Il mese di lotta di questo settembre con lo sciopero generale del 22 e le “quattro giornate” di scioperi e manifestazioni, dall’1 al 4 ottobre, sono state l’acquazzone rinfrescante, atteso dopo una lunga siccità politica, con una partecipazione popolare inaspettata di milioni di persone, lavoratori e soprattutto di giovani.
Il genocidio perpetrato nei confronti del popolo Palestinese ed il cinismo ipocrita dell’occidente di fronte a tale dramma, ha risvegliato la coscienza di ampi settori della società frantumando la spessa ”crosta” di falsità costruita dalla politica, dalla comunicazione mainstream, dalle istituzioni oggi gestite da quella classe di parvenu eredi del berlusconismo, del secessionismo farsesco e, soprattutto, del fascismo.
La rivolta etica per Gaza è stata la scintilla che ha dato fuoco alla prateria ricoperta da stoppie secche, ma la carica, la forza che si è vista in questi giorni ha cause molto profonde e radicate nel degrado sociale, economico, politico e culturale che investe da tempo il nostro paese e tutto l’occidente.
La radicalità del “blocchiamo tutto”, dell’attacco frontale ed esplicito all’indecente governo Meloni e la evidente distanza dal cosiddetto campo largo, incapace di raccogliere le richieste di una società in difficoltà, hanno convinto milioni di lavoratori e di cittadini tanto da aderire a ben due scioperi generali politici fatti nell’arco di appena una decina di giorni. Ma al di là delle stesse mobilitazioni la stragrande maggioranza della popolazione italiana si è schierata contro Israele e chi l’appoggiava, come hanno dimostrato in questi mesi tutti i sondaggi.

Che i motivi di tali posizioni diffuse andassero oltre la solidarietà e la vicinanza al popolo Palestinese e mettessero sotto accusa lo stesso governo di destra lo ha capito molto bene la presidente del consiglio, la quale ha reagito con rabbia e nervosismo di fronte ad una evoluzione che non pensava fosse possibile. Si era, infatti, troppo abituata alla impotente opposizione parlamentare (vedi la sconfitta elettorale nelle Marche e in Calabria) che non ha avuto neanche il coraggio di votare in parlamento contro il piano di pacificazione colonialista proposto da Trump per la Palestina e si è astenuta.
Improvvisamente e inaspettatamente si è materializzata l’enorme divaricazione tra la politica istituzionale, la comunicazione ufficiale di TV e giornali e la società italiana, ed in modo ancora più netta con le classi subalterne, le quali stanno vedendo il peggioramento delle proprie condizioni di vita a partire da quel “ceto medio” considerato finora baluardo della stabilità politica del paese.
Evidenti sono stati i caratteri della partecipazione popolare alle mobilitazioni, i lavoratori organizzati nei sindacati in particolare di quelli di base, anche se la CGIL è stata costretta alla fine a fare una rapida inversione di marcia, tutto il mondo della formazione, dagli studenti ai professori, alla ricerca e università.
Significativa è stata la partecipazione dei lavoratori dei servizi tramite la riuscita degli scioperi che hanno bloccato il paese e di alcune parti importanti della classe operaia, da quella dei porti a quella della logistica, infine si è rivisto in piazza quel popolo della sinistra sbandato e disilluso che ha percepito nelle mobilitazioni la possibilità di una ripresa politica ed ha, forse, pure pensato di sollecitare chi avevano precedentemente votato ma senza risultati.
Il profilo manifestatosi nelle piazze è stato quello di un potenziale blocco politico-sociale che si oppone al governo reazionario delle destre ma che non è affatto attratto dalla proposta del “campo largo”, anche perché quest’ultimo nelle mobilitazioni più che essere presente con un basso profilo non si è per niente presentato, mandando avanti la CGIL. Un sindacato messo in evidente contraddizione dovendosi mobilitare per recuperare il riuscitissimo sciopero del 22 settembre dopo il fallimento del loro strumentale sciopero convocato per il 19 settembre.
Scavando più a fondo sulla nuova condizione, emerge un altro elemento dai caratteri sociali della mobilitazione a sostegno della Palestina. Infatti si è manifestato un apparente paradosso, in quanto da tempo il conflitto di classe vive una condizione di letargia e spesso si è pensato che solo l’incremento delle contraddizioni materiali avrebbe in qualche modo modificato i comportamenti passivi che hanno caratterizzato i decenni più recenti.
Invece sta emergendo come il conflitto politico oggi è in grado di sussumere quello sociale, anche se parzialmente, a differenza di tempi precedenti dove il conflitto sociale, pensiamo agli anni ’90 con le pesanti manovre finanziarie varate a sostegno della costruzione dell’Unione Europea, era più avanzato di quello politico. Questo perché era proprio la sinistra, incluso il PRC bertinottiano, a gestire le manovre antipopolari e la privatizzazione del sistema produttivo e dei servizi pubblici.
Quella condizione politico-istituzionale protrattasi fino al governo Draghi, impediva e comprimeva la spinta al conflitto sindacale e sociale, con l’appoggio attivo di CGIL, CISL, UIL, creando quella letargia che aveva fatto divenire l’Italia il paese più arretrato nel conflitto di classe dietro Francia, Spagna, Grecia ed altri paesi ancora.
Quella compressione ha impedito ogni possibilità di contrattazione e di mediazione sociale, incrementando quel malessere che ora trova la sua valvola di sfogo in motivazioni tutte politiche. Queste sono antagoniste al governo di destra ma anche estranee al centrosinistra corresponsabile della situazione attuale, fino alla convocazione della vergognosa manifestazione a sostegno “dell’Europa forte” in Piazza del Popolo a Roma, sostenuta da politici, intellettuali e artisti asserviti o ai condizionamenti esercitati da “Sinistra per Israele”.

Le mobilitazioni di queste settimane sono la fotografia dello “stato dell’arte” del conflitto di classe nel paese, in quanto si collocano dentro una condizione generale in evoluzione.
Nel Forum organizzato dalla Rete dei Comunisti nel 2023 – “Il Giardino e la Giungla” – dedicato alla frammentazione del mercato mondiale, è stata individuata la tendenza all’incremento delle contraddizione nel modo di produzione capitalista causata dai limiti insorti alla crescita generale moltiplicando la competizione tra i soggetti in campo.
Tale condizione riguarda i soggetti statuali e geopolitici, le imprese multinazionali, i caratteri della produzione attuale, le politiche sociali, incrementando competizione e centralizzazione tra le diverse aree economiche esistenti.
Il malessere sociale manifestatosi ora per via politica, è il prodotto di una condizione che si protrae da molto tempo ed ha una base materiale in cui si accentueranno le contraddizioni e difficilmente si potrà invertirne la rotta, sia nel conflitto internazionale che in quello di classe nei diversi paesi ed aree economiche.
Una valutazione compiuta del movimento di massa visto in questo ultimo mese deve considerare anche questa tendenza generale in cui siamo immersi, in quanto la ripresa del conflitto di classe nel nostro paese può avere da queste mobilitazioni nuovo carburante adottando scelte tattiche e strategiche adeguate.
Innanzitutto contribuendo a mantenere la mobilitazione in modo unitario, su contenuti politicamente chiari e rifiutando ogni mediazione sul merito. Questo significa tentare di consolidare la partecipazione proponendo nuovi momenti di lotta e di denuncia ma avendo chiare le caratteristiche dei settori politici e sociali su cui operare.
Non siamo di fronte ad una rottura sociale netta e cosciente ma dentro una maturazione delle contraddizioni che vanno seguite e curate con molta attenzione, puntando principalmente sulla tenuta nel tempo di questo movimento.
Contemporaneamente va rafforzato il collegamento politico tra quello che sta accadendo in Palestina con le politiche colonialiste e di riarmo dei governi europei, a cominciare da quello Meloni, e di conseguenza denunciare gli effetti che si avranno sulla struttura produttiva del paese e sulle spese sociali in quanto verranno significativamente ridimensionate in funzione del risorgente militarismo europeo.
Dare continuità e organizzazione al movimento di solidarietà con la Palestina, battersi contro il riarmo e per la pace significa consolidare una condizione politica fondamentale per le forze di classe, per quelle antagoniste e per i comunisti, per individuare e definire una ipotesi e un lavoro politico strategico che punti a consolidare un’area politica indipendente anche dal centro sinistra, ormai impotente ed incapace di rappresentare politicamente i bisogni e le contraddizioni che attraversano e penalizzano i lavoratori in generale, i giovani e le classi subalterne del nostro paese.
*Rete dei Comunisti
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Michele
Ma in Calabria si riconferma il peggior malaffare berlusconiano con l’esito elettorale. Ovvio che non ci importi del voto ma purtroppo per ora è così , salvo che i calabresi onesti e con coscienza …insorgano (?).
Giancarlo Staffo
No riarmo ed economia di guerra, contro UE e Nato con la Palestina come riferimento, la via e il multipolarismo (brics), la giungla che ormai è arrivata anche da noi contro il giardino di occidente. È possibile aggregare un grande blocco sociale e politico senza il Pd
antonio D.
Si può ben dire che: finalmente il politico vince sul sociale
”Silurino”
Ottimista.
Redazione Contropiano
se fossimo pessimisti staremmo a fare gli umarell a bordo strada…
franco de mario
all’ottimo spunto analitico e di proposta politica dell’autore possiamo aggiungere la considerazione del : siamo ancora una volta e per l’ennesima volta alla ripresa di un lavoro di ricomposizione unitaria degli elementi di giudizio politico e di contesto sociale, ,utili all’accumulazione delle forze immediatamente necessarie a sostenere una lunga stagione di battaglie politiche e di programmi di realistica trasformazione delle cose correnti.