Menu

Ma come funziona l'”8 per mille”?

In sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, tutti avremo ascoltato la consueta domanda postaci dal commercialista o dall’operatore del Caf in relazione alla scelta da effettuare per l’otto per mille.

Ma di cosa si tratti esattamente e come funzioni il suo meccanismo di distribuzione, sono nozioni che talvolta sfuggono pure ai più esperti.

Partiamo col dire che l’otto per mille è la quota di imposta sui redditi soggetti IRPEF che, in base alle scelte effettuate nelle dichiarazioni dei redditi, viene distribuita tra lo Stato e le confessioni religiose che hanno con esso stipulato un’intesa.

Il sistema dell’otto per mille è disciplinato dalla L. 222/1985. Prima dell’entrata in vigore di tale normativa lo Stato italiano retribuiva direttamente il clero cattolico con il meccanismo della “congrua”, un assegno corrisposto mensilmente ai parroci, come fosse uno stipendio, istituito originariamente dopo l’Unità di Italia.

Di fatto questo nuovo criterio è entrato in vigore a partire dal 1990, dopo un periodo di transizione (anni 1987-1989).

Ma vediamo di capire come funziona esattamente.

Ogni contribuente che presenta la dichiarazione dei redditi può scegliere la destinazione dell’8 per mille del gettito irpef tra tredici opzioni: in ordine come da prospetto 730-1, le scelte che potevano espletarsi per la dichiarazione 2018 (anno d’imposta 2017) erano 13: Stato, Chiesa cattolica, Unione Chiese Cristiane Avventiste del 7° giorno, Assemblee di Dio in Italia, Chiesa Evangelica Valdese (Unione delle Chiese Metodiste e Valdesi), Chiesa Evangelica Luterana in Italia, Unione Comunità Ebraiche Italiane, Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia ed Esarcato per l’Europa Meridionale, Chiesa Apostolica in Italia, Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia, Unione Buddhista Italiana, Unione Induista Italiana, Istituto buddista Italiano Soka Gakkai (IBISG).

Nella pratica però nessun cittadino destina direttamente la propria quota irpef all’ente preposto: l’otto per mille infatti, contrariamente a quanto molti pensano, è da intendersi come un il meccanismo che “tiene conto del conteggio del numero di scelte” e solo dopo il calcolo delle percentuali ottenute da ogni ente, questi hanno diritto alla ripartizione dei fondi.

Inoltre la mancata scelta non comporta la mancata assegnazione della quota e nemmeno, contrariamente alla comune opinione, l’attribuzione automatica allo Stato: di fatti l’intero gettito viene ripartito in base alle sole scelte espresse.

A onor del vero due sole confessioni, le Assemblee di Dio e la Chiesa Apostolica, lasciano alla disponibilità dello Stato le quote non attribuite, limitandosi a riscuotere solo i fondi relativi a opzioni esplicite a loro favore.

L’utilizzo dei fondi, differisce poi radicalmente a seconda dell’ente in questione: la Chiesa Cattolica in base a quanto pubblicato dalla Conferenza Episcopale Italiana, per l’anno 2018 pare abbia assegnato il 36% della propria quota a “esigenze di culto e pastorale”, il 37% al “sostentamento del clero” e solo il 27% a “interventi caritativi”.

Di contro enti come la Chiesa Valdese, le Chiese Avventiste e le Assemblee di Dio rifiutano di destinare i fondi ottenuti alle esigenze di culto e al sostentamento del clero, per impiegarli in progetti sociali, missioni o beneficienza.

Lo Stato invece, nell’ultima ripartizione, ha destinato gran parte delle risorse a beneficio del risanamento del bilancio pubblico e alle calamità naturali. Con la L. 147/2013 è stata aggiunta la seguente destinazione: «ristrutturazione, miglioramento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all’istruzione scolastica». In base alla L. 45/2017, la quota parte dell’Otto per mille statale riservata ai beni culturali sarà destinata per dieci anni, alla ricostruzione e al restauro di beni culturali danneggiati o distrutti dagli eventi sismici che hanno colpito il centro Italia nell’estate del 2016.

Ritornando alle valutazioni da espletare in relazione al meccanismo di distribuzione del gettito, non possono non evidenziarsi grandi criticità, più volte tra l’altro rilevate dalla Corte dei Conti.

La stessa, già con la delibera n. 16/2014/G, era intervenuta a gamba tesa sul sistema che disciplina la ripartizione delle risorse provenienti dall’otto per mille, affermando la necessità di una rinegoziazione del sostegno alle confessioni religiose. “Grazie al meccanismo di attribuzione delle risorse” incalzava la Corte dei Conti “ i beneficiari ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata, godendo di un notevole fattore moltiplicativo, essendo irrilevante la volontà di chi rifiuta il sistema o se ne disinteressa; l’ammontare infatti è distribuito ripartendo anche le quote di chi non si è espresso in base alla percentuale degli optanti. Su ciò non vi è una adeguata informazione, benché coloro che non scelgono siano la maggioranza e si possa ragionevolmente essere indotti a ritenere che solo con un’opzione esplicita i fondi vengano assegnati. I fondi destinati alle confessioni risultano ingenti, tali da non avere riscontro in altre realtà europee, avendo superato ampiamente il miliardo di euro per anno, e sono gli unici che, nell’attuale contingenza di fortissima riduzione della spesa pubblica in ogni campo, si sono notevolmente incrementati”.

Questo meccanismo “perverso” dell’otto per mille Irpef, da indicare in sede di dichiarazione dei redditi, prevede che le quote non espresse, quindi non destinate dal contribuente né allo Stato né ad una delle confessioni religiose che abbia accesso ai fondi, siano comunque ripartite in proporzione alle firme ottenute. Ciò fa sì che la Chiesa cattolica faccia la parte del leone: con circa il 37% delle firme, si aggiudica circa l’82% dei fondi.

La Corte di Conti sottolineava poi come fosse singolare che lo Stato rinunciasse a pubblicizzare le proprie attività espletate e a promuovere la possibilità di devolvere a se stesso l’otto per mille, soprattutto in un periodo di così accentuata spending review, contrariamente a quanto fanno invece le altre confessioni religiose, che ingaggiano costose campagne pubblicitarie per accaparrarsi risorse sempre maggiori.

Da questa cornice esce fuori uno Stato che deliberatamente, dunque, rinuncia ad un’ingente percentuale di gettito per lasciarlo entrare nelle casse degli enti religiosi: mancata trasparenza delle erogazioni e assenza di verifica sui fondi erogati alle confessioni dipingono poi un quadro poco edificante per il soggetto pubblico.

Tali anomalie venivano nuovamente evidenziata dalla stessa Corte nel 2016 che con ulteriore delibera ribadiva: “l’assenza di controlli sulla gestione delle risorse”, “rilevanti anomalie sul comportamento di alcuni intermediari” e “scarso interesse per la quota di propria competenza da parte dello Stato”. Si è dovuto addirittura aspettare il 2017 (e numerose pronunce della stessa Magistratura contabile), affinché il Ministero dei Beni e delle Attività culturali si decidesse a promuovere il primo spot che invitasse i contribuenti a destinare il proprio otto per mille allo Stato.

Di fronte a questo desolante scenario che appare paradossale in uno Stato formalmente laico, da più parti sono partiti appelli per abrogare l’otto per mille, rimasti fino ad oggi inascoltati.

Alcune delle motivazioni alla base delle richieste di abolizione, sono ben state sintetizzate dall’UAAR (Unione degli Atei degli Agnostici e dei Razionalisti):

  • il meccanismo avrebbe dovuto essere basato sulla volontarietà, ma la ripartizione delle scelte inespresse viola, di fatto, questo principio;

  • si tratta di un vero e proprio finanziamento a fondo perduto a favore di confessioni religiose che si dovrebbero autofinanziare. Soprattutto nel caso della Chiesa cattolica, gran parte di questi contributi non hanno alcuna utilità sociale;

  • a differenza delle confessioni religiose, lo Stato italiano rinuncia a farsi pubblicità e non da informazioni esaustive sulla destinazione dei propri fondi .

  • Sono ammesse solo le confessioni sottoscrittrici di un’Intesa con lo Stato. Ecco perché la Chiesa, attraverso i parlamentari cattolici, blocca l’accordo (già sottoscritto) con i Testimoni di Geova e impedisce l’avvio di trattative con gli islamici: i fedeli di queste religioni, ben disciplinati, grazie al meccanismo delle scelte inespresse porterebbero alle loro gerarchie una contribuzione ben superiore alla loro percentuale reale, con un danno valutabile in centinaia di milioni di Euro per la Chiesa cattolica.

  • Si tratta di un meccanismo poco trasparente, sconosciuto alla gran parte dei cittadini e che spesso li trae in inganno.

  • Lo Stato, erogando questi finanziamenti, rinuncia ad entrate proprie ed è costretto a cercarne di altre, magari con nuove forme di tassazione.

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *