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Siria. Alawiti, drusi, cristiani: la paura delle minoranze

«Ormai riconosci al primo sguardo chi è a favore di Bashar e chi è contro», racconta Lina, una ragazza cristiana di 25 anni che lavora in un’azienda farmaceutica. «Sento sempre più discorsi razzisti e settari. Per quasi mezzo secolo mentre la retorica baathista pan-araba e secolare recitava “andiamo tutti d’accordo» in realtà all’interno delle comunità noi cristiani crescevamo ascoltando pregiudizi sui musulmani e dei musulmani sui cristiani. Le comunità sono chiuse. I cristiani, anche se senza velo, non sono più aperti. Ora la maschera è caduta». Le minoranze – alawuiti (una setta sciita a cui appartiene la famiglia al Assad), cristiani, drusi – sono terrorizzate che il crollo di Bashar al Assad favorirà l’ascesa al potere dei fondamentalisti sunniti, ciò che vorrebbe dire la fine. L’esempio dei confinanti Libano ed Iraq è davanti agli occhi e l’evoluzione delle rivoluzioni in Tunisia, Egitto e Libia non li rassicura, commenta Lina. «Molti fra le minoranze appartengono sinceramente ai mnehbbakyeen («ti amiamo», i sostenitori di Bashar al Assad). Lo amano davvero perché per loro rappresenta la sicurezza e anche la libertà, la loro libertà. Pensano sia in corso una battaglia per la vita. Credono ciecamente alla realtà dei fatti presentata dalla tv statale.

Alcuni si lamentano che Bashar sia troppo tenero con gli oppositori e rimpiangono suo padre Hafez, che avrebbe già risolto tutto. Il risultato di questo clima di paura è che nel mio villaggio tutti si sono armati», continua Lina. Nonostante alcuni importanti esponenti delle minoranze nel fronte delle opposizioni (come Michel Kilo, cristiano, e Aref Dalila, alawuita) e slogans per la coesistenza («il popolo siriano è uno solo») cantati durante le proteste, si sono ascoltati anche cori settari contro la minoranza alawuita. Lo scontro tra sostenitori del regime di Al Assad e oppositori sta assumendo sempre più i connotati di scontro settario. A Homs, città che riproduce il mosaico etnico e religioso siriano, esiste ormai una netta separazione tra i quartieri sunniti, roccaforte delle proteste, e quelli della minoranza alawuita leali al governo. Si moltiplicano gli omicidi spesso a scopo di vendetta e di rapimenti settari per richiedere il rilascio di prigionieri. «L’esercito ha attaccato il vicino villaggio di Rakous, sunnita, teatro di proteste, e una banda di Rakous per vendetta ha attaccato la stazione di polizia di Sednaya, il mio villaggio cristiano», racconta Lina.
Tra la maggioranza sunnita della popolazione serpeggia risentimento nei confronti della minoranza alawuita, accusata di aver goduto di privilegi, quali impieghi garantiti nell’amministrazione statale e nelle forze di sicurezza. Alawuiti sono la maggior parte degli ufficiali dell’esercito (ma i coscritti in maggioranza sono sunniti), e la totalità delle truppe scelte come la Guardia repubblicana comandata da Maher al Assad. «Solo gli alawuiti legati alla cricca mafiosa clanica degli al Assad hanno beneficiato del potere e il nostro dissenso viene punito ancora più duramente», dice Moonif Mulah, alawuita, dissidente e marxista, 17 anni di prigione alle spalle, la casa di recente bruciata dai lealisti.
Secondo l’ultimo rapporto sulla Siria dell’International Crisis Group, soffiando sul fuoco della paura dello scontro settario e utilizzando milizie lealiste formate prevelentemente da alawuiti (chiamate shabbiha) per reprimere brutalmente le proteste, il regime ha reso gli alawuiti ostaggio della propria politica. E l’opposizione appare ancora incapace di rassicurare le minoranze sul loro destino in un (eventuale) futuro post Assad in Siria.
«Stupisce in realtà che dopo tutti questi mesi di crisi e l’intensità delle violenze, non sia ancora scoppiato uno scontro settario su larga scala – commenta un anonimo analista occidentale -. Ma ogni giorno che passa e ogni vittima in più, il paese si incammina verso una guerra civile su linee comunitarie, in particolare nello scontro tra sunniti e sciiti».

* Il Manifesto dell’11 gennaio 2012

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