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I limiti e le potenzialità di un movimento antagonista

Quella di ieri è stata una piazza colma di contraddizioni, alcune positive, altre meno. Si conferma forte la voglia di un pezzo importante di movimento di porsi su un piano di aperta conflittualità con l’attuale gestione centrosinistra della crisi, senza le mediazioni e gli accomodamenti di un passato che per fortuna sembra essere alle nostre spalle. Tutto questo sta avvenendo al prezzo di una durissima stretta repressiva, di cui le cariche di ieri costituiscono soltanto l’epifenomeno evidente, la dimostrazione fisica di un potere politico che non gioca più alla democrazia liberale. La rottura con una certa “sinistra”, con un certo istituzionalismo tatticista, sta inoltre avvenendo su un piano di massa, per quanto ancora piccolo e disorganizzato: niente velleitarismi minoritari, ma la capacità di una parte del movimento di classe di interagire con la vertenzialità sociale non accodandosi ma provando a costruire una sintesi politica.

Se questo era un dato già visibile nelle giornate del 18 e 19 ottobre, la conferma di tutto ciò non può che convalidare la giustezza del percorso intrapreso, e in qualche modo la crescita di un certo tipo di militanza adatta allo scopo, che sa lavorare nei quartieri e nelle vertenze sociali ma anche politicizzare le proprie rivendicazioni. Le cose, però, non sono tutte positive, e forse nella giornata di ieri prevalgono determinate criticità. Politicamente, una manifestazione che aveva timore ad individuare come principale avversario politico quell’Unione Europea che, nei fatti, era direttamente sul banco degli imputati, si è ridotta ad indire un corteo nazionale sulla parola d’ordine “romana” come quella della casa, insieme a una richiesta di reddito che ci sembra sempre più slegata da un discorso politico effettivo e piuttosto inserita come sinonimo di “più welfare”, nonché per evitare lo schiacciamento di tutte le rivendicazioni sul tema casa, importante ma non generale e di certo poco “politico” e molto vertenziale.

Se c’è allora una questione che emerge in maniera determinante dal percorso di costruzione della mobilitazione, questa è la poca chiarezza nell’analisi e negli obiettivi che la manifestazione si stava dando. Non si capiva se era un corteo contro Renzi, contro l’Unione Europea, contro il Jobs Act o contro il piano Lupi sulla casa. Tralasciamo il problema su cosa invece la manifestazione proponeva, e cioè la sintesi politica delle varie vertenze (dalla lotta contro il TAV alla lotta per la casa, alle altre mille lotte di questo paese). La mediazione (al ribasso) delle diverse tendenze ha portato, ci sembra, ad un depotenziamento evidente della manifestazione. Se questa voleva essere il proseguo naturale del 19 ottobre, il dato numerico, in questo caso fondamentale, sembra confermare l’infelice mediazione partorita. Anche dando per buoni i 20.000 lanciati da più parti (che secondo noi hanno sovrastimato la dimensione reale della manifestazione), staremmo comunque ben al di sotto dei 70.000 dello scorso ottobre.

Il problema, però, è solo indirettamente quello numerico. Come detto, la paura di proporre un discorso chiaro contro l’Unione Europea per non passare da “sovranisti” o “nazionalisti” ha portato il corteo, che si percepiva in ideale relazione con le lotte di tutta Europa, a sfilare su parole d’ordine non solo prettamente nazionali, ma tipicamente “romane”. Insomma, la paura di passare per nazionalisti ci ha spinto tra le braccia del localismo. Ci sembra dunque evidente come non sia la paura o meno di passare per quello che non siamo il problema attuale, ma l’incapacità – al momento – di riuscire ad organizzare un discorso politico strategico chiaro, una sintesi che costituisca la proposta politica dei movimenti di classe. Se il pericolo da scongiurare era il presunto sovranismo, la risposta adeguata sarebbe stata quella di porre la manifestazione su un piano direttamente internazionale ed internazionalista. Ma questo, non potendo evidentemente avvenire su un piano sociale-vertenziale (non c’è ancora una lotta sociale-sindacale transnazionale da cavalcare nei vari contesti nazionali), sarebbe dovuto avvenire su un piano politico. E’ proprio tale piano che è mancato ai movimenti scesi in piazza ieri. Il collegamento tra le lotte fatte a Roma e in Italia (ad esempio, la casa), e quelle fatte in qualsiasi altro paese d’Europa non può avvenire su un piano vertenziale allora, ma di sintesi politica. E la sintesi politica si costruisce individuando il nemico comune, cioè quella controparte presente sia in Italia che in ogni altro paese europeo. E questa controparte, oggi, è l’Unione Europea quale costruzione politica del capitalismo liberista. E’ infatti l’Unione Europea la costruzione politica che determina ciò che avviene in Italia, a Roma o persino nel singolo quartiere così come lo determina nella periferia di Atene, nelle banlieue di Parigi, in Euskal Herria e in ogni altro territorio violentato dal dogma neoliberista. E’ solo una sintesi politica oggi lo strumento chiave per legare immediatamente ogni lotta ad un piano più generale. Non le singole vertenze, slegate fra loro e impossibili da riconciliare su un piano prettamente para-sindacale. Oggi i limiti di questo piano si sono palesati in tutta la loro durezza. Il problema non è tecnico od organizzativo. La gestione della piazza, per definizione complicata, soprattutto quando si devono sintetizzare le posizioni di molte strutture, può anche riuscire male, ed è un problema risolvibile. In questo senso, dopo anni di pacificazione, quello che manca ci sembra una certa esperienza collettiva di gestione del conflitto, soprattutto nelle situazioni di caos determinato dalla risposta delle guardie. Poco male, l’esperienza si matura nelle lotte. L’importante è un percorso di definizione degli obiettivi politici piuttosto che di quelli “tecnici”.

Riguardo al nostro tentativo di aggregazione politica contro l’Unione Europea, non possiamo invece che essere soddisfatti della riuscita del nostro spezzone. Se il 19 ottobre Noi Saremo Tutto aveva sperimentato per la prima volta uno spezzone di piazza, oggi questo non solo viene riconfermato, ma ha visto un sensibile allargamento, sia numerico che politico. Circa 300 persone, e per la prima volta uno spezzone che non racchiudesse unicamente la nostra struttura, ma un contenitore più vasto e che comprendeva non solo molte realtà dal resto d’Italia, ma anche la federazione romana dell’USB. Questa volta abbiamo preferito allargare il percorso, tralasciare firme ed identità per cercare una convergenza maggiore sul merito della proposta politica. Il successo, quantitativo e politico, non può che incoraggiarci e confermarci la giustezza del percorso intrapreso.

da http://www.militant-blog.org

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