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La Costituzione va difesa con i fatti

Lettera aperta ai promotori della mobilitazione “A difesa della Costituzione“.

Per  il 12 marzo è stata indetta  un’importantissima  iniziativa, a Roma e in tutte le piazze italiane,  “a difesa della Costituzione”.
Tra le adesioni pubblicate sulla pagina web appositamente costituita dagli organizzatori fa bella mostra di se anche l’adesione della   Fondazione          Farefuturo del Presidente della Camera Fini. E’ di oggi, infine, la dichiarazione con   la quale Bersani si dice convinto che anche i dirigenti del PD saranno in piazza per difendere i valori della Costituzione.</p>

Di fronte ad un simile “parterre de rois”, che vede settori della destra e del centro-sinistra sostenere la medesima necessità ed urgenza, più che manifestare soddisfazione per un tale apporto, i promotori della giornata di manifestazioni dovrebbero forse interrogarsi su quanto avvenuto negli anni passati.

 

 

Non siamo di fronte, infatti, ad un’emergenza scaturita dal nulla, ma ad un costante processo di delegittimazione e demolizione delle garanzie costituzionali che va avanti da almeno 18 anni e che, in vario modo, è stato alimentato dalle iniziative politiche delle forze politiche nelle quali sia Fini che Bersani hanno sempre rivestito ruoli di primo piano.
Datano 1995 le accuse di golpe mosse dal centrodestra al Presidente della Repubblica Scalfaro, ritenuto colpevole per non aver sciolto il Parlamento dopo la caduta del primo Governo Berlusconi.
Ed è del 1997 la costituzione della Commissione Bicamerale per le riforme presieduta da D’alema che, con un colpo solo e quasi all’unanimità, arrivò ad approvare un ampio progetto di revisione costituzionale che prevedeva: una forma di Governo presidenziale, il federalismo e, sul fronte giustizia, la separazione delle funzioni per pm e giudici, due sezioni diverse del Csm, una Corte disciplinare diversa dal Csm, l’aumento del numero dei membri laici del Consiglio, le scelte di politica criminale fissate ogni anno dal Parlamento. Fortunatamente, l’operazione saltò in dirittura d’arrivo, ma i contenuti di quel progetto hanno continuato e ancora oggi continuano ad impegnare l’agenda politica.
L’accordo bipartisan va però a buon fine nel 1999. La maggioranza parlamentare di centrosinistra, anziché preoccuparsi di varare le leggi sull’incompatibilità e il conflitto d’interessi, preferisce approvare, insieme al centrodestra, l’elezione diretta dei Presidenti di Regione: una sorta di super Presidente che, grazie ai cosiddetti poteri antiribaltone, può minacciare lo scioglimento del Consiglio regionale a suo insindacabile volere.
Ed è sempre con il centrosinistra al Governo che si arriva alla modifica del Titolo V.
Dal nulla, l’Italia diviene una Repubblica federale e, per la prima volta nella sua storia repubblicana, i cittadini non sono più uguali. Viene infatti introdotto nella Carta Costituzionale l’odioso principio dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”. In altre parole, obiettivo della “Repubblica federale italiana” non è il raggiungimento di uguali livelli di prestazioni e uguali condizioni di vita, bensì quello di fissare per legge le differenze, i livelli essenziali, dividendo così i cittadini in cittadini di serie A e di serie inferiori.
Tra liste civetta e indicazione del candidato Premier sui simboli elettorali, comportamenti che hanno accomunato entrambi gli schieramenti alle elezioni del 2001, si arriva infine alla revisione costituzionale del centrodestra che, sui poteri del Premier “forte”, riprende la Bozza Amato del centrosinistra. E’ stato soltanto grazie al voto negativo dei cittadini al referendum confermativo del 2006 se oggi possiamo ancora parlare di difesa della Costituzione.

Ricordati gli episodi più salienti dell’assalto portato avanti anche da chi, per la giornata del 12 marzo, ritiene di avere tutti i titoli a posto per manifestare a difesa della Costituzione, si pone una questione, per gli organizzatori della giornata del 12 marzo, di credibilità.
Non si può infatti pensare, seriamente, di difendere la Costituzione facendo finta di non vedere le scarse qualità di chi ci accompagna o senza aver prima verificato l’esistenza di comportamenti e programmi politici tesi a correggere gli errori del passato.
Si tratterebbe, in fondo, di rivolgere solo poche domande.
Fini e Bersani, ad esempio, pensano o no che sia giusto ripristinare l’eguaglianza di tutti i cittadini, rivedendo l’assurdo principio della tutela dei soli livelli essenziali delle prestazioni?
All’assalto portato avanti da Berlusconi all’art. 41, si risponderà o no con proposte di legge che siano finalmente in grado di far rispettare i diritti e la dignità dei lavoratori?
E la proposta del Governo di modificare l’art. 118, chiaramente finalizzata a determinare un sistema di privatizzazione forzata di tutti i servizi pubblici, verrà ostacolata o no?
E verrà ripristinata o no una legge elettorale in grado di garantire un’espressione di voto libera da condizionamenti e che che consenta di scegliere chi dovrà sedere in Parlamento?
Al riguardo, è bene ricordare che il Parlamento dei nominati non è una caratteristica del Porcellum. Il Parlamento dei nominati e il partito azienda hanno inizio con l’introduzione della logica maggioritaria in Italia, con le elezioni del 1994 ed una legge elettorale denominata Mattarellum.
Insomma, i problemi partono da lontano e non basta dire “liberiamoci di Berlusconi” per difendere la Costituzione.

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