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Thierno, il vetraio del Sahel

Ha imparato il mestiere nella capitale della Guinea, Conakry. Gli muore il padre e lui, Diallo Thierno, da nuovo capofamiglia responsabile, parte in Algeria dove si è giusto celebrato un anno dall’inizio del movimento popolare Hirak. Thierno fa la Hirak, parola che significa ‘movimento’, a suo modo. Mentre quella ufficiale ha, tra l’altro, impedito al candidato Boutefika di presentarsi alle presidenziali per la quinta volta difilata, la sua è ‘movimento’ migratorio, non meno rivoluzionario, di questi tempi repressivi per la mobilità umana dei poveri.

Con l’adesione della moglie e dopo il saluto ai due figli, Thierno parte all’insaputa della madre alla volta del Mali e come di costume, è subito derubato dei suoi averi da gruppi armati appena passta la città storica di Gao. Non si scoraggia e arriva nella capitale Algeri dove pensa di esercitare la stessa professione che gli consentiva di campare nel suo Paese. Stesso vetro ma non lo stesso sistema di installazione negli infissi e questo obbliga Diallo a continuare la sua formazione adattandola ai bisogni e usi locali. Le cose andavano bene fino al giorno in cui, lavorando ad un soffito, cade e si rompe il polso. Ne ha per un anno, tra cure clandestine e nascondimenti strategici nei confronti della polizia, che è alla caccia di ‘irregolari’ da espellere dal Paese.

La vita di Thierno si è fatta fragile come il vetro che maneggiava con talento prima dell’incidente sul lavoro. La moglie e sua madre fanno pressione perché torni a casa perché, gli dicono, il vetro c’è anche nel suo Paese e forse fatto di più grande dignità che in Algeria. Concorda con l’invito anche perché negli anni che ha passato ad Algeri, si sentiva disprezzato come uno schiavo perché povero e nero. Dice che se non ne avesse fatto l’esperienza, mai e poi mai avrebbe creduto al razzismo di una parte degli algerini. Racconta che un giorno, sulla strada, un tizio passando in auto, lo ha colpito con la mano e la cicatrice di questa ferita in lui non si è più rimarginata.

Assieme ad insulti e alla necessità di nascondersi per evitare di essere cacciato, Thierno, vetraio del Sahel, scopre anche la sua fragile presenza in un Paese che sente nemico e sceglie allora di tornare al vetro di casa sua. Inizia il cammino a ritroso e, aiutato dall’associazione ‘Incontro e Sviluppo’ basata ad Algeri, passa Tamarraset e, dopo il consueto tragitto si trova nei pressi di Arlit, città nata dall’uranio e contaminata fin dagli anni ’70. Prima di raggiungerla il loro mezzo è attaccato da banditi armati che, forse complici dell’autista, hanno portato via tutto quanto i migranti avevano messo da parte.

Thierno aveva un po’ di soldi per iniziare una vetreria e alcuni cellulari che un amico gli aveva affidato perché li portasse alla sua famiglia, in Guinea. Gli è stato rubato tutto e solo gli hanno lasciato, per compassione o dimenticanza, una piccola borsa di pelle e l’altra di plastica, entrambe molto leggere, perché contenevano polvere e un unico indumento per il viaggio.

Dopo essere passato dalla capitale degli aiuti umanitari ai migranti nell’impossibilita a continuare il viaggio, Agadez, arriva con pudica dignità a Niamey da dove è stato aiutato ad incamminarsi verso il suo paese, passando dal Mali. Il lavoro di vetraio gli piaceva e, secondo le informazioni raccolte prima di partire, in Algeria poteva far fortuna non gli fosse successo l’incidente che gli ha fatto chiudere l’esperienza algerina. Anche lui, come il Sahel e come il vetro, sono fragili e sembrano spezzarsi da un momento all’altro quando soffia il vento con la polvere del deserto.

La stessa fragilità delle nostre vite che, come quella dell’amico Pierluigi Maccalli ostaggio di sconosciiuti da 17 mesi, potrebbe facilmente scomparire inghiottita dalla sabbia fine che le strade ci regalano fresca di giornata. La fragilità del sistema scolastico che gli attacchi dei gruppi armati ha contribuito ad evidenziare.

Nella zona a cavallo tra le tre frontiere, il Burkina, il Mali e il Niger, sono state chiuse migliaia di scuole elementari e vari maestri uccisi perché rappresentanti, secondo l’ideologia che guida questi gruppi, del male assoluto. La fragilità delle vite, scartate fin dall’inizio perché povere, si vede nei figli dei contadini, nei giovani derubati del futuro e nelle donne che, nella resilienza che le caratterizza, portano sulle loro spalle la sofferenza e la certezza del domani. Thierno, il vetraio del Sahel, guarda il mondo con una nuova trasparenza e torna a casa con uno spezzone di vetro che le guardie di frontiera hanno giudicato senza importanza.

*Niamey, febbraio 2020

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