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Inghilterra, crisi sociale senza precedenti

Un’occhiata ai video trasmessi dalla Bbc, dai siti del “Guardian”, “Al Jazeera” ecc. chiarisce subito che la realtà è completamente diversa. La sommossa è capillare, largamente spontanea, anche se facilitata dalla disponibilità di tecnologie dell’informazione a basso costo, e soprattutto trasversale. Nelle strade si vedono giovani incappucciati, adolescenti che si scontrano con la polizia e gente di ogni età che saccheggia negozi. Di ogni origine e provenienza, ma accomunati dal vivere nei distretti più poveri che circondano il centro privilegiato e alla moda di una delle capitali della finanza mondiale.
Non c’è nulla di stupefacente nel fatto che, oltre alla polizia, largamente detestata, siano presi di mira i negozi Sony, Foot Locker e MacDonald, le gioiellerie e i grandi magazzini. Cioè i simboli tangibili di un’opulenza alta o media da cui evidentemente gran parte della popolazione londinese è esclusa. Esattamente come a Los Angeles nel 1992 la popolazione di South Central si riversò nei quartieri occidentali e benestanti della metropoli e a Parigi, nel 2005, i banlieusard misero e ferro e fuoco gli Champs Elysées. Nella forma elementare e pre-politica del saccheggio, si tratta di lotta di classe. Esattamente ciò che l’establishment inglese esorcizza parlando di mero vandalismo e le prime timide voci di esperti delle varie comunità locali o attivisti sociali cominciano a definire per quello che è, reazione ai tagli imposti dal governo conservatore.
D’altra parte, le manifestazioni dello scorso inverno contro l’aumento delle tasse universitarie erano un segnale clamoroso del disagio giovanile e cioè della proletarizzazione dei membri più deboli del ceto medio. Il benessere di una delle società considerate più stabili dell’occidente è sempre stato apparente. O meglio, è un benessere limitato a chi vive di finanza e delle sue ricadute (il commercio, l’informazione, i servizi, il lusso ecc.), ma che non tocca il resto della società, largamente de-industrializzata e impoverita.
Che oggi siano state vietate perfino le partite di calcio, in Inghilterra uno sport tradizionalmente considerato capace di assorbire i conflitti sociali e generazionali, la dice lunga. Non si tratta solo di una misura di ordine pubblico. È il segnale che la società inglese, sotto l’apparenza dei suoi rituali di massa, è profondamente in crisi.
Ciò che sorprende di più è semmai che nessuno abbia messo in relazione le sommosse inglesi con la crisi finanziaria che da anni sta scuotendo l’occidente e oggi sembra avviata verso una catastrofe. Londra in particolare, come terza piazza finanziaria al mondo, è l’espressione del dominio della finanza sull’economia reale. Nel mondo, il volume della prima è oggi sei volte di quella reale. L’attacco ai debiti pubblici, e cioè alla sovranità degli stati, da parte della speculazione internazionale, non trova che le solite risposte di una politica economica recessiva e prona ai diktat delle società di rating, ovvero delle banche americane e inglesi. Ma a che cosa potranno portare i tagli alle pensioni, all’alta formazione, alla sicurezza sociale e all’assistenza medica? Esattamente a quello che sta succedendo in Inghilterra.
In questo senso, Londra e Birmingham, Bristol e Manchester anticipano quello che inevitabilmente avverrà in Spagna, Italia e probabilmente Francia quando la società sarà chiamata a pagare il conto di una politica economica ottusamente liberista e delle guerre insensate che stanno prosciugando le risorse degli stati occidentali. Certo, le sommosse non si possono prevedere, ma una crisi sociale senza precedenti è alle porte, anzi è già iniziata.

* da Liberazione del 10 agosto

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