L’Isil sfida la vecchia struttura di Zawahiri, ormai lontano dal campo di battaglia. L’appeal “internazionale” sta nel progetto di formare ad ogni costo un emirato islamico che includa Iraq e Siria.
* Il Manifesto del 12 – 6 – 2013
Ayman Zawahri, leader di al Qaeda e braccio destro per anni di Osama bin Laden, credeva di aver messo fine a una disputa velenosa nella galassia qaedista proclamando lo scorso febbraio il Fronte an Nusra il «ramo» siriano della sua organizzazione. Ed era sicuro che Abu Bakr al Baghdadi, capo dello Stato Islamico in Iraq, poi divenuto Stato Islamico in Iraq e in Siria (Siis), avrebbe rispettato l’intimazione di tornare a Baghdad.
Ora nel suo rifugio segreto, Zawahri con ogni probabilità medita sull’errore commesso. Al Baghdadi e i suoi combattenti prima lo hanno sfidato apertamente, annunciando che sarebbero rimasti sulle posizioni conquistate in Siria a danno delle forze armate agli ordini di Bashar Assad e di altre formazioni jihadiste. Poi in Iraq hanno inferto colpi spettacolari al governo a guida sciita afferrando nei mesi scorsi larghe porzioni di territorio e, nei giorni scorsi, Mosul, la seconda città irachena, Banji e Tikrit.
Per l’Iraq è l’ennesima escalation della guerra di religione sunniti-sciiti, tra al Qaeda e le autorità irachene alleate dell’Iran, innescata dall’invasione anglo-americana del 2003. Per Zawahri le ultime conquiste territoriali di al Baghdadi sono una sfida alla sua leadership. Tra gli islamisti più radicali il prestigio e la popolarità del capo dello Siis sono in costante aumento. E se in Siria le formazioni jihadiste che fanno capo al Fronte an Nusra e al Fronte islamico si sono coalizzate per cacciare i mujaheddin dello Siis, in Iraq al Baghdadi ormai è considerato il vero capo di al Qaeda. O meglio di una nuova al Qaeda, non più verticale e blindata nella sua struttura segreta, ma orizzontale, legata al territorio, per certi versi movimentista, tanto da attirare jihadisti da ogni parte del mondo.
Si stima che almeno 12.000 combattenti stranieri siano arrivati in Siria, tra cui 3.000 dall’Occidente. L’analista ed accademico Peter Neumann, del King College di Londra, calcola che l’80 per cento dei jihadisti occidentali si sia unito allo Stato Islamico in Iraq e Siria. Lo Siis punta ad infoltire ulteriormente i suoi ranghi con mujaheddin europei e statunitensi da impiegare anche nelle battaglie in Iraq. I siti web sotto il suo controllo pubblicano sempre più spesso video con sottotitoli in lingua inglese.
L’appeal “internazionale” di al Baghdadi sta nel suo progetto: la formazione ad ogni costo, anche con un bagno di sangue, di un emirato islamico che includa Iraq e Siria. Un disegno, partorito dal suo mentore Abu Musab Zarqawi (il fondatore dello Stato Islamico in Iraq), che prevede la cacciata o il massacro dei “rafida” – “negazionisti”, è questa la definizione che i sunniti radicali danno dei musulmani sciiti – e delle altre minoranze religiose. Non che l’ideologia e le finalità dei jihadisti in Siria siano molto diverse, ma an Nusra, il Fronte Islamico e i gruppi satelliti hanno (per ora) un’agenda locale – abbattere il regime del “kafr” (infedele) alawita Bashar Assad – e non mirano al jihad globale.
Al Baghdadi ora sfida lo stesso Zawahri, sul terreno ideologico e su quello del prestigio personale. Molti gruppi qaedisti, dall’Africa all’Indonesia, hanno preso le sue parti nella disputa con l’emiro di al Qaeda e ora festeggiano i suoi “successi” intrisi di sangue in Iraq. Il leader dello Siis è osannato ovunque come un comandante militare che scende in prima persona sul campo di battaglia, a differenza di Zawahri. Negli ultimi 10 anni l’emiro di al Qaeda è rimasto rintanato nella zona di frontiera tra Afghanistan e Pakistan e non ha fatto altro che rilasciare dichiarazioni audio e filmate. Ben poco agli occhi dei giovani islamisti che aderiscono al qaedismo.
Fonte: www.nena-news.it
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