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Al Nu’man-Al Khas: due villaggi, una sola comunità

Emma Mancini* Al Khas (Cisgiordania), 3 aprile 2013, Nena News – Il villaggio di Al Nu’man sta scomparendo. A pochi chilometri da Betlemme, dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele ha annesso la piccola comunità palestinese all’interno dei confini del Comune di Gerusalemme. O meglio, ne ha annesso il territorio ma non i suoi abitanti.

Oggi Al Nu’man è un caso unico nella composita e variegata realtà dell’occupazione israeliana dei Territori Palestinesi, chiaro esempio delle politiche di confisca delle terre e di espulsione forzata delle comunità palestinesi residenti. Ma per capire meglio la vita quotidiana dei circa 200 abitanti del villaggio, facciamo un passo indietro.

All’inizio del secolo scorso, una famiglia beduina decise di stabilirsi sulle colline che separano il Nord di Betlemme dal Sud di Gerusalemme: nasce il villaggio di Al Nu’man-Al Khas, in una terra fertile e verde di olivi e pascoli. Dopo la nascita dello Stato di Israele, i residenti della comunità palestinese restano nel villaggio, sotto il controllo della Giordania insieme al resto della Cisgiordania. Nel 1967, Israele in sei giorni annette Gerusalemme Est al territorio israeliano: a cadere nelle mani di Tel Aviv, anche il villaggio di Al Nu’man-Al Khas che viene diviso in due. Al Nu’man finisce all’interno dei confini di Gerusalemme, Al Khas resta in Cisgiordania.

Ad essere annesse, però, sono solo le terre di Al Nu’man, e non i suoi residenti che ricevono una carta d’identità verde: cittadini della Cisgiordania. In breve tempo, le famiglie rimaste a vivere sulla collina divengono illegali. Residenti illegali a Gerusalemme, per il solo fatto di continuare a vivere nelle proprie case. Per le autorità israeliane, Al-Nu’man è una riserva naturale, non ci vive nessuno.

“Tutte le terre del villaggio sono state annesse allo Stato di Israele – spiega Yousef Dar’awi, residente ad Al-Nu’man – Il villaggio è finito sotto la giurisdizione di Gerusalemme, ma ai residenti non è stata consegnata la carta d’identità blu, quella dei residenti di Gerusalemme. Abbiamo la carta d’identità verde, della Cisgiordania. Cosa significa? Che non godiamo di alcun servizio: il Comune di Gerusalemme non ci riconosce come suoi residenti e non viviamo ufficialmente in Cisgiordania. Nessuno ci fornisce servizi: non ci sono scuole, cliniche, mezzi pubblici, negozi. Dal 1996 ai nostri figli è vietato andare a scuola a Gerusalemme perché hanno carta d’identità verde e sono considerati illegali”.

Il delicato e particolare status quo resta immutato per anni: fino allo scoppio della Seconda Intifada, i due villaggi condividono gli stessi servizi, una moschea, una scuola, un comune. Nel 2002, però, le autorità israeliane avviano la costruzione del Muro di Separazione per dividere i Territori Occupati dallo Stato di Israele. E la separazione del villaggio diviene definitiva. Al Nu’man è ora isolato: circondato dall’imponente colonia israeliana di Har Homa, sorta nel 1997, dal Muro di Separazione che gli corre intorno e da un checkpoint militare. Nel 2002 i residenti sono stati informati dalle autorità israeliane che le terre del piccolo villaggio sarebbero finite proprio lungo il percorso della barriera di separazione. Ovvero, i 200 palestinesi non avrebbero più avuto accesso a Gerusalemme, né alla Cisgiordania.

Unico modo per uscire dal proprio villaggio è attraversare un checkpoint militare posto all’ingresso, sotto controllo dell’esercito israeliano 24 ore su 24, e utilizzabile solo dai residenti di Al-Nu’man. A minacciare ulteriormente la già precaria esistenza del villaggio c’è la colonia israeliana di Har Homa: la costruzione è cominciata nel 1997, con la distruzione di una bellissima e rigogliosa foresta, nota come Abu Ghnaim, dove le famiglie palestinesi erano solite andare per una scampagnata o un pic-nic.

“Nel 2003 l’esercito israeliano – continua Yousef – ha chiuso la strada verso Gerusalemme e ha iniziato a costruire il Muro intorno al villaggio. Hanno chiuso tutte le vie di accesso agli altri villaggi, compreso Al-Khas. Hanno costruito un checkpoint, chiamato Mazmouriyya, che è l’unico accesso al villaggio. Ma possiamo utilizzarlo solo noi: chi non è residente non può entrare. Non possono entrare nemmeno i taxi, gli autobus e le ambulanze“.

Oggi la foresta di Abu Ghnaim non esiste più. Al suo posto l’insediamento di Har Homa che ha completamente occupato la collina e continua la sua espansione, mangiando quello che resta delle terre agricole e degli uliveti di Al-Nu’man. Oggi il villaggio è poca cosa: una strada e circa 25 case, 200 abitanti. Il gemello, Al-Khas, 700 abitanti, dall’altro lato della bypass road 398 – strada riservata al traffico dei coloni israeliani residenti negli insediamenti in Cisgiordania e diretti a Gerusalemme – appare lontanissimo. Agli abitanti di Al-Khas è vietato fare visita ad Al-Nu’man: sono considerati residenti in Cisgiordania e avrebbero bisogno del necessario permesso per mettere piede all’interno dei confini di Gerusalemme.

Agli abitanti di Al-Nu’man è invece permesso uscire e far visita a parenti e amici ad Al-Khas. Ma non possono sposarsi: “Israele sta volontariamente provocando una forzata emigrazione dal villaggio di Al-Nu’man – aggiunge Yousef – Un giovane che vuole sposarsi con una donna o un uomo di un altro villaggio è costretto a lasciare la propria terra, perché il consorte non ha il permesso di entrare ad Al-Nu’man”.

Anche Al-Khas, villaggio gemello di Al-Nu’man, non ha vita facile: “Noi residenti di Al-Khas abbiamo una carta d’identità verde e siamo ufficialmente residenti in Cisgiordania – ci spiega Yasser Hemadan, abitante di Al-Khas – Dal 2001 al 2006, per la costruzione del checkpoint militare e del Muro di Separazione, le autorità israeliane hanno confiscato tutte le terre del villaggio, le vigne, gli uliveti. La mia famiglia ha perso tutto. Non sono nemmeno venuti a dircelo: hanno lasciato dei fogli nei campi dove si diceva che le terre erano confiscate per ragioni militari e di sicurezza”.

“Il villaggio è stato diviso in due: una parte cade in Area B, sotto il controllo civile palestinese e quello militare israeliano; e una parte in Area C, sotto il totale controllo israeliano. Ciò significa che in Area C non abbiamo il permesso di costruire nulla, né case né infrastrutture”.

Yasser ci mostra una cisterna per l’acqua, finanziata dalla Cooperazione italiana nel 2006. Tutto è pronto, la cisterna è terminata e i tubi sotto terra sono stati collegati alle case del villaggio. Ma al momento di terminare l’opera e renderla funzionante – ovvero nel momento in cui il villaggio stava collegando la cisterna alle tubature – l’esercito israeliano ha consegnato un ordine di stop ai lavori. Da sette anni, la cisterna è lì, a pochi metri dalle case di Al-Khas, ma inutilizzabile. “In Area C non possiamo costruire nulla – continua Yasser – Pochi giorni fa i bulldozer militari hanno demolito una casa perché era stata costruita troppo vicino al Muro. Vedete che giro fa il Muro? A destra si ricollega a quello che circonda Betlemme, a sinistra prosegue verso Ramallah. E il villaggio di Al-Nu’man è dall’altra parte, oltre il checkpoint”.

Vicino, eppure lontanissimo. Come si trovasse in un altro Stato, in un’altra terra. Ma la terra è la stessa. In mezzo c’è un’occupazione militare.

da Nena News
*Pubblicato originariamente su L’Indro

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