A quanto pare saremo costretti a convivere ancora con gli strascichi del tormentone antiberlusconiano che immobilizza e forvia da venti anni il paese. Qualcuno aveva sperato -e operato – affinchè la sentenza della Corte di Cassazione ponesse fine per via giudiziaria alla contraddizione. Ma la sentenza, da un certo punto di vista, può dirsi ineccepibile: ha confermato il fattore giudiziario con la condanna di un reato ed ha rinviato alla “politica” la soluzione della incandidabilità di Berlusconi. I giustizialisti sono rimasti con un po’ di amaro in bocca perchè avrebbero voluto una sentenza che risolvesse “in toto” tutti i problemi, ma così non poteva essere e così non è stato.
L’aver rinviato la palla alla politica ha suscitato il prevedibile vespaio al quale stiamo assistendo. Al centro del vespaio ancora una volta c’è l’ape regina o meglio “l’ape re”. Infatti la grana peggiore è quella che si agita tra le mani del Presidente Napolitano, autore di un paio di forzature costituzionali prima con la nascita del governo Monti e poi con quello delle larghe intese. Neutralizzare una sentenza della Corte di Cassazione è un atto che neanche il Quirinale può permettersi senza pagare un prezzo politico altissimo, ma è questo l’obiettivo sul quale sta ragionando. L’ipotesi della grazia è stata bruciata ma negare una soluzione che somigli ad un salvacondotto per Berlusconi, inevitabilmente avrà delle ripercussioni sulla tenuta del governo imposto da Napolitano. La destra ne è consapevole ed è su questo tasto che batte ossessivamente approfittando di un PD in totale subalternità rispetto alle forzature e ai ricatti del Quirinale.
E’ singolare come appena si ravvisi il palesarsi di questa contraddizione emerga immediatamente il ricatto della stabilità, delle ipoteche dei mercati finanziari e dell’Unione Europea. Il problema infatti non è Berlusconi ma è proprio questo: la totale subordinazione agli agenti esterni limita enormemente non solo i residui dello stato costituzionale ma anche le possibilità di manovra in coerenza con esso.
Il dogma della stabilità è extracostituzionale per sua vocazione, anzi, come ci ricorda la banca d’affari JP Morgan, lo stesso assetto costituzionale può diventare un intralcio da rimuovere. Dunque siamo in presenza del massimo della contraddizione politica tra un sistema di priorità economiche e la sua rappresentazione politica. Una situazione che nella storia ha provocato spinte al cambiamento potenti e talvolta furiose. Un terreno ideale per un movimento “giacobino” ma che è resa inefficace dall’egemonia dell’antiberlusconismo, il quale continua ad agitare questo panno rosso davanti agli occhi della società distogliendoli dai passaggi necessari ad un cambiamento sociale e democratico effettivo. Si consuma così, strappo dopo strappo, colpo dopo colpo, una virata autoritaria sul piano politico e antipopolare nelle priorità economiche all’insegna della stabilità. Sarebbe suicida ritenere la caduta del governo Letta come un dramma, meno che mai se il prezzo della sua tenuta sarà un salvacondotto per il pregiudicato Berlusconi. I mesi che ci aspettano saranno furiosi, ma guai a pensare che il problema principale siano ancora le sorti giudiziarie del Cavaliere. Sono venti anni che ci stanno massacrando con questo giochetto.
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