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Colombia. La storia inedita dei falsi positivi

Questa è la storia di come un plotone di controguerriglia fu destituito per non aver compiuto una esecuzione extragiudiziaria.

Da soldati decorati a coteros (scaricatori, ndt) e mototassisti. Questa è la sorte che è toccata a 27 membri di un plotone d’elite della controguerriglia, che nel 2008 sono stati letteralmente espulsi dall’Esercito per non aver voluto commettere un falso positivo.

Il paese si è scandalizzato per la storia delle molteplici esecuzioni extragiudiziarie che, durante il governo di Álvaro Uribe, si calcola arrivarono a fare più di 3.500 vittime innocenti che dai militari erano presentate come guerriglieri abbattuti, e per le quali ci sono più di 2.000 uomini in divisa detenuti. Ma questa storia ha una faccia sconosciuta: quella dei militari che si rifiutarono di ricorrere a questa pratica.

Questo è ciò che accadde a 27 soldati di professione della controguerriglia Atila 1, appartenenti al battaglione di fanteria meccanizzato numero 6 Cartagena, con sede a Riohacha, La Guajira, diversi di loro decorati, con medaglie ed encomi nei loro curricula. Il loro caso è sotto esame presso la Corte Costituzionale.

A metà aprile del 2008, questo plotone ricevette l’ordine di effettuare alcuni pattugliamenti in varie zone di La Guajira e del Cesar con lo scopo di individuare un gruppo del fronte Gustavo Palmezano del ELN, che aveva compiuto estorsioni e sequestri.

Il 21 aprile, dopo vari giorni di cammino, gli uomini di Atila 1 individuarono l’accampamento dei guerriglieri. Da lontano videro uno di loro che caricava legna e un’altra giovane. “La cosa facile sarebbe stata di sparare ed ucciderli, ma erano disarmati e in borghese”, ha raccontato a SEMANA uno dei questi ex militari. La zona, che era minata, obbligava a quelli di Atila 1 ad essere cauti nell’avvicinarsi all’accampamento.

Nello spostamento furono individuati dai dieci guerriglieri che erano sul posto. Dopo un rapido scambio di colpi, gli eleni scapparono. La guerrigliera, una minore, fu catturata e l’accampamento occupato dagli uomini in divisa che trovarono viveri, armi, denaro e computer, i cui dati sono stati conosciuti da SEMANA e fanno parte del processo presso la Corte Costituzionale.

“Anche se in quel momento non potemmo catturarli, era un buon risultato. Eravamo contenti perché le informazioni dei computer erano importanti ed era l’accampamento principale che era fondamentale per loro. Siccome li lasciammo senza armi né cibo dopo tre giorni finirono con il consegnarsi tutti”, afferma un altro dei militari che era sul posto.

Quando ritornarono al battaglione a Riohacha, lì li aspettava il comandante di questa unità, un tenente colonnello. “Pensavamo che si sarebbero congratulati con noi o qualcosa così. Ma no. Ci misero in fondo ad una baracca, ci tolsero le armi e ci denudarono.

Quando entrò il mio colonnello incominciò ad insultarci e a sfogarsi e ci disse che non servivamo a nulla, che se non comprendevamo che a lui non serviva la guerrigliera viva e che ciò che aveva importanza erano gli abbattuti, niente di più perché lui avrebbe partecipato per la promozione a colonnello e lo valutavano per questo. Ci disse che ci avrebbe fatti cacciare tutti”, ha raccontato a SEMANA un terzo ex membro di Atila 1 che ha nel suo curriculum vitae varie medaglie ed encomi.

Li tennero per una settimana nella baracca. Dopo li tirarono fuori per prestare servizio di sicurezza in una strada e un mese dopo l’operazione gli notificarono che erano fuori dall’Esercito. Diciotto furono destituiti in modo fulmineo. Gli altri, in capo a pochi giorni chiesero il congedo.

Il battaglione Cartagena e il battaglione meccanizzato Rondón a Fonseca, La Guajira, sono due delle unità militari che sono risultate più infangate nei casi di falsi positivi. Nonostante ciò, anche se Atila 1 apparteneva alla prima unità, non si è registrato che sia stata coinvolta in queste esecuzioni. “Per non prestarci a cose indebite ci trasformammo nel sasso nella scarpa del battaglione e questa operazione contro l’ELN fu la goccia che fece traboccare il vaso e la scusa per buttarci fuori”, afferma uno dei militari.

SEMANA ha cercato ed intervistato 12 ex membri di Atila 1 a Riohacha e a Valledupar dove attualmente vivono. Tutti coincidono nell’affermare che li cacciarono per non aver acconsentito a commettere un falso positivo.

Dopo la loro uscita dall’Esercito la maggioranza ha passato serie difficoltà. Nessuno ha potuto ottenere un lavoro fisso. Due di loro lavorano come coteros nella piazza del mercato di Valledupar. “Io ho tre figli e mantengo mia madre. In una buona giornata posso fare 10.000 o 15.000 pesos”, ha raccontato uno di loro che vive in un quartiere di occupazioni nel capoluogo del Cesar, in una capanna con allacci illegali della luce e dell’acqua che arriva attraverso un tubo di irrigazione.

“A volte mi prestano una moto e lavoro come moto tassista. Quando mi va bene riesco ad guadagnare 8.000 e 12.000 pesos. Con questo mantengo mio padre, mia madre, due fratelli, mia moglie e mia figlia”, ha affermato un altro degli ex militari che questa rivista ha intervistato a Riohacha.

Aiutante nell’edilizia, nella meccanica e alcune volte perfino a chiedere l’elemosina, sono state le opzioni che hanno trovato per sopravvivere i militari che ha incontrato SEMANA. La maggioranza vive in due regioni colpite da bande criminali avide di reclutare uomini. Anche se sarebbe una strada facile nessuno di loro ha scelto questa via. “Quando eravamo nell’Esercito fummo onesti e decenti, e ora fuori continuiamo allo stesso modo. È preferibile non aver cibo che finire come dei banditi”, risponde uno di loro. Un sentimento che è condiviso dagli altri.

Quando li espulsero dall’Esercito non solo non gli dettero delle spiegazioni ma a molti non fecero nemmeno le verifiche per la pensione e gli altri requisiti. Con fatica riunirono 3 milioni di pesos per assumere un avvocato che li imbrogliò. Tempo dopo un altro avvocato ha conosciuto il caso e gratuitamente è riuscito a portare fino alla Corte Costituzionale, dove sta attualmente, la denuncia che hanno avviato.

Per cinque anni decine di lettere e interrogazioni sono state inviate agli alti comandi dell’Esercito senza avere risposta chiedendo spiegazioni ufficiali per il ritiro e reclamando i diritti che non sono stati riconosciuti ai membri di Atila 1. “Sono stati espulsi per problemi di disciplina”, hanno detto senza maggiori dettagli nell’Esercito a SEMANA, anche se non c’è traccia di indagini disciplinari contro nessuno di loro.

Il comandante del battaglione che ordinò buttare fuori gli uomini andò in ritiro in mezzo a segnalazioni ed indagini che mai sono andate avanti per una presunta partecipazione a falsi positivi. Oggi gode della sua pensione nel sud del paese. Mentre gli uomini di Atila 1 giorno dopo giorno ricercano il modo per sopravvivere e ripetono una frase con la quale riassumono il loro caso. “Ciò che ci accadde avvenne in un periodo dove nell’Esercito essere buono era una cattiva cosa”.

Da Semana – Traduzione del Comitato Carlos Fonseca

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