Le economie mature si trovano in una stagnazione a lungo termine? Nei quattro anni successivi alla grande crisi del 2007-9, gli Stati Uniti hanno registrato una crescita del tasso annuo del 2,2%, in Germania del 2%, in Giappone del 1,6% e nel Regno Unito l’1%. Considerando che il PIL di questi paesi è diminuito durante la crisi del 4-6%, possiamo considerare che hanno appena recuperato il terreno perduto e il Regno Unito neanche questo. Nel frattempo, le prospettive di crescita per il 2014 e per il futuro prossimo non brillano.
Alcuni ben noti economisti iniziano a sembrare molto preoccupati. Larry Summers, ad esempio, ha sostenuto che la stagnazione a lungo termine è la “nuova normalità”. La ragione è che i tassi d’interesse per una crescita sostenuta in un’economia guidata dai privati, dovrebbero essere pressoché negativi. Dal momento che i tassi nominali non possono scendere sotto lo zero, ne consegue che le economie mature possono uscire dalla stagnazione solo attraverso le bolle finanziarie. E’ un po’ come prendere delle anfetamine: il prezzo da pagare quando la bolla scoppia è pesante. Paul Krugman è sostanzialmente concorde e descrive la situazione attuale come una “trappola della liquidità”. Per entrambi gli economisti, la risposta è una decisiva espansione della spesa pubblica.
Non c’è dubbio che la debole performance economica nel 2010-13 è il risultato delle politiche messe in atto per affrontare la crisi. Gli stati mirano a sostenere il sistema finanziario, scaricando i costi sulla società in generale. Così, le banche centrali forniscono grandi quantità di denaro e fissano i tassi di interesse praticamente a zero, mentre i governi garantiscono la solvibilità delle istituzioni finanziarie. La redditività delle banche è stata ripristinata rapidamente e il sistema finanziario ha avviato una nuova bolla, questa volta nel mercato azionario. In netto contrasto, i salari reali sono stati mantenuti invariati o in calo e la spesa pubblica è stata ridotta. Abbastanza naturalmente, i lavoratori hanno ridotto il loro consumo e hanno cominciato a rimborsare i giganteschi debiti accumulati durante gli anni 2001-7. La politica del governo ha impedito in tutti i modi la ripetizione della Grande Depressione del 1930, ma la domanda e la crescita sono rimaste molto deboli, nonostante il graduale emergere di una nuova bolla.
Il vero problema, tuttavia, è se le economie mature si trovano in una stagnazione a lungo termine o, semplicemente, registrano uno scarso rendimento dopo la crisi. La stagnazione a lungo termine è un problema molto grave in quanto i redditi soffrono, l’occupazione diventa debole, viene ridotto il welfare, l’instabilità economica si aggrava e le tensioni sociali aumentano. Nei quattro decenni, a partire dai primi anni 1970, il tasso medio di crescita in Stati Uniti, Giappone, Germania e Regno Unito è sceso da circa il 4% a circa il 2%. Nello stesso lasso di tempo si sono susseguite una serie di crisi: 1973-5, 1980-2, 1990-92, 2000-2002 e 2007-9, di cui le ultime tre sono state chiaramente associate a bolle finanziarie. Nel frattempo, il lavoro ha drammaticamente perso nei confronti del capitale e la disuguaglianza si è amplificata. Potrebbe non essere proprio una stagnazione, ma la crescita è stata scarsa e segnata da bolle e crisi.
Molti a sinistra considerano questi fenomeni come il risultato del neoliberismo, cioè dell’ideologia dominante, che predica il libero mercato e sostiene la deregolamentazione e la privatizzazione. Ma, nel corso di questo periodo, hanno avuto luogo processi più profondi: tra cui una rivoluzione tecnologica e la diffusione del part-time e del lavoro precario. Questi profondi cambiamenti hanno aumentato la produttività del lavoro, ma non in maniera significativa a confronto con precedenti periodi storici. Nonostante le rosee aspettative, la tecnologia dell’informazione si è dimostrata inferiore a questo riguardo, per esempio, rispetto l’elettricità o il motore a combustione interna.
Le nuove tecnologie e pratiche di lavoro, d’altra parte, sono state eccezionalmente efficaci nella propulsione finanza. Aiutate dalla deregolamentazione finanziaria, hanno trasformato il modo di operare delle banche e dei mercati finanziari, favorendo una crescita notevole. L’aspetto più sorprendente degli ultimi quattro decenni, è l’asimmetria, nelle economie mature, tra l’economia reale e il settore finanziario. La finanza è aumentata a dismisura, fornendo nuove fonti di enormi profitti, favorendo la disuguaglianza, alimentando gigantesche bolle speculative e aggravando le crisi, mentre la produzione è rimasta pressoché indifferentemente. Ancor più significativamente, le prassi, le prospettive e la moralità della finanza hanno penetrato il resto dell’economia.
In breve, il capitalismo maturo si è finanziarizzato: le imprese industriali e commerciali siedono su enormi quantità di denaro che anziché venire reinvestite nella produzione, sono utilizzate per generare profitto finanziario; le banche prestano meno alla produzione, cercano profitti nella speculazione finanziaria e si nutrono una bolla dopo l’altra; le famiglie si sono enormemente indebitate. Il fallimento del capitalismo contemporaneo nel produrre una crescita sostenuta è legato alla sua finanziarizzazione e non all’incapacità di ridurre i tassi di interesse sotto allo zero.
Ci sono politiche che potrebbero mitigare la situazione nel breve periodo, tra cui la regolamentazione del sistema finanziario, la redistribuzione del reddito e della ricchezza a favore dei lavoratori, l’espansione della spesa pubblica. In questo modo, la produzione potrebbe recuperare, potrebbero migliorare gli standard di vita e, crescendo le imposte, lo Stato potrebbe quadrare i conti. Ma la vera sfida è quella di ottenere un cambiamento strutturale, invertendo la spinta alla finanziarizzazione: un compito che richiede intrinsecamente misure anticapitaliste, tra cui il ripristino del welfare pubblico e la reintroduzione della proprietà pubblica, con uno spirito e un mandato nuovo, sia nel settore reale, che nel settore finanziario. La scelta a lungo termine per le società mature è di continuare con una finanziarizzazione disastrosa oppure seguire un percorso di sviluppo intrinsecamente anticapitalista.
Costas Lapavistas è un economista marxista greco che insegna a Londra. Autore di numerosi testi. In Italia l’edizione Jaca Book ha recentemente pubblicato: “L’euro rapito. L’alternativa dei Pigs” che in molti aspetti converge con le tesi esposte ne “La rivolta dei maiali” di Arriola, Martufi, Vasapollo
* da researchonmoneyandfinance.org resistir.info
Traduzione per Resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
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