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Fmi: la pandemia può innescare disordini sociali

Il Fondo Monetario Internazionale lancia l’allarme. Il 29 gennaio scorso ha pubblicato un rapporto, curato da Philip Barrett e Sophia Chen, nel quale analizza il rischio crescente dei conflitti e dei disordini sociali che possono derivare dalle conseguenze della pandemia di Covid 19.

Nel rapporto, i due autori analizzano come  le epidemie possano portare a una maggiore probabilità di disordini sociali utilizzando dei riscontri a livello globale negli ultimi decenni. “Comprendere le implicazioni delle epidemie sui disordini sociali è fondamentale per prepararsi alle potenziali ripercussioni sociali causate dalla pandemia di COVID-19”, scrivono nel report.

Il documento separa nettamente le proteste sociali di carattere politico della fase precedente alla pandemia da quelle successive, e soprattutto da quelle potenziali che sembrano preoccupare le classi dominanti ancora di più.

Tra gennaio 2019 e gennaio 2020, l’esame dei dati degli eventi identifica 59 eventi di disordini in quaranta paesi. Una serie di importanti proteste si sono verificate tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, in particolare in Medio Oriente e Sud America, ma anche altrove. Nessuno di questi eventi sembra essere direttamente collegato a gravi disastri naturali o epidemie. Al contrario, la maggior parte degli eventi di agitazione è stata motivata da fattori politici. Questa recente ondata di eventi di disordini sociali è stata la continuazione di una tendenza più lunga dal 2016, che a sua volta ha invertito un graduale calo dei disordini dopo un picco dopo la primavera araba del 2011”.

Ci sono diversi modi in cui le epidemie potrebbero influenzare la probabilità di disordini sociali. “Da un lato, le epidemie, come altre minacce alla salute umana come i disastri naturali, possono sovvertire l’ordine sociale” –  sostengono i due analisti del FMI.

“La cattiva gestione delle epidemie può rivelare problemi più profondi come reti di sicurezza sociale insufficienti, un governo incompetente o la mancanza di fiducia del pubblico nelle istituzioni. I focolai di malattie contagiose hanno storicamente causato la “paura dell’altro” e il contraccolpo contro certi gruppi (Deverell 2004; Hogarth 2017; Randall 2019), e gli sforzi di contenimento e mitigazione potrebbero essere visti come eccessivi e inutilmente costosi ex post. Paradossalmente questo può accadere se questi sforzi hanno successo nel fermare la diffusione di una malattia. Inoltre, i possibili gravi danni economici delle epidemie, specialmente se colpiscono in modo sproporzionato i poveri, potrebbero esacerbare l’ineguaglianza e gettare i semi di futuri disordini sociali: questi sono i fattori cicatrizzanti delle epidemie che possono dare origine a disordini sociali. D’altra parte, le epidemie sono crisi umanitarie che portano brusche interruzioni nella vita. Tali interruzioni possono impedire la comunicazione e il trasporto necessari per organizzare grandi proteste”.

Su questo aspetto i due analisti del Fmi sembrano piuttosto confortati dal fatto che il distanziamento sociale abbia in qualche modo ammortizzato i rischi di disordini sociali.

Una qualche conferma l’abbiamo avuta anche in Italia, dove la relazione annuale dei servizi segreti relativa al 2020, ha fornito un resoconto piuttosto rassicurante sulla scarsità di proteste sociali preoccupanti per l’ordine pubblico.

Le uniche ad aver colto di sorpresa l’intelligence e gli apparati di sicurezza sono state le proteste spontanee di ottobre 2020 a Napoli, Firenze, Torino, Milano dove la composizione sociale e politica “spuria” delle piazze ha colto di sorpresa gli schemi di controllo e monitoraggio a disposizione degli apparati coercitivi e d’intelligence italiani. Una conferma di questo sbandamento “categoriale” era del resto ben leggibile anche dalle dichiarazioni rilasciate ad ottobre dalla ministra degli Interni Lamorgese.

Dall’inizio dell’epidemia di COVID-19, il numero dei principali eventi di disordini in tutto il mondo è diminuito drasticamente e a marzo ha raggiunto il livello più basso in quasi cinque anni. Il declino dei disordini sociali corrisponde strettamente a un declino generalizzato della mobilità guidato da normative come l’obbligo di rimanere dentro casa e il distanziamento sociale volontario”, sottolineano Philip Barrett e Sophia Chen.

Per illustrare l’associazione straordinariamente stretta tra la tempistica del declino della protesta e la brusca interruzione delle attività sociali, i due analisti hanno analizzato i dati di Google Community Mobility Reports, che utilizza la cronologia delle posizioni dei telefoni cellulari per misurare l’attività in categorie specifiche, di cui ne vengono incluse due in particolare (attività in spazi commerciali e ricreativi e stazioni di transito), sebbene altre attività siano molto simili.

Tale correlazione delle serie temporali viene portata come una prova che attenua gli effetti sociali dell’ultima epidemia. Probabilmente hanno portato al superamento delle cicatrici che avrebbero potuto incentivare i disordini”, scrivono i due analisti.

Uniche eccezioni degne di nota di questo congelamento dei disordini sociali riguardano gli Stati Uniti e il Libano. Ma anche in questi casi, le proteste più grandi sono state legate a questioni che hanno preceduto di molto l’epidemia di COVID-19: l’ingiustizia razziale negli Stati Uniti e la crisi di governo in Libano.

I due analisti del FMI sono poi passati ad esaminare la relazione trasversale tra disastri e disordini sociali, chiedendosi se i paesi dove è più forte la pandemia abbiano in media più disordini sociali.

“Questa relazione coglie utilmente variazioni persistenti e di lungo periodo tra i paesi. Questa prospettiva di lungo periodo è importante perché le epidemie possono lasciare ombre decennali nella società, come abbiamo accennato nel nostro precedente resoconto della storia delle epidemie”.

In quasi tutti i casi, secondo il report del Fmi, esiste una relazione stretta tra disordini sociali e disastri – in questo caso la pandemia – che è stabile tra i gruppi di reddito, cioè in base alla composizione sociale e l’accesso alla ricchezza dei vari segmenti di popolazione investiti dalla pandemia.

In questi mesi abbiamo affermato ripetutamente come sia più corretto parlare di sindemia che di pandemia, proprio per le forti correlazioni sociali tra il fenomeno pandemico e le condizioni di vita dei diversi segmenti della popolazione. Ci si è contagiati e si è morti di più nei quartieri popolari che in quelli più ricchi, sono stati contagiati e sono morti più poveri che ricchi.

Anche nella pandemia continuano a pesare le contraddizioni di classe. Sulle sue conseguenze – che stanno dilatando a dismisura le disuguaglianze sociali – tale contraddizione diventa ancora più nitida, acutissima e decisiva.

Prima o poi, con la vaccinazione della gran parte della popolazione, le misure restrittive contro la pandemia dovranno essere rallentate e la vita tornare ad essere “normale”. Ma a giugno scadono il blocco dei licenziamenti e il  blocco degli sfratti, mentre termineranno anche gli ammortizzatori sociali e i ristori di massa.

Le imprese definite “zombie” dallo stesso Draghi saranno lasciate morire ed anche per disoccupati e lavoratori e lavoratrici poveri ci sarà poco o niente. Poi dal 2023 ci saranno anche da pagare i costi dell’accresciuto indebitamento pubblico e restituire i prestiti del Recovery Fund.

Insomma un cortocircuito di quantità e qualità di contraddizioni sociali fin qui attutite dalle restrizioni, dalla paura del virus e dal distanziamento sociale, che dovrà essere sottoposto a controllo, prevenzione e coercizione per tenerlo sottomesso. Sembrano averlo ben chiaro Draghi e il suo esecutivo. Alla supervisione dei servizi segreti ha messo Gabrielli, a Capo della Polizia Giannini. Due dirigenti che conoscono bene il loro mestiere dal punto di vista politico, più che banalmente “criminale”, e ben preparati a un compito repressivo molto “orientato” dalla politica.

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