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Il caso Giuseppina Ghersi. Incongruenze, falsi e zone d’ombra

Sintesi di un documento redatto dal gruppo di lavoro “Nicoletta Bourbaki” e pubblicato da GIAP il blog di Wu Ming (denominazione collettiva di un gruppo di scrittori) a cura di Franco Astengo

Da qualche settimana è in corso una discussione, ormai trasferitasi dal livello locale a quello nazionale, sorta attorno ad una provocazione fascista.

Il presunto “caso” è noto: si tratta dell’apposizione di una targa ricordo da parte del Comune di Noli a memoria di Giuseppina Ghersi ritenuta vittima, nei giorni convulsi della Liberazione, di un vero e proprio massacro da parte di partigiani che accusavano la ragazza all’epoca tredicenne di delazione e di appartenenza alle bande repubblichine.

In realtà questo presunto “caso” viene agitato ormai da qualche anno da esponenti dell’estrema destra savonese che ogni tanto affiggono manifesti, fanno celebrare messe di suffragio, ecc, ecc.

In questa occasione il segno dell’attenzione generale è stato superato grazie al clamore mediatico sollevato dalla decisione del comune di Noli, assunta su proposta di un consigliere comunale anch’egli storico appartenente ai partiti dell’estrema destra.

Della questione, nel tempo, se ne erano occupati alcuni giornalisti redigenti testi classificabili per così dire come “revisionisti”, da Massimo Numa a Giampaolo Pansa, entrambi attingenti dai testi dell’ex-senatore missino Pisanò autore, a suo tempo, di una ampia “Storia della guerra civile in Italia”.

Il ruolo di questi testi nel deviare la ricerca sulla realtà dei fatti è risultato del tutto determinante come vedremo in seguito.

Ci siamo così trovati dentro ad un estenuante ping – pong di dichiarazioni e prese di posizione poco informate se non del tutto disinformate e si è alzato un vero e proprio polverone mediatico, deleterio per qualsivoglia tentativo di stabilire alcune minime verità storiche (fenomeno molto frequente, in verità, per quel che riguarda i fatti drammatici accaduti nel periodo tra l’8 settembre 1943 e la fase immediatamente successiva alla fine del conflitto).

Mentre va fatto notare come, nel corso degli anni, non ci si sia avvalsi dei documenti che sicuramente si trovano nell’archivio di Stato abbiamo avuto la possibilità di conoscere un contributo storiograficamente attendibile fondato su di un minuzioso lavoro di comparazione dei testi disponibili.

Una ricerca che è stata compiuta dal gruppo di lavoro intestato a “Nicoletta BourbakI” composto da storici e ricercatori di varie discipline che si occupa di revisionismo storiografico in rete, di false notizie a tema storico e sulle ideologie neofasciste.

Il testo è stato pubblicato su GIAP, blog curato dal celebre gruppo di scrittori denominato Wu Ming (in precedenza erano Luther Blisset e sotto quella denominazione fu scritto “Q” un testo eccezionale riguardante il periodo della Riforma protestante e delle lotte sociali che ne caratterizzarono una fase).

Mi è capitato, nei giorni scorsi, di spedirne la copia integrale ad un certo numero di persone interessate alla materia a Savona e dintorni e mi scuso con loro per la ripetizione: essendo, però, il testo molto lungo e complesso ho ritenuto di sintetizzare i passaggi principali in modo da far sì che le tesi di fondo ivi sostenute potessero essere facilmente usufruite da un numero di più vasto di interlocutrici e interlocutori con il solo scopo di far largo alla verità.

Il dato che maggiormente risalta nella accurata ricostruzione eseguita da “Nicoletta Bourbaki” è come risaltino nei vari testi evidenti contraddizioni causate da aggiunte a documenti precedenti da parte di chi ne ha scritto in tempi recenti.

Ad esempio al riguardo del testo della denuncia sporta, al riguardo dei fatti, dal padre della Ghersi alla Procura della Repubblica nel 1949 non coincidono neppure le date. Secondo il sito “Patriottismo” settembre, secondo il blog di Nicolick (esponente dell’estrema destra, molto attivo su questo fronte e capace di scrivere persino su di un blog sospettato di connessioni con il Ku-Klux-Klan) la denuncia sarebbe stata redatta in aprile.

Diversi i testi riguardanti la descrizione dell’uccisione della Ghersi e di un’altra presunta collaborazionista, tale Teresa Delfino residente a Savona vico Crema 1/1. Se ne evince come l’affermazione riguardante il trasporto delle salme al cimitero di Zinola (un tal Stelvio Murialdo, all’epoca undicenne, a posteriori ha affermato di averne riconosciuto il cadavere) fu aggiunta, in tempi recenti, dallo stesso Nicolick nel suo blog.

Nel già citato esposto alla Procura della Repubblica Ghersi afferma chiaramente che la natura del sequestro suo e della sua famiglia non fu di natura politica ma estorsiva.

«La casa me la spogliarono di quanto tenevo soldi, oro, argento e altro […] tutto ciò finché rivelassi dove tenevo celati oro e soldi; loro non volevano politica perché a detta faccenda non ero interessato ma oro e soldi.»

Nel racconto di Murialdo, scritto molti anni dopo (ribadiamo che non è chiaro quando: è del 2008 o precedente?), i Ghersi figurano come vittime di furto, ma sono dati per arrestati «con la cervellotica accusa di aver avuto rapporti commerciali con i nazi-fascisti». Murialdo chiede alla famiglia come mai fu uccisa Giuseppina, e riferisce la risposta: «l’’accusa ufficiale era spionaggio».

 Nei loro esposti, stando alle trascrizioni, né il padre né la madre di Giuseppina fanno alcun riferimento a uno stupro subito dalla figlia. Si descrive un pestaggio e si riferisce di aver saputo dell’uccisione soltanto in seguito. La madre sa riferire solo quanto era stato detto a lei e a suo marito «da fascisti poi uccisi», cioè che la figlia era stata ammazzata.

Si ricorda che nel 1951 si celebrò un processo riguardante anche il caso Ghersi (assieme a quello Biamonti) e gli imputati – per il fatto specifico – furono prosciolti. Tra di essi non figurava quel “Gatti Pino di Bergeggi” citato invece nell’esposto del 1949.

Quando entra nella narrazione lo stupro? Teniamoci in testa questa domanda, e proseguiamo.

 Dagli esposti si discostano molte ricostruzioni successive che possono leggersi in rete, come questa, che contiene questo passaggio: «Madre e figlia – così come raccontano gli stessi Ghersi – vengono malmenate e stuprate (è il 27 aprile), mentre il padre viene costretto ad assistere […]».  I Ghersi non raccontano niente del genere.

È la stessa versione apparsa sul manifesto affisso da «La Destra» a Savona nel 2012. Chi ha aggiunto questi dettagli, e quando?

 Nessuno menziona alcun tema scolastico di Giuseppina che avrebbe ricevuto l’encomio del duce, tema che in questi giorni è addirittura descritto come la causa della cattura e uccisione della ragazza; quando viene inserito nella narrazione questo elemento, e per opera di chi?
Forse per opera di Murialdo, che nella già citata «testimonianza» scrive:

«La zia [di Giuseppina] azzardò un’altra ipotesi: Giuseppina aveva partecipato ad un concorso a tema per cui ricevette i complimenti dal Duce in persona; poteva essere questo, la sua condanna a morte!»

A distanza di anni, la parola «ipotesi» e i verbi «azzardò» e «poteva» sono scomparsi, e quel tema è diventato tout court il movente dell’uccisione.

Movente che sarebbe a dir poco labile, e per questo si cerca di rafforzare il collegamento mostrando una comunicazione del segretario particolare del duce. Comunicazione che però non risulta passata attraverso la scuola, ma attraverso il Gruppo Femminile Fascista Repubblicano. In essa non si menziona alcun tema scolastico, e si fa invece riferimento – molto freddamente – a una «lettera» scritta da Giuseppina. Sembra proprio una risposta a qualche supplica o dichiarazione di fedeltà al regime, sicuramente non un premio. Di lettere così ne furono spedite a migliaia.

Che ruolo hanno avuto i libri ?

Massimo Numa, come si legge in questa recensione, nel suo volume del 1991 descriveva i partigiani come ancora pericolosi e vendicativi:

«Oggi – cita la recensione – ci sono parenti di vittime che tacciono ancora, parlano di ritorsioni, di timori per i figli e i congiunti, tanto da chiedere all’autore di questa ricerca di tacere i loro nomi, di non permettere a “loro” di risalire ai superstiti».

La recensione – ritenuta da Numa «diffamatoria» – riporta poi «l’attacco più pesante»:

«il caso della giovane Giuseppina Ghersi, seviziata e uccisa da ignoti insieme al cognato malavitoso il 26 aprile 1945. Se la descrizione stessa dei fatti suggerisce l’azione di balordi a scopo estortivo, per Numa gli ignoti si trasformano poche righe dopo in “partigiani”. La cronaca fornita è contradditoria: in un primo tempo il luogo della morte è una via cittadina, nella pagina successiva diventa il cimitero di Zinola. A tale vaghezza si aggiunge la circostanza, corroborata da una testimonianza altrettanto imprecisata di “una parente”, che la ragazza fosse stata arrestata e rasata come collaborazionista il giorno precedente alla morte».

Il racconto di Numa sembra dunque allontanarsi dall’esposto del padre, e contenere elementi presenti anche nella «testimonianza» di Murialdo apparsa nel 2008.

Ricordiamo che gli esposti dei genitori di Giuseppina, datati 1949, non facevano alcun riferimento a una violenza sessuale subita dalla figlia.

A evocare lo stupro è il solito Murialdo, che nel 2008 scrive di avere immaginato la violenza sessuale ascoltando la zia di Giuseppina, quella che presuntamente l’avrebbe vista poco prima che morisse. Ecco le parole della zia, con commento di Murialdo tra parentesi.

«Era ridotta in uno stato pietoso; mi disse di aver subìto ogni sorta di violenza… (a questo punto tacque per pudore su tante nefandezze che la decenza lascia solo intuire).»

Può sembrare assurdo, eppure questa vaga frase tra parentesi è quanto di più vicino a una testimonianza sullo stupro di Giuseppina siamo riusciti a trovare.

La sorte della ragazza sarebbe terribile e tragica anche senza la violenza sessuale, e la condotta dei suoi aguzzini sarebbe comunque criminale. Ma proprio per questo è importante capire in quale periodo e in base a quali dati si è aggiunto lo stupro alla narrazione. Stupro ormai divenuto centrale nella descrizione della passione e morte di Giuseppina, che oggi è la «bambina stuprata» quasi per antonomasia.

N.B. Lo stupro per mano “rossa” è una sorta di trademark fascista. Una donna uccisa da partigiani deve anche essere stata stuprata (o impalata). Anche quando nei referti e nei primi resoconti la violenza sessuale è assente, verrà aggiunta in seguito attraverso testimonianze posticce riferite da parenti della vittima, ma ancora più spesso da persone estranee che dicono di aver parlato con i parenti.)

L’immaginario revanscista si nutre ossessivamente di stupri e infanticidi attingendo da un inesauribile serbatoio di voci, rimesse in circolo alla bisogna e trasformate in notizie che «dall’oggi al domani si ritrovano in prima pagina o al telegiornale della sera», come analizzato dal politologo Jacques Semelin (cfr. Purificare e distruggere. Usi politici dei massacri e dei genocidi, Einaudi, 2006).

La versione di Numa è il sasso nello stagno, e genera il primo cerchio. Viene ripresa qualche anno dopo da Giampaolo Pansa, che la ripropone ne Il sangue dei vinti (2003) e poi di nuovo ne La destra siamo noi (2015).

Pansa definisce Numa «giornalista coraggioso» per aver denunciato ne La stagione del sangue i «crimini dei partigiani». In entrambi i libri dedica alla Ghersi solo poche righe, dove racconta il pestaggio e l’uccisione della tredicenne. Ne Il sangue dei vinti il passaggio è questo:

«I rapitori di Giuseppina decisero subito che lei aveva fatto la spia per i fascisti o per i tedeschi. Le tagliarono i capelli a zero. Le cosparsero la testa di vernice rossa. La condussero al campo di raccolta dei fascisti a Legino, sempre nel comune di Savona. Qui la pestarono e la violentarono. Una parente che era riuscita a rintracciarla a Legino la trovò ridotta allo stremo. La ragazzina piangeva. Implorava: “Aiutatemi!, mi vogliono uccidere”. Non ci fu il tempo di salvarla perché venne presto freddata con una raffica di mitra, vicino al cimitero di Zinola. Chi ne vide il cadavere [Chi? Murialdo?, N.d.R.], lo trovò in condizioni pietose.»

Questo è il secondo cerchio, che porta per la prima volta la vicenda nel mainstream.

Nel 2003 Pansa parla già di stupro. Tornando sulla storia di Giuseppina dodici anni dopo (e ancora in questi giorni, cfr il suo “Bestiario” uscito sul quotidiano La Verità del 17/09/2017) aggiunge che «qualche partigiano la stuprò, forse non da solo».
Qualche
Forse
Nefandezze che la decenza lascia solo intuire

A colpire, di questa storia, sono l’impressionante leggerezza nell’usare le fonti, l’arbitrarietà dei collegamenti, la (voluta) vaghezza e ambiguità dei riferimenti temporali, la complessiva inattendibilità di ogni ricostruzione.

Di grande valore culturale e politico la conclusione della ricerca:

A colpire, di questa storia, sono l’impressionante leggerezza nell’usare le fonti, l’arbitrarietà dei collegamenti, la (voluta) vaghezza e ambiguità dei riferimenti temporali, la complessiva inattendibilità di ogni ricostruzione.”

Con un impegno per il futuro: E da qui si riparte.
Dall’Archivio di Stato di Savona.
L’inchiesta vera comincia adesso.

Un impegno da mantenere che deve essere esteso a tutte le organizzazioni democratiche proprio perché queste provocazioni debbono terminare ed essere collocate nella storia al posto che meritano.

 

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