Menu

Terra contro acciaio

La questione dei beni comuni e della difesa del territorio contro una idea di sviluppo fondata sul profitto, sta coinvolgendo milioni di persone in tutto il globo. Lotte che fino a poco tempo fa potevano essere definite sbrigativamente come residuali, “luddiste”, oggi sono la spia di come il modello di sviluppo capitalistico, di fronte alla crisi economica, energetica e ambientale non sia una soluzione di sviluppo compatibile con il pianeta.

E’ da diversi anni che migliaia di contadini e di popolazioni tribali combattono contro l’idea di sviluppo della nuova India, la più grande democrazia del mondo cosi definita dagli occidentali.

Questa titanica battaglia ha già provocato centinaia di morti. I settori popolari hanno una percezione diretta di quello che sarà il loro destino se il governo , i settori imprenditoriali indiani e stranieri attueranno i loro propositi. Il loro destino sarà migrare verso le megalopoli indiane aumentando la popolazione dei ghetti. Lo sviluppo industriale indiano, se visto sul piano generale, porta ad una maggiore disoccupazione, le aziende, le nuove miniere, non assorbono la massa di lavoratori della terra. Inoltre questo sviluppo industriale capitalista distrugge il territorio, incrementando quel processo di infarto ecologico del pianeta. Non è quindi una battaglia che contrappone il nuovo al vecchio, ma la vita alla morte.

La sinistra indiana ufficiale si è scontrata direttamente contro questi processi di resistenza popolare, appoggiando lo sviluppo capitalistico indiano, nelle ultime votazioni del Bengala, dove i comunisti ufficiali governavano da diversi anni hanno perso sonoramente, non sapendo cogliere la richiesta che veniva dalle masse contadine e tribali dell’India.

Non è un caso che vi sia in questi ultimi anni un risveglio potente di quello che è il movimento naxalita, lo storico movimento rivoluzionario indiano nato dentro le lotte degli anni 60 influenzato dal maoismo. Il principale partito naxalita il Partito Comunista Indiano-Maoista (è considerato illegale in India) viene oggi ritenuto il problema principale di ordine interno dallo stesso Governo centrale indiano. Attualmente in India i maoisti hanno creato un vero e proprio corridoio rosso che attraversa verticalmente tutta il paese da nord a sud, mettendosi alla testa delle lotte e rivendicazioni dei contadini e delle popolazioni tribali.

In questi giorni si è aperta una nuova battaglia dei contadini per la difesa del loro territorio nell’Orissa (situata nel centro-est dell’India), una regione dove le forze maoiste sono presenti ed hanno numerose basi della guerriglia popolare naxalita.

Gli abitanti dei villaggi stanno organizzando catene umane e barricate per impedire la costruzione di una industria siderurgica. Sahu Satikanta di 14 anni, ama andare a scuola. Ma in questi giorni preferisce partecipare alla protesta contro l’installazione di una fabbrica, che provocherà l’evacuazione di più di 600 famiglie nel villaggio costiero di Govindpur nello stato orientale indiano di Orissa. Mentre sua madre e i suoi vicini si trovano in strada, formando una barricata umana, Sahu preleva l’acqua per bere e canta una canzone di tanto in tanto. La canzone parla del governo dell’Orissa, e della decisione di uccidere il suo villaggio per fare spazio a un impianto in acciaio che costa 12.000 milioni di dollari.
L’impianto deve essere costruito e gestito dalla Pohang Steel Company (Posco, Pohang Steel Company), con una capacità di quattro milioni di tonnellate d’acciaio, è considerato il più grande investimento straniero diretto in India, la terza più grande economia dell’Asia.

Il governo dell’Orissa dice che la fabbrica ha bisogno di circa 1.500 ettari, di cui solo 60 sono terreni privati. Il resto è terra del governo e delle foreste. Ma questi 60 ettari sono i più controversi, perché sono dove abitano 613 famiglie. Queste famiglie sono concentrate in Govindpur e Dhinkia il villaggio vicino, dove si guadagnano da vivere coltivando la terra. Nelle prime file delle catene umane ci sono donne e bambini, tra cui Sahu. “Mi piace andare a scuola. Ma molti giorni sono qui perché questa è la nostra vita”, dice.”Posco, noi non vogliamo andarcene!. Non permetteremo che i piani di Naveen Patnaik (primo ministro dell’Orissa) abbiano successo “, ha detto.
Mentre l’India cerca piani di industrializzazione e cerca di attrarre investimenti stranieri, si trova ad affrontare la resistenza degli abitanti dei villaggi e dei contadini non disposti a lasciare la terra.
Secondo uno studio pubblicato lo scorso anno da Assocham ci sono numerosi ritardi negli appalti legati ai terreni dove si parla di investimento di 100.000 milioni di dollari, mentre almeno 22 progetti principali legati alle industrie dell’acciaio (82.000 milioni) sono in stallo a causa delle proteste di contadini e attivisti.
Le protestaste nel villaggio Dhinkia ha coinvolto più di 2.000 persone contro Posco Il governo dell’Orissa ha schierato contro questi contadini circa 800 poliziotti. Gli abitanti del villaggio, organizzati in uno specifico comitato di lotta hanno formato una barricata di tre livelli all’ingresso del paese per mantenere una vigilanza permanente. Il governo dell’Orissa ha detto che il processo di requisizione della terra sarà pacifico. Tuttavia, i manifestanti e gli attivisti sostengono che il governo è stato costretto a chiamare un gran numero di poliziotti nella zona.
Dei 1.500 ettari necessari per il progetto, circa 1.200 sono “terreni forestali da richiede al Ministero federale dell’ambiente”, ha dichiarato il ministro dell’industria di Orissa, Raghunath Mohanty. “Circa 245 ettari sono terreno del governo, e vi sono solo 62 ettari di terreno privato, con 600 famiglie da sfollare”, ha detto Mohanty.
Malgrado il governo abbia deciso di interrompere temporaneamente gli acquisti di terreni in vista delle proteste, gli abitanti dicono che lotteranno fino alla fine e terranno un presidio permanente.
In questo mese, numerosi studenti hanno aderito alla protesta, insieme a diverse migliaia di donne ed anziani.
“Il governo dice che il programma di acquisto di terreni sarà pacifico, ma la verità è che vogliono espropriare le nostre terre con la forza” ha detto il leader del comitato di lotta del villaggio Prashant Paikray. Gli attivisti temono che il governo stia progettando una ripetizione di Kalinganagar, un’area di Jajpur in Orissa. Qui, nel gennaio 2006, le popolazioni tribali avevano lottato e protestato contro la costruzione di un impianto siderurgico del Gruppo indiano Tata, la polizia reagì con violenza, uccidendo 12 persone.
Abhay Sahoo, uno dei leader del movimento di protesta, ha chiesto che cosa vuole davvero il governo “quando le generazioni future potrebbero essere felici con la nostra economia di base, attraverso il betel, il pesce e il riso…senza questi elementi si vuole solo semplicemente distruggere il nostro ambiente”.”Questa è una zona del paese dove sono stati gravemente violati i diritti Foresta Act del 2006, e vari comitati nominati dal governo hanno addirittura anche confermato tutto questo”, ha detto Sahoo.
Si sono provate vie interlocutorie con i governi locali e nazionali, ma gli interessi in campo delle multinazionali straniere e del crescente imperialismo indiano hanno di fatto azzerato il piano della mediazione.
Finora solo le barricate umane e la determinazione d’acciaio degli abitanti del villaggio ha impedito che l’acciaio e il cemento mangi la loro terra. Quello che sta succedendo in questi villaggi dell’Orissa è la stessa cosa di ciò che succede nel Chhattisgarh (regione centrale dell�India), dove da una settimana i naxaliti, assieme ai contadini e alle popolazioni tribali, hanno scatenato una offensiva contro l’ennesima occupazione da parte delle truppe militari e dei corpi speciali di polizia, e non passa giorno senza dare notizia di nuovi focolai di ribellione e proteste.

Oggi in Val di Susa, la difesa del territorio ci sembra molto più globale se vista in rapporto a quello che succede nelle medesime ore e giorni in India. Lo slogan ma, mati, manush, che significa “madre, terra, popolo” che riecheggia nelle pianure e foreste indiane, non è poi cosi diverso da quello che attivisti e abitanti della Val di Susa hanno scandito il 3 luglio davanti all’arroganza della polizia, della politica e del mondo imprenditoriale.

Bibliografia
-Inchiesta, rivista trimestrale, n.172 aprile-giugno 2011
-India, barricate umane contro il progetto siderurgico, di Sujoy Dhar, odiodeclase.blogspot.com, 4 luglio 2011

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *