Il 12 aprile è ormai alle nostre spalle, e così anche – ci auguriamo – le logiche divisive che qualcuno improvvidamente ancora teorizza.
Abbiamo davanti una situazione complicata: i vincoli imposti dall’Unione Europea sono stati costruiti e vengono scientificamente usati per realizzare la più imponente “controrivoluzione sociale” che si sia mai vista nell’Europa del dopoguerra. E non sarebbe possibile imporla senza una contemporanea “controrivoluzione politica”, che rovesci come un guanto le Costituzioni antifasciste, quelle stigmatizzate in un ormai famoso report di JpMorgan.
Questo il nemico contro cui ci battiamo. Tutti, anche chi nemmeno riesce ancora a capirlo.
Austerità, jobs act, spending review, governo Renzi, repressione poliziesca, progetti di abolizione del diritto di sciopero, ecc, sono tutti strumenti temporanei o braccia di una macchina micidiale e ostile che occorre cogliere nel suo insieme per poterla affrontare e battere.
Questa macchina si chiama Unione Europea e non ha nulla a che vedere con l’Europa dei popoli. È uno Stato in costruzione, e i suoi architetti lo hanno disegnato ormai da un ventennio come un apparato inattaccabile dalla volontà popolare. È una macchina con velleità imperiali che da tempo crescono sotto il mantello retorico dell’”intervento umanitario”. Una macchina animata da un pensiero unico che sembra aver contagiato in modo irrecuperabile anche la cosiddetta “sinistra radicale” (quella che apre a un “intervento delle truppe di pace” in Ucraina) e persino qualche “antagonista” così miope da non saper distinguere le piazze rivoluzionarie da quelle naziste.
Non è insomma quello “spazio comune” sovranazionale e pacifico dipinto dalla propaganda. Soprattutto, non è una macchina riformabile. Tantomeno per via elettorale (il Parlamento europeo che verrà eletto il 25 maggio è privo del potere legislativo; è poco più di un ente di consultazione post factum).
L’opposizione sociale e politica a questa macchina infernale non è mai stata così debole e frammentata come oggi. Ogni soggetto “alternativo” è ancora talmente inadeguato, rispetto alla sfida, che nessuno può seriamente pensarsi come il “piccolo motore” capace prima o poi di innescarne uno molto più grande. Ma qualsiasi sommatoria di pulviscoli residuati da altre storie e progetti sarebbe una pura perdita di tempo ed energie.
Il 18 e 19 ottobre avevano fatto apparire un “nuovo soggetto”, un’alleanza pratica tra soggetti sociali e politici, dotata di un’embrione di logica comune. C’è chi ha colto con preoccupazione questa emersione (ad esempio gli apparati del nemico di classe), c’è chi se n’è spaventato temendo di vedersi ridurre il margine di “autorappresentazione”, e c’è anche chi non l’ha nemmeno capito.
Inutile rimpiangere quel che non è stato. Il problema da risolvere resta intatto: la ricomposizione di un blocco sociale in grado di difendere efficacemente i propri interessi, di collegarsi ai processi di mobilitazione-ricomposizione in corso in altri paesi del Continente, e quindi – proprio per questo – di inceppare, imballare, rompere il motore reazionario dell’Unione Europea.
Su un punto dobbiamo essere estremamente chiari: si ricompone un blocco sociale a partire dalle figure centrali nel processo produttivo, quelle anche dimensionalmente maggioritarie. Ovvero il mondo del lavoro (a sua volta scientificamente frammentato tra ex-stabilizzati e precari, disoccupati e pseudo “autonomi”, pensionati e cassintegrati, ecc). Per quanto difficile e frustrante possa a volte apparire. Ma non ci sono scorciatoie, se non immaginarie.
Si ricompone ovviamente insieme alle figure più attive. Ci sembra quasi inutile ancora una volta elencare i movimenti che sono stati un faro per tutti in questi ultimi anni, come i No Tav, No Muos, le lotte per la casa, ecc; ma proprio la storia di questo quasi eroico attivismo dimostra quanto sia difficile “ricomporre” un movimento generale a partire dalle particolarità, per quante inossidabili ragioni abbiano.
Quel che ci sembra francamente stupido è immaginare che esistano “forme” del conflitto capaci di per sé di “sostanziare” un soggetto. C’è chi purtroppo lo teorizza, forse senza neppure rendersi conto di quel che dice:
“la rottura dei divieti di polizia è l’unica pratica concreta e immediata in grado di ricomporre i soggetti sociali sul piano della mobilitazione nello spazio metropolitano contemporaneo”.
Chi ha una certa “praticaccia” di conflitto ha già sentito queste parole e ne ha visto gli esiti pratici: sullo sfondo i problemi e gli interessi sociali, in primo piano gli scontri, la mostrificazione del conflitto. Erano parole inefficaci e divisive contro uno Stato “solo” nazionale, incapaci di comunicare con un “blocco sociale” ben più coeso e politicamente motivato di quanto oggi non sia. Non c’è bisogno di lunghi discorsi per capire come – oggi – siano un modo di “fare ben poco facendo mostra di essere un sacco indaffarati”.
C’è un’altra strada e proviamo fin da subito a praticarla. Il “semestre europeo” che vedrà l’italietta renziana alla guida – si fa per dire – dell’Unione Europea, deve diventare il banco di prova della capacità collettiva di ricomporre un’opposizione sociale all’altezza. La seconda metà dell’anno si caratterizzerà per l’attacco al lavoro, alle sue residue tutele, ai contratti e agli ammortizzatori sociali. È tutto dichiarato, scritto e sottoscritto.
Vogliamo produrre – come in Spagna e in Grecia – una mobilitazione continua, dal basso, articolata nella difesa di interessi e riunificata dal riconoscimento del comune “nemico”. Che non è l’astratta “austerità” – persino Napolitano, Confindustria e Renzi non ne possono più – ma il soggetto che l’ha progettata e imposta: l’Unione Europea.
Vogliamo e dobbiamo farlo per dare una prospettiva praticabile “ai nostri”, al nostro blocco sociale. A donne e uomini che capiscono benissimo, al contrario di tanti compagni “un sacco antagonisti”, che la propria condizione di vita peggiora giorno dopo giorno a causa di quella macchina infernale guidata da Bruxelles e dalla Troika. Donne e uomini che, in mancanza di una soggettività rivoluzionaria e credibile, rischiano di subire la fascinazione semplificatoria della destra reazionaria.
Noi cominciamo con l’assemblea convocata per il 23 aprile, a Roma per confrontare idee e proposte di mobilitazione prima e durante il semestre europeo guidato da Renzi. Cominciamo insieme al sindacalismo conflittuale, alla parte di movimento che comprende la posta in gioco, ai gruppi politici capaci di mettersi finalmente in discussione.
Ci sembra questo l’unico modo per “partire e tornare insieme”. Ovunque.
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commercio
“si ricompone un blocco sociale a partire dalle figure centrali nel processo produttivo, quelle anche dimensionalmente maggioritarie.”
In teoria ok… ma rispetto alla pratica mi sembra che i risultati non girino come vorremmo girassero.
E poi ancora:
“Quel che ci sembra francamente stupido è immaginare che esistano “forme” del conflitto capaci di per sé di “sostanziare” un soggetto.”
Anche l’estetica e la forma vogliono la loro parte, altrimenti non mettiamo negli articoli le foto dei servizi d’ordine, dei compagni greci con i manici di picco e così via…
Teoria e prassi…. unità-critica-unità…. egemonia….
bho?