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Dalla settimana di denuncia dell’apartheid israeliana al ricordo della Nakba palestinese

La solidarietà internazionalista al fianco del popolo palestinese

Apartheid. Non c’è altro modo per chiamare la discriminazione quotidiana subita dal popolo palestinese da parte di Israele. Ed è la denuncia che ormai da anni nelle piazze di tante città del mondo viene urlata con mostre, presidi e video comunicativi sulla condizione vissuta in terra di Palestina, e così è stato anche in queste settimane.

Apartheid perché è da più di sessanta anni ormai che Israele, alla faccia del diritto internazionale e delle centinaia di mozioni ONU e di vari organismi internazionali discrimina, espelle, uccide donne uomini e bambini palestinesi. Perché ogni giorno procede alla costruzione di muri di separazione, di bantustan e frammentazione dei territori e delle relazioni sociali della gente di Palestina. Perché è una continua guerra di bassa e media intensità che massacra persone e distrugge strutture civili come gli ospedali e le scuole. Perché periodicamente la violenza fascista di Israele si manifesta in modo ancor più devastante attraverso le cosiddette operazioni militari quali “piombo fuso” e l’attacco di qualche mese nei confronti di Gaza.

Apartheid perché le stesse risorse primarie sono controllate da Israele il quale centellina l’acqua, la possibilità di pescare, l’energia elettrica e i flussi commerciali, compresi cibo e prodotti sanitari, a secondo delle proprie convenienze e non delle necessità del popolo palestinese.

Apartheid perché ci sono le colonie, vero e proprio strumento di avanzamento progressivo del confine formale di Israele, che annienta ogni giorno intere comunità di palestinesi da secoli stanziati in quei territori.

Apartheid quindi. Da urlare e denunciare. Da affermare con forza in faccia a chi rivendica la democrazia di Israele (stato escludente in quanto degli israeliani ebrei) come modello di progresso. Uno stato che senza l’aiuto economico, politico e militare dell’occidente (UE e USA) non starebbe in piedi. Uno stato che vive grazie alle relazioni commerciali privilegiate con i paesi occidentali e che può contare sulla campagna di propaganda più grande al mondo basata su clamorose falsità e sull’impossibilità di fare critiche di alcunché (il rischio è l’accusa di un antisemitismo inverosimile).

Apartheid, quindi, da urlare senza dubbi e compromessi di sorta. Perché Israele è uno stato fascista che uccide, espelle e chiude comunità intere in prigioni a cielo aperto e che bombarda a suo piacimento.

Apartheid, quindi, da fermare e gridare in faccia a chi, sapendo di essere nella menzogna, si schiera con chi difende le atrocità di Israele. Da fermare sostenendo il popolo palestinese parlando del loro diritti di resistere ogni giorno con i mezzi che esso ritiene opportuno, parlando del boicottaggio totale, e quindi non solo di quelli delle colonie, dei prodotti israeliani. E ancora boicottando la cultura di Israele basata, in primis, su una ricostruzione storica menzognera della nascita dello stato di Tel Aviv.

Perché denunciare l’apartheid israeliana significa ricordare i diritti del popolo palestinese alla sua terra dal fiume al mare, del diritto al ritorno, del ricordo della Nakba e di tanti altri massacri, del diritto alla giustizia sociale e all’autodeterminazione. Ad un concetto di popolo internazionalista al quale il popolo palestinese si è sempre riconosciuto senza distinzione né discriminazione etnica e sociale.

Tutto questo è stato portato in piazza nelle varie città. A Milano, dove ci siamo trovati a costruire l’iniziativa, il presidio comunicativo è stato organizzato con mostre, filmati e documenti che sono riusciti a collegare la denuncia dell’apartheid con la questione dei prigionieri politici palestinesi, molti dei quali detenuti per mesi e per anni sotto mandato amministrativo e quindi senza processo né capi d’accusa (ancora una volta in violazione al diritto internazionale).

L’obbiettivo che ci siamo dati (e che ogni singolo militante e ogni singola realtà dovrebbe darsi) è la continuità di iniziative e denunce. Allo stesso tempo occorre misurarsi nel quotidiano inserendo sempre più la questione palestinese (e non solo) nelle lotte antimperialiste e anticapitaliste. Guardare le cause delle occupazioni e non dimenticare la connessione con gli stati imperialisti dove viviamo. Ricordare che la storia dei popoli è storia di lotta di classe e di autodeterminazione. Una insieme all’altra e mai una senza l’altra. Per questo costruiremo la giornata per il ricordo della Nakba passando dal nostro 25 aprile. Perché la nostra resistenza, così come quella palestinese, è stata una liberazione e una lotta per la giustizia sociale. Così come costruiremo la presentazione degli atti sul sionismo perché la battaglia è ideale e culturale e deve essere capace di identificare al meglio i nemici della causa palestinese.

E infine essere al fianco della Palestina significa denunciare tutti coloro che discriminano questo popolo come sta succedendo in Egitto in queste settimane, con la possibile cacciata di migliaia di palestinesi e la continua chiusura del valico di Rafah. Per questo in occasione della “giornata della terra” verrà organizzato un presidio davanti al consolato egiziano, sabato 29 marzo.

Al fianco della Resistenza Palestinese, sempre! Perché fin quando la Palestina non sarà libera ci sarà meno giustizia per tutti.
 

Rete di solidarietà con la Palestina – Milano

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