquefatto; limitare la libertà d’insegnamento attraverso un dispositivo di potere fatto di prove standardizzate, rigida misurabilità dell’apprendimento, diminuzione delle ore in classe ed aumento delle attività di alternanza-lavoro e progettuali, mutuando l’idea che il docente non debba più trasmettere conoscenze, ma come nella Marilyn Monroe di Bianca l’insegnante “non deve formare, ma informare”; fornire al mondo imprenditoriale una manodopera in grado di sottostare silente alle regole del mercato capitalistico e finalmente garantire quella saldatura tra mondo del lavoro e istruzione statale che ha rappresentato a partire dagli anni ’80 il grande obiettivo della imprenditorialità capitalistica mondiale e del sistema finanziario, così come vagheggiato da Milton Friedman in Capitalismo e Libertà. Se questo è il nemico che dobbiamo combattere, si apre una lunga fase di lotta sindacale, politica, teorica e culturale, in cui l’obiettivo al momento rimane quello della accumulazione delle forze e non può certo confondersi con le ammucchiate intorno ai feticci della unità delle sigle sindacali.
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