La Democrazia in un paese non può svilupparsi a “macchia di leopardo”. Quando si procede verso una svolta autoritaria questa deve permeare tutte le istituzioni, sia politiche che sociali. Il dibattito sulla riforma elettorale colpisce non per la cancellazione della maggioranza delle forze politiche (fatto di per se’ già grave), ma per l’assoluta indifferenza che dimostra verso la perdita di consenso dei cittadini verso l’istituzione, con il crescete astensionismo che ormai raggiunge il 50%. Anziché interrogarsi su questo fenomeno, si impongono regole che tolgono il diritto di voto anche ad una parte consistente del paese che vuole ancora esprimere un dissenso attivo. Stupisce però che, a fianco di questa deriva, la maggioranza della CGIL abbia sottoscritto un accordo che di fatto cancella ogni possibilità di dissenso attivo nei luoghi di lavoro. Non solo una piccola minoranza può imporre “erga omnes”, a tutti gli interessati, accordi peggiorativi della condizione lavorativa, ma si minacciano sanzioni contro chi intende organizzare la protesta collettiva. Non possiamo che condividere il giudizio di chi, nel massimo organismo della CGIL, ha collocato questo accordo nell’alveo della svolta autoritaria che coinvolge anche questa organizzazione sindacale. Purtroppo questa decisione è conseguenza di una strategia che da tempo ha portato la maggior organizzazione sindacale alla rinuncia della ricerca del consenso tra i lavoratori e le lavoratrici dimenticandosi, come in questo caso, di sentire il loro parere con ampie e democratiche consultazioni. Se da un lato i lavoratori e le lavoratrici sono lasciati soli e senza voce nel momento in cui si sono tolti diritti essenziali e costituzionalmente sanciti come quello di avere un salario, un lavoro, ed una pensioni dignitosi, dall’altro la vita di CGIL, CISL e UIL è sempre più sostenuta da risorse economiche che, come denunciato dagli organi di stampa in questi giorni, sempre meno provengono dalle tessere dei propri iscritti. Un sindacato che non è autonomo economicamente tantomeno lo sarà politicamente. In questa situazione così drammatica è importante porsi il problema del “che fare”. I lavoratori e le lavoratrici senza Sindacato perdono ogni diritto di cittadinanza quando varcano la porta del proprio lavoro. Per questo, come dirigenti sindacali non possiamo eludere questa domanda di rappresentanza, la cui risposta diviene la principale azione per contrastare la svolta autoritaria in atto.
Su questi temi abbiamo promosso un’assemblea aperta, che si terrà sabato 1 febbraio a Roma, presso il Centro Congressi Cavour, in via Cavour 50 A, dalle ore 10.30. Alle ore 13.00 illustreremo la nostra posizione nell’ambito di una conferenza stampa a cui invitiamo tutti gli organi di informazione.
* Direttivo nazionale Cgil; ** Vicepresidente Direttivo Nazionale Cgil
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa