Un centinaio fra studenti, lavoratori, delegati sindacali e compagni di diverse provenienze politiche hanno ascoltato per più di due ore Jon parlare di indipendentismo, socialismo, lotta di classe in Euskal Herria e in Europa. Lungo e partecipato è stato anche il dibattito, che ha visto intervenire operai dell’IRISBUS, lavoratori del porto e del trasporto pubblico etc.
Visto l’interesse suscitato dall’iniziativa, proviamo a riportare gli elementi più interessanti che sono venuti fuori in quella che è stata, anche per la bravura ed il calore umano del compagno, quasi una chiacchiera informale, un confronto fra persone che innanzitutto condividono gli stessi problemi, le stesse speranze e la stessa volontà di trasformazione della realtà così misera del capitalismo.
Nell’intervento di apertura abbiamo sottolineato le difficoltà di questa fase: da un lato c’è infatti la consapevolezza, ormai sempre più di massa, che i prossimi tempi saranno duri, che queste manovre e le misure previste da Berlusconi e Monti non tolgono solo soldi, ma anche diritti, ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani etc, dall’altro lato però si stenta a far partire una mobilitazione di massa che riesca ad opporsi a questi provvedimenti. Questo perché c’è sfiducia, non c’è un soggetto politico che possa essere riferimento: i partiti di sinistra sono da tempo – e meritatamente, visto quello che hanno fatto – caduti in disgrazia, si può dire lo stesso dei sindacati confederali, anche loro complici di troppi accordi al ribasso; quanto a quelli di base o alla FIOM si vede bene come siano ostacolati ed attaccati fino a non avere margini di azione. Quanto al Movimento, nemmeno lui ha molta credibilità: si “sente” che le manifestazioni-sfilata non bastano più, ma nemmeno gli exploit mediatici che il giorno dopo lasciano tutto come prima…
Eppure non bisogna rassegnarsi: questa fase ci apre enormi possibilità, perché dietro la sfiducia e la depressione c’è la rabbia, la voglia di mettere tutto in discussione, di liberarsi da queste catene.
C’è insomma bisogno di qualcosa in più, e c’è bisogno di costruirlo insieme. Questo “qualcosa in più” è sia una chiarezza di analisi (ovvero: capire bene cosa sta succedendo, come funziona oggi il lavoro, mettersi d’accordo su chi sono gli amici e chi i nemici etc), sia una chiarezza di programma (cioè articolare delle proposte di lotta e di alternativa rendendole comprensibili a tutti), sia una determinazione nelle pratiche da seguire (cioè convincere gli altri con i fatti, con una presenza sistematica nei luoghi che vivono le persone, con l’importanza dell’esempio).
Proprio per questo è importante l’esperienza basca: perché lì abbiamo l’esempio di un movimento forte e determinato, in cui l’indipendentismo ed il senso di appartenenza “nazionale” non si declina in senso tradizionalista o reazionario, come “fatto di sangue”, o romanticismo verso una terra, ma come progetto socialista, come creazione di un mondo diverso. E, ancora, lì il movimento ha il merito di essere sia organizzato – ovvero ben strutturato dal punto di vista politico, sociale sindacale – sia unito, cioè pronto a discutere ma anche a marciare insieme verso gli stessi obbiettivi, con fiducia reciproca.
In questa chiave l’esperienza del LAB diventa quanto mai interessante non perché ci dia ricette automaticamente valide qui, ma perché ci dimostra che:
a) In altre parti di Europa c’è gente che lotta proprio come noi, contro le stesse misure che subiamo anche noi. E con loro – così come con i greci, i portoghesi etc, ci dobbiamo coordinare se vogliamo invertire la rotta a livello europeo, per non giocare su uno scacchiere più ristretto di quello su cui giocano i nostri padroni.
b) È possibile un altro modo di fare sindacato, essendo contemporaneamente sia di massa che di “base”, cioè portando avanti la lotta, senza burocrazie e compromessi.
Jon si è infatti incaricato di dimostrare, con un video, enumerando dati, raccontando qualche vertenza, che l’esperienza basca, se non proprio vincente, è sicuramente in controtendenza rispetto alle sconfitte che la sinistra anticapitalista ha subito nello stato spagnolo come in Italia. Il LAB, ad esempio, è un sindacato che conta circa 50.000 iscritti su tre milioni di abitanti – per intenderci: fatte le dovute proporzioni in Italia sarebbero un milione! –, è un sindacato che non va alla negoziazione sempre e comunque, ma firma solo i contratti migliorativi; è un’organizzazione che, insieme agli altri sindacati baschi, ha dichiarato in tre anni ben tre scioperi generali (nello stato spagnolo nello stesso periodo ce n’è stato solo uno, e subito dopo i sindacati che l’avevo indetto sono stati pronti a firmare l’innalzamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni), arrivando a bloccare fino all’80% delle fabbriche, dei negozi, dei trasporti.
Una presenza di massa e radicale che fa sì che in Euskal Herria si lavori di meno (nel settore pubblico 35 ore contro le 37,5 della media spagnola), si sia pagati un poco di più, ci sia meno precarietà. Un sindacato la cui differenza è data anche dal fatto che i giovani sono la maggioranza e che la direzione centrale è fatta per metà da donne, dal fatto che è autofinanziato con le sottoscrizioni dei lavoratori e non prende fondi dallo Stato. Una presenza, quella del LAB, che fa molta paura, tanto che il suo storico segretario Rafa Diez, nel 2009 è stato arrestato e condannato dallo stato spagnolo a dieci anni di carcere per “aver provato a ricostruire Batasuna”, il partito della sinistra abertzale dichiarato fuorilegge perché contro lo Stato…
Jon ha anche sottolineato quanto sia stato fasullo il tanto celebrato “miracolo spagnolo”, ovvero quell’applicazione violenta del neoliberismo che negli anni 2000 è stata spacciata per “progresso”, e che invece ha comportato solo il dilagare di contratti precari, la compressione di salari e soprattutto di diritti. Dal 2008 in poi, il “miracolo” si è trasformato in un incubo, con alti tassi di disoccupazione e crisi per molte imprese. Anche per questo il LAB sostiene che bisogna coordinarsi a livello europeo: queste misure di “riforma” del mercato del lavoro, di privatizzazioni, di liberalizzazioni (il LAB proprio in questi giorni sta conducendo una vertenza per impedire che i negozi siano aperti la domenica, come succede nel resto dello stato spagnolo, per evitare che i giovani commessi siano ancora più sfruttati), vengono decise dall’alto, arrivando al paradosso di governi a tutti gli effetti commissariati, e non possono trovare risposta soddisfacente sul piano regionale o nazionale. Bisogna essere uniti e internazionalisti almeno quanto lo è la classe borghese.
Rispondendo alle domande dei lavoratori, Jon ha illustrato la struttura organizzativa del LAB, battendo sull’assenza di burocrazia e sul rifiuto di qualsiasi forma di prebenda sindacale, e ha dato molta importanza all’articolazione territoriale del sindacato, al fatto che i militanti partecipano in diversi comitati, associazioni, caratterizzandosi come elementi di riferimento nella vita civile dei piccoli centri baschi, un’articolazione che permette di intercettare anche lavoratori precari o facenti parte di realtà lavorative più piccole e per questo difficilmente coinvolgibili.
Ciononostante, Jon ci ha tenuto a ribadire che, per quanto grande e per quanto forte, nessuna organizzazione è sufficiente e soprattutto autosufficiente. I popoli si liberano da soli, i percorsi si costruiscono collettivamente: il nostro compito come militanti è di essere umili, cercare di avviare processi più grandi di noi, dare ai lavoratori degli strumenti e spingerli a farsi carico del loro destino, non nascondendo mai quello che vogliamo – il socialismo – ma condividendo la strada con chiunque sia sincero ed interessato a lottare, non rifuggendo il confronto con nessuno purché non sia fra le fila degli oppressori. È questo “stile” di lavoro, semplice e serio, orientato alla pratica quotidiana ed al tanto che c’è da fare, che forse può farci mettere da parte frazionismi, micro-appartenenze e spingerci a lavorare tutti insieme. Perché la necessità oggi – e questa è anche l’esortazione con cui Jon ha concluso il suo intervento – è “organizarse, organizarse, organizarse!”.
Pensiamo che sia questo invito quello che debba essere ripreso con più urgenza, ma non in maniera rigida o settaria: il primo passo per organizzarsi davvero è discutere, condividere materialmente dei percorsi, e dimostrare attraverso questi percorsi che c’è un modo di fare le cose che porta alla vittoria.
*COLLETTIVO LAVORATORI DELLA METROPOLI IN LOTTA “CLASH CITY WORKERS” – NAPOLI
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