Già prima delle ultime elezioni politiche, di fronte alle contestazioni sulla passività della CGIL da quando si era insediato il governo Monti, Susanna Camusso aveva risposto che il sindacato da solo non avrebbe potuto farcela. Per questo era indispensabile una sponda politica, che tutto il gruppo dirigente del maggiore sindacato italiano identificava nella vittoria di Bersani. Si sa come è andata.
Allontanatasi la sponda politica, per non essere travolta dalla piena del torrente della crisi, la CGIL ha cercato di aggrapparsi a CISL UIL e Confindustria. La dottrina delle “parti sociali” che nasce nella CISL e nel mondo democristiano, è stata immediatamente adottata. Si sono sottoscritti appelli sul fisco assieme alle associazioni delle imprese, appelli che cancellavano la diversità degli interessi sociali sul tema centrale della riduzione delle tasse. Si è pronunciata quasi simultaneamente alle imprese la sfiducia verso il nullismo del governo Letta. E soprattutto si è sottoscritto l’accordo del 10 gennaio sulla rappresentanza, un patto corporativo dove le principali organizzazioni dei lavoratori e delle imprese decidono di escludere dal sistema contrattuale chi non é d’accordo con loro.
Ora è proprio il ruolo delle parti sociali che viene aggredito dal governo e quando Susanna Camusso, per difendersi dagli attacchi di Renzi, deve dichiarare che non è vero che sia d’accordo con Squinzi, ammette un doppio fallimento, quello della ricerca della sponda politica e quello del ruolo lobbistico delle “parti sociali”.
Il governo Renzi é il tentativo forse estremo da parte di banche finanza e poteri forti,italiani ed europei, di continuare e persino radicalizzare la politica di austerità con un pò di consenso in più. Per questo fa proprio il populismo liberista, sperando così di trovare quel sostegno nell’opinione pubblica che Monti e Letta hanno rapidamente perduto.
Così si annuncia la lotta alla precarietà del lavoro, ma poi la si estende con i provvedimenti concreti. Si promettono soldi in busta paga, ma si lasciano a secco pensionati e disoccupati, per questi ultimi ci sarà il lavoro se il sindacato non si oppone. E infine si annunciano privatizzazioni e tagli di lavoro pubblico. Insomma il programma di Renzi è una combinazione tra i diktat della Troika e le rivendicazioni dei Tea party, il movimento populista di destra estrema negli Usa.
L’ attacco alla casta sindacale è parte integrante di questa operazione consenso verso politiche economiche liberiste, ed è possibile anche perché la CGIL in questi anni ha perso enormemente in credibilità. Il suo gruppo dirigente, quando ha rinunciato a lottare contro la riforma Fornero delle pensioni e la manomissione dell’articolo18, ha segato la pianta che lo sosteneva. E Renzi ora attacca da destra.
Il congresso avrebbe potuto essere una occasione di vera riflessione sulla crisi della CGIL, invece è stato un percorso di autotutela burocratica, sanzionato da un 97% a favore della lista Camusso che non solo è politicamente ridicolo e numericamente falso, ma è soprattutto la fotografia di una organizzazione che si dice bugie su sé stessa.
L’attacco di Renzi non solo mette in crisi la strana coppia Camusso Squinzi, ma anche quella della rottamazione tra il Presidente del consiglio e Landini. Il modello sindacale del governo, esaltato dal ministro Poletti ex capo di quelle coop licenziatrici di migranti, è quello di Marchionne. Gli operai di Melfi che ballano sulle musichette del terribile spot della Fiat, potrebbero fare la stessa danza per la campagna elettorale del presidente del consiglio. Il modello e la cultura sono le stesse.
È difficile dunque che rimanga in piedi il fronte degli innovatori contro quello dei conservatori, visto che Landini è stato conosciuto dal grande pubblico proprio per il suo scontro con Marchionne.
Le strane coppie sono quindi destinate alla implosione, ma non basta questo per far si che il sindacato riesca a trovare una via credibile di ricostruzione del proprio ruolo.
Perché questo avvenga ci vogliono atti costituenti che richiedono rotture di linea politica e di pratiche abitudinarie.
Si deve rompere con l’Europa delle banche e del fiscal compact, e costruire un’azione sindacale di contrasto continuo e diffuso alle politiche di austerità.
Si deve rompere con il sindacalismo burocratico e ricostruire la grande funzione del sindacato come organizzatore sociale.
Si deve rompere con i palazzi e dunque oggi con il collateralismo con il partito democratico.
Una CGIL che praticasse queste tre rotture nella sua azione quotidiana diventerebbe un eccezionale punto di riferimento per chi oggi paga tutti costi della crisi.
Ma i gruppi dirigenti e gli apparati del più grande sindacato italiano hanno paura dei costi politici e organizzativi di questa scelta, preferiscono la sponda dell’autoconservazione anche con gli insulti di Renzi, piuttosto che rischiare il mare aperto. E così affondano.
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