«De Tormentis» è l’eteronimo sotto il quale si nasconde l’identità dell’ex funzionario Ucigos (oggi denominata Polizia di prevenzione) che era a capo della speciale squadretta addetta alle sevizie, in particolare allatecnica del waterboarding, utilizzate per estorcere informazioni durante gli interrogatori contro i militanti, o supposti tali, delle Brigate rosse.
In una intervista rilasciata al secolo XIX il 24 giugno 2007, sotto anonimato, “De Tormentis” raccontava di aver prestato servizio in polizia per quasi tre decenni, dove era entrato alla fine degli anni Cinquanta uscendone con il grado di questore per poi esercitare la professione di avvocato (un vero insulto alla categoria) presso il foro di Napoli. Pare, dicono alcune voci, con pessimi risultati; il che non deve certo sorprendere visto il curriculum del personaggio.
Sempre “De Tormentis” aggiungeva di aver lavorato in Sicilia, partecipando alle inchieste che portarono alla cattura di Luciano Liggio e Totò Riina (il primo arresto di quest’ultimo, nel 1963, prima della lunghissima latitanza), poi a Napoli, sia alla squadra mobile sia all’ispettorato antiterrorismo creato da Emilio Santillo per approdare dopo lo scioglimento dei nuclei antiterrorismo di Santillo all’Ucigos (Ufficio centrale per le investigazioni generali e le operazioni speciali), dove ha coordinato i blitz più «riservati».
Nella stessa intervista riferiva di essere raffigurato in una delle foto simbolo scattate in via Caetani, tra gli investigatori vicini alla “Renault 4″ dove si trovava il corpo senza vita di Moro.
Il giornalista di destra Nicola Rao nel suo libro, Colpo al cuore: dai pentiti ai “metodi speciali”, come lo Stato uccise le Br. La storia mai raccontata, Sperling&Kupfer 2011, racconta così l’incontro con De Tormentis:
Nella hall di un albergo di Napoli un sabato pomeriggio, il 12 febbraio 2011. Accompagnato dalla sua signora, che ha preferito rimanere in disparte, il «professor de tormentis» (che, dopo essere stato nominato questore, abbandonò la polizia e oggi fa l’avvocato) ha deciso di affrontare la situazione, accettando di rispondere (anche se alla sua maniera) alle mie domande.
Prima di cominciare, gli ho chiesto se avesse nulla in contrario a che il colloquio fosse registrato, e lui ha acconsentito.
Il personaggio ha una sua dignità e un suo mondo. Nel suo esordio c’è tutto: «Io sono stato un combattente, perché quella contro le Brigate Rosse era una guerra. Una vera e propria guerra». E in guerra ogni mezzo è lecito per concluderla e vincerla.
Entro subito nel merito: «Quando è stato deciso di procedere al trattamento? Quando le è stata delegata la gestione di questa pratica? Quando ha cominciato a mettere su la sua squadra? Perché solo dopo il rapimento di un generale americano e non prima?»
Ecco la sua risposta: «Lo avevamo fatto anche prima… con Triaca [esponente delle Br arrestato subito dopo il delitto Moro, N.d.A.]. Comunque il trattamento è anche una cosa molto razionale. Non solo fisica. Nel senso che, se viene davanti a te una persona arrestata che tu, per l’esperienza che hai, ritieni uno che offende la tua intelligenza, perché nega l’evidenza e magari dice evidenti cazzate, non ha senso dirgli: ‘Scusi, è stato lei a commettere quel delitto?’ Così non si ottiene niente. Allora gli chiedi: ‘Ma perché vuoi offendere la mia intelligenza? Non si offende l’intelligenza di un rappresentante dello Stato’. E allora il… ehm… come dire… il contrasto, ecco, sì, il contrasto fra noi e loro entra nella fase… importante».
E ancora: «Se le Br non fossero state affrontate in certi modi, avrebbero continuato ad ammazzare. Più che trattamento, io la chiamerei ‘decisione’».
Gli domando: «Il ministro dell’Interno dell’epoca, Virginio Rognoni, ha più volte detto che il governo italiano ebbe pesanti pressioni dall’amministrazione statunitense, anche perché non era mai accaduto prima che un generale americano venisse rapito in Europa. Immagino che a quel punto il governo abbia a sua volta fatto forte pressione sulle forze dell’ordine per cercare di risolvere la questione…»
Il professore: «Tu (inizialmente aveva esordito chiedendomi se potessimo darci del tu) sei una persona intelligente. Non hai bisogno che te lo dica io. Ma oltre quello che ti ho detto non posso andare, perché non sono segreti che riguardano la mia persona, sono segreti che riguardano qualcosa di ben più grande e di molto più importante: sono segreti che riguardano lo Stato. Devi andare oltre. Sono segreti dello Stato. Quelle richieste ci sono state, ma sono cose che non si possono raccontare… Molto importante è l’ultimo gradino dello Stato, quello che sta in trincea. In casi del genere è l’ultimo gradino, chi fa le investigazioni, che avverte se alle sue spalle c’è qualcuno a coprirlo o non c’è nessuno. E quando si agisce per lo Stato e hai le spalle coperte, la ‘decisione’ aumenta…»
Insisto: «Ma l’acqua e sale, il panno sul viso…»
Mi interrompe subito: «Nooo. Senti, Nicola, non sono cose mie, ma sono cose che riguardano lo Stato, non posso dire nulla di più di quello che ho detto. Me le porterò nella tomba. E poi non è quello che aggiunge qualcosa. E tutto il complesso che deve creare il funzionario responsabile di un’operazione…»
Faccio un ultimo tentativo: «E vero che due funzionari della Cia hanno assistito ad alcuni trattamenti e sono rimasti addirittura meravigliati dalla vostra tecnica?»
«Gli italiani sono i migliori del mondo», mi risponde. «Tu avrai avuto a che fare con tuoi colleghi giornalisti stranieri, immagino. Erano alla tua altezza? Secondo me no. Siamo i migliori, a cominciare da come mangiamo, da come ci vestiamo. Non sono stati gli americani a insegnarci certe cose. Siamo i migliori. Se quindi eravamo autodidatti? Io sono cresciuto in mezzo alla strada, sono abituato a certi discorsi, a certi ragionamenti. Lì, nell’attività di polizia ci vuole stomaco. E gli altri Paesi lo stomaco non ce l’hanno come ce l’abbiamo noi italiani. Siamo i migliori. I migliori! A un certo momento i nostri lacciuoli, che ci comprimono e ci condizionano, sono delle scuse per quelle persone che non hanno stomaco. Questa è la verità.»
Dopo due ore e mezzo di duello dialettico, il «professor de tormentis» mi saluta in compagnia della moglie. Pur non dicendomi niente di esplicito, mi ha detto molto. Mi ha confermato l’esistenza del trattamento da lui gestito. Mi ha confermato che qualche apparato superiore glielo ordinò e che si sentiva coperto dai suoi superiori. Mi ha ribadito che certe cose sono accadute perché era l’unico modo per porre fine, al più presto, alla follia omicida delle Br. Un po’ come gli Stati Uniti, che decisero di ricorrere alla bomba atomica per anticipare la fine della guerra ed evitare altre migliaia di morti nelle proprie file.
Terminato il libro, le domande senza risposta si sono moltiplicate. Chi decise di ricorrere a mezzi non convenzionali per distruggere definitivamente le Br? A quale livello? In quale sede? Chi sapeva e chi non sapeva? E perché fu deciso soltanto quando le Br rapirono un generale americano? Come mai le denunce di decine di brigatisti «trattati» sono cadute nel dimenticatoio, mentre le uniche che hanno avuto una conseguenza processuale sono quelle relative a una brutta imitazione del trattamento vero e proprio? Quanto avrebbero ancora ucciso le Br se non si fosse deciso di ricorrere in alcuni casi al waterboarding? Quanto sangue avrebbero ancora versato? E ancora: Dozier sarebbe stato liberato comunque? E gli americani che ruolo ebbero in questa vicenda? Molti di tali quesiti, probabilmente, sono destinati a rimanere senza risposta per sempre. Ma può anche darsi che qualcun altro, dopo di me, avrà l’interesse, la curiosità, la voglia, la pazienza, gli strumenti per approfondire questa vicenda, e magari anche la fortuna di poterla ricostruire fino in fondo.
Da http://baruda.net/2011/12/01/torture-in-italia-chi-sara-questo-professor-de-tormentis/
vedi un precedente articolo di Paolo Persichetti sulla stessa vicenda
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