Una seconda cosa è abbastanza chiara, ma poco nota e ancora meno discussa: non c’è sacrificio che possa saldare il conto con la massa di denaro virtuale rappresentata dai “prodotti finanziari derivati”. Quei 600.000 miliardi di dollari scritti in righe di codice informatico, che esistono solo nelle reciproche promesse tra “stampatori di moneta inesistente”, rappresentano tra 10 e 12 volte il prodotto interno lordo globale; 40 volte il Pil degli Stati Uniti, 300 volte quello italiano. A questa portaerei carica di bombe atomiche la “manovra” italiana da 40 miliardi (o più realisticamente da 68) appare come un pedalò da triturare in un attimo. Per certi stomaci, insomma, sono poco più di una mentina.
Nessun paese può resistere. Tantomeno da solo. Ma nessuna alleanza appare sicura. L’Europa è divisa tra franco-tedeschi ancorati a vecchie consuetudini e filo-anglosassoni arruolati come tanti “responsabili” alla Scilipoti (la presidenza polacca della Ue non poteva capitare in un momento peggiore). E un “esercito” – ma quello europeo si dimostra solo una masnada malamente tenuta insieme da una moneta unica – che non riesce a prendere decisioni in tempo utile diventa bersaglio facile per avversari strutturalmente caratterizzati da unità di comando, rapidità di spostamento, grande potenza di fuoco e appetiti infiniti.
L’Italia, in questo gioco, è indebolita da un governo in-credibile. E’ l’unico punto su cui hanno ragione quanti – da Confindustria all’opposizione parlamentare – vanno in queste ore invocando la classica “unità nazionale” contro l’invasore. Anzi, per soddisfare prima e appieno l’invasore (ossia “rassicurare i mercati finanziari”).
Il paradosso nazionale è racchiuso infatti in questa misera messinscena: un governo di rapinatori a titolo individuale (ognun per sé, pare) non viene neppure invitato a farsi da parte e resta in sella con l’aiuto di tutti i presunti avversari, perché “bisogna salvare il paese”. Un ministro delle finanze che si è scelto come consigliere e curatore delle nomine di sua competenza un tale che potrebbe finire presto in galera (in qualsiasi altro paese sarebbe già cosa fatta), e come portavoce la di lui compagna, e come abitazione romana la di lui casa, senza mai accorgersi delle di lui malefatte (un fine osservatore, insomma!), viene trattato dall’opposizione con il riguardo dovuto a un “salvatore della patria”. Uno così, che osa dire di se stesso “se cado io, cade il paese”, manco fosse un novello Luigi XIV, senza che nessuno gli sussurri la parolina magica: “dimissioni”.
Ma questa classe dirigente identifica la “credibilità” con l’obbedienza “ai mercati”. Ossia a quei “decisori occulti” ben nascosti dietro fondi, società, associazioni, lobby che orientano le scelte delle borse e dei governi senza più rispondere a nessuna autorità sopra di loro. Che maneggiano denaro virtuale da loro stessi creato come missili a testata multipla, mentre della loro azione si parla come “leggi oggettive dell’economia”. Un mismatch di proporzioni imbarazzanti. In cui ogni discorso sulla “democrazia” appare utopico quanto un vangelo. Qualsiasi sia la legge elettorale.
La loro richiesta viene esplicitata su giornali come il Wall Street Journal – proprietà Murdoch, lo “spiatore” per ragioni private di ministri e premier, al livello dei Gordon Brown – ed è perentoria: deflazione. I termini tecnici richiedono sempre una spiegazione empirica: significa caduta drastica dei livelli di reddito per centinaia di milioni di persone. Caduta da realizzare attraverso i tagli alla spesa sociale (sanità, pensioni, istruzione, assistenza), licenziamenti, riduzioni dei salari (pubblici e privati, ovviamente). Significa repressione violenta del dissenso sociale che ogni politica di questo tipo solleva. La Grecia è un esempio persino “gentile”, per ora, della strada che si vuole imporre al mondo.
E la nostra “opposizione democratica” è pronta a fare (meglio: a far fare) i sacrifici che i moderni Baal richiedono via “mercati”. Sacrifici umani, naturalmente.
Anche se tutti sanno che saranno soltanto uno spuntino.
Ci sembra dunque ora che gli “agnelli sacrificali” escano dai loro recinti e rifugi, nemmeno più tanto confortevoli. E che facciano sentire alta la propria voce. Se è vero che nel dopoguerra, dopo lunghe lotte e conquiste sociali, eravamo arrivati a conquistare uno status civile e reddituale (le due cose, come si sa, vanno insieme) lontano dal pauperismo, e quindi ad “avere qualcosa da perdere, oltre le catene”… oggi i “decisori” della finanza hanno un bisogno disperato di ributtarci in quella condizione primitiva.
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