La prima cosa, e la più ovvia, è la ratifica del mandato popolare per continuare ad avanzare nel cammino tracciato, ma, come ha detto Correa nella sua conferenza stampa, avanzando più rapidamente e in profondità. Il presidente rieletto sa che i prossimi quattro anni saranno cruciali per assicurare la irreversibilità delle riforme che, alla fine di dieci anni di gestione, avranno rifondato un Ecuador migliore, più giusto e più sostenibile. Nella citata conferenza stampa ha testualmente detto: “o cambiamo ora il paese o non lo cambiamo più”. Il progetto di creare un ordine sociale basato sul socialismo del sumak kawsay, il “vivere bene” dei nostri popoli originari, esige che si agisca con rapidità e determinazione. Ma questo lo sanno pure la destra nazionale e l’imperialismo, e per questo si può predire che raddoppieranno gli sforzi per evitare il consolidamento del processo della “Rivoluzione Cittadina”.
Seconda lezione: se un governo obbedisce a un mandato popolare e produce politiche pubbliche che beneficiano le grandi maggioranze nazionali –che di questo alla fin fine è fatta la democrazia- la lealtà dell’elettorato può darsi per scontata. La manipolazione delle oligarchie mediatiche, la cospirazione delle classi dominanti e gli stratagemmi dell’imperialismo si infrangono contro il muro della fedeltà popolare.
Terzo, a corollario di quanto detto sopra, lo schiacciante trionfo di Correa dimostra che la tesi conformista tanto comune nel pensiero politico convenzionale che: “il potere logora”, è valida in democrazia solo quando il potere si esercita a beneficio delle minoranze ricche o quando i processi di trasformazione sociale perdono spessore, esitano e finiscono per fermarsi. Quando invece si governa tenendo presente il benessere delle vittime del sistema, succede quello che è successo ieri in Ecuador: se nelle presidenziali del 2009 Correa ha vinto nella prima tornata elettorale con il 51 % dei voti, ieri l’ha fatto, secondo il conteggio del momento in cui questa nota è stata scritta (cioè circa il 25% di voti scrutinati) con il 57%. Invece di “logorio” c’è consolidamento e crescita del potere presidenziale.
Quarto e ultimo, con questa elezione si supera la paralisi decisionale generata da un’Assemblea Nazionale che si è opposta con intransigenza ad alcune delle più importanti iniziative proposte da Correa. Anche se ci sono poche cifre disponibili al proposito, non c’è dubbio che Alianza PAIS avrà la maggioranza assoluta dei membri dell’Assemblea e con aspettativa di raggiungere una rappresentanza parlamentare che le permetta di contare su una maggioranza qualificata di due terzi.
Col trionfo di Correa, la recente vittoria di Chávez in Venezuela e la prevedibile ratifica del mandato popolare a favore di Evo Morales in Bolivia, il nocciolo duro della “svolta a sinistra”, sperimentato in America Latina all’inizio del secolo, si rafforza considerevolmente, esercitando un influsso favorevole sui processi in corso in paesi come l’Argentina, il Brasile e l’Uruguay.
Conclusione: i tempi sono cambiati. La ratifica plebiscitaria di un presidente che ha accelerato un formidabile processo di cambiamenti sociali ed economici nell’Ecuador, che è protagonista dell’integrazione latino americana, che ha inserito il suo paese nell’ALBA, che ha messo fine alla presenza statunitense nella base di Manta, che ha realizzato un audit esemplare del debito estero riducendone significativamente il suo ammontare, che dà asilo a Julian Assange e che ritira l’Ecuador dal CIADI [n.d.t. Istituzione della Banca Mondiale, con sede a Washington] non è cosa che si veda tutti giorni.
Complimenti Rafael Correa, auguri Ecuador!
* l’autore è: Direttore PLED, Centro Cultural de la Cooperación Floreal Gorini
aaboron@gmail.com
(traduzione di Rosamaria Coppolino)
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El Chico
Prendiamo esempio dall’America Latina che risorge, come dalle parole del CHE, da 400 anni di sonno denigrante, e indica il cammino della Liberazione, cammino che anche il vecchio continente deve intraprendere se vuole liberarsi dal giogo del capitale.
Non esiste altra strada, “No hay otro camino”.
W il Che! W Bolivar !