La pace è di destra, la guerra è “democratica” e “di sinistra”…
In questo abisso è arrivata infine la deriva neoliberista europea, che da oltre trenta anni vive spacciando pillole di ideologia tossica in ogni angolo della società, grazie a un sistema di media-pusher che – contrariamente agli spacciatori professionisti di sostanze chimiche – perde però clienti ogni giorno che passa.
La folla degli utili idioti che spingono per la guerra percola in buona parte dal campo “progressista”, e questa è l’unica ragione per cui l’inversione totale dei valori è stata fino ad un certo punto credibile. E’ rimasta in fondo al loro baule qualche foto delle manifestazioni. Non ricordano più a cosa servivano, ma “fa sinistra” convocarne una. Per la guerra o contro… fa lo stesso, no?
Ma guerra non è solo una parola. E’ una lama così tagliente da eliminare ogni mediazione, un qualcosa che non si può cavalcare. Discende da una crisi talmente acuta da far perdere il controllo razionale e il senso della realtà, da far credere possibile una scommessa insensata e folle, giocata sulla pelle altrui fin quando non tocca anche alla nostra.
Quella in Ucraina sembrava a questa gente la guerra perfetta. Da un lato “noi”, gli “occidentali buoni e democratici” che riforniscono di armi degli “aggrediti” da un’autocrazia – qualunque cosa significhi – ma che certamente, grazie al “nostro” sostegno, ridurranno a uno straccio una superpotenza nucleare che combatte solo con armi convenzionali perché ha paura della “nostra” capacità atomica (in realtà, di quella Usa, che guidano la Nato).
Una guerra cui partecipiamo, ma dove “noi” non moriamo. Subappaltata e delocalizzata come una produzione troppo inquinante.
Dall’altra “loro”, i cattivi che vorrebbero “invaderci” e arrivare fino a Lisbona – una sciocchezza ereditata pari pari dal campionario della “Guerra Fredda” – ma che sono così straccioni da “combattere con le pale”, da congelare nel freddo “senza calzini”, epperò tanto feroci da avanzare comunque.
Non serviva a nulla evidenziare che i “nostri protetti” mettevano in bella mostra un trionfo di svastiche mentre conducevano da otto anni una guerra contro due province che avevano osato dichiararsi indipendenti dopo un golpe sanguinoso e una strage di sindacalisti ad Odessa. Era stato messo alla loro testa un attore ebreo, e tanto bastava per “democratizzare” anche una junta di impresentabili nazisti.
Né serviva a nulla cercare di far capire che andando avanti col pompare armamenti in una guerra fatta – sì – da altri, ma con le “nostre” armi e i nostri soldi (senza virgolette: sono proprio i nostri), prima o poi ci saremmo trovati davanti al bivio posto da qualsiasi guerra: o aumenti lo sforzo per riuscire a vincere (escalation) o ti fermi accettando il risultato sul campo (una mezza sconfitta).
Se poco poco si esce dalla nebbia lisergica del “siamo i padroni del mondo”, del “giardino” contrapposto alla “giungla”, ci si rende conto – e si poteva anche prima – che questo “nostro” meraviglioso mondo euro-atlantico era piuttosto squilibrato.
A dirigere le danze c’è sempre stata una superpotenza nucleare ed economica che, dal 1945 in poi, ha condotto prima una guerra di logoramento contro l’Unione Sovietica, vincendola. Poi ha sviluppato una veloce conquista economico-politico-militare di gran parte dei suoi territori, nella non invisibile speranza di provocare il collasso e la frammentazione di ciò che era rimasto del vecchio “orso” (nel frattempo convertito al capitalismo, ma fa niente…).
A ballare sulla musica yankee, spensierata, un’armata brancaleone di piccoli affaristi, vassalli ben pasciuti e tollerati, che si crogiolavano nel sogno di diventare un giorno “competitor” del Grande Protettore.
Il quale intanto stava andando manifestamente in affanno, tra debito pubblico esplosivo, deindustrializzazione e impoverimento interno, colossali squilibri commerciali ed evidente impossibilità di continuare “governare il pianeta” sia con le armi che con la diplomazia. La fuga dall’Afghanistan era stata del resto un risultato fifty-fifty tra Biden e Trump.
Poi lo shock. Per quanto vincente sul campo, la Russia non si era dimostrata poi un avversario così “invadente” (se per avanzare da Donetsk a Zaporizha ci metti tre anni, Lisbona può dormire tranquilla…), e in fondo ha già un territorio sterminato pieno di risorse naturali, ma poca gente per abitarlo tutto (140 milioni, meno di un terzo rispetto alla UE).
L’Ucraina, da parte sua, stava invece esaurendo le sue risorse umane militarizzabili, tra fughe all’estero e perdite sul campo. Anche qui, o rimpiazzi le sue perdite con i “tuoi” soldati – creando però quella “minaccia esistenziale” che in qualsiasi dottrina militare giustifica il ricorso alle armi atomiche – o saluti tutti e lasci perdere.
Gli Stati Uniti, dopo tre anni, si sono fatti due conti e hanno deciso che le loro sempre minori risorse, che li costringono a programmare il dimezzamento della spesa militare e della spesa pubblica in genere, vanno impiegate in altri scenari. Più redditizi o pericolanti, per la presenza di potenze più robuste (la Cina). In fondo gli europei sono abbastanza ricchi da poter fare da soli.
Ce ne sarebbe d’avanzo per cogliere al balzo l’occasione, senza neanche cambiare il sistema economico, e riprendere parte dei rapporti dismessi per sostenere una guerra ormai persa. In fondo la Russia era un buon fornitore di energia a basso costo, un mercato ricco per le “nostre” esportazioni, anche se molto meno della Cina contro cui – chissà perché – ci siamo messi a alzare i muri, “sanzioni” e dazi.
E invece no.
“Vogliamo” continuare la guerra da soli. Anche se persino gli ucraini – che la loro pelle l’hanno già spesa, ma ancora sognano “vittorie” – ci spiegano che “senza gli americani” non si va da nessuna parte. Tanto meno in guerra. E magari cominciano a pentirsi di aver dato loro retta, undici anni fa.
E siccome siamo governati da mezzi fascisti pavidi – sì, i fascisti sono sempre stati pavidi, in stragrande maggioranza – allora i “democratici” e “di sinistra” si mettono pure a protestare in piazza perché si decidano a rompere gli indugi, prendano “decisioni irrevocabili” (copyright del loro fondatore a testa in giù) e inviino al più presto al fronte altra carne da cannone – la nostra, senza virgolette -, per di più tagliandoci i viveri pur di raddoppiare la spesa militare.
E chissenefrega se così si rischia di innescare la terza guerra mondiale – la prima e ultima nucleare. L’ha capito persino Trump che è ora di togliere il piede dall’acceleratore e tirare il freno. Per puro calcolo, mica per ideologia…
Ma “il democratico duro e puro” non ci sta, o non ci sente più. O comunque non vede l’abisso entro cui va precipitando. Chiama a manifestare per la guerra, che ora benedice come “di sinistra” (ma se ci vanno pure i conservatori e i fascisti non si scandalizza mica…).
Basta.
E’ ora di finirla con questi “pentiti” del progressismo convertiti, mussolinianamente, all’”interventismo” e al cinico gioco del “mi servono poche migliaia di morti per sedermi al tavolo delle trattative”.
Si gingillino pure con il loro “porcospino d’acciaio” – solo un’aristocratica teutonica poteva tirar fuori una metafora del genere – e provino pure a farsi vedere in piazza. Faranno ridere, oltre che vomitare.
E’ ora però di riprendere in mano, con la massima forza, la bandiera della pace subito. Lo avevamo cominciato a dire, ma ora è indispensabile farlo gridare a tutto un popolo sbalestrato tra messaggi fasulli, contraddittori e parecchio infami.
Tra guerra e pace non c’è via di mezzo.
Abbassate le armi, alzate i salari!
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Ta
Serra e i suoi pidioti da guerra rispondono al MAGA con il SEGA: Soldati Europei per la Guerra Americana…
Fe
…Fa sorridere che nella lettera di risposta della Schlein alla proposta di Serra la parola guerra sia riportata solo due volte, “il dopoguerra” (e ci si riferisce al post II conflitto mondiale) e la “guerra commerciale”. La parola Russia non c’e’. Coda di Paglia?
Andrea
subdoro che il.programma di creare un esercito UE sia per la futura repressione dei cittadini non.in simtonia com la Commissione UE.