Dall’imperialismo di Marx (esportazione di merci) all’imperialismo di Lenin (esportazione di capitali) siamo arrivati ad una terza fase, quella attuale. La relazione di Giorgio Gattei al forum di Bologna del 7 marzo, del quale anticipiamo una parte (il testo integrale verrà pubblicato sulla rivista Contropiano), ha affrontato le caratteristiche dell’imperialismo oggi, nel quale il rapporto tra “centri imperialisti” e “periferia” è stato ridisegnato dalla globalizzazione produttiva e finanziaria. La conclusione della sua relazione è stata dedicata al rapporto tra moneta e debiti sovrani e che individua nel “rapporto di debito-credito il connotato più profondo del vincolo imperialistico che lega attualmente il “centro” alla “periferia”.
Dalla relazione di Giorgio Gattei
(…) Gunther Frank scriveva: «Un misterioso insieme di eventi che ancora non abbiamo ben compreso – meno barriere all’ingresso, migliori telecomunicazioni, tariffe aeree più convenienti – ridussero gli svantaggi per chi produceva nei paesi in via di sviluppo… (in modo) sufficiente per poter entrare nei mercati mondiali, così che i paesi che prima sopravvivevano vendendo juta o caffé, cominciarono invece a produrre magliette e scarpe di tela»1, ma per venderli non più soltanto sui mercati della “periferia”, bensì addirittura su quelli del “centro” e, così facendo, rovesciando la direzione degli scambi commerciali internazionali.
Ora può darsi che siano stati gli investimenti diretti esteri (IDE) provenienti dal “centro”, favoriti dalla globalizzazione finanziaria conseguente alle politiche commerciali della “reaganomics” ed alla fine dell’Unione Sovietica (ma non della Cina “rossa”) a dare la spinta allo sviluppo industriale dei c.d. “paesi emergenti”. Tuttavia il fatto principale è che costoro si sono messi a produrre merci che, oltre ad essere ancora quelle materie prime per il “centro”, come nell’imperialismo di Marx, ed i manufatti per i mercati di “periferia”, come nell’imperialismo di Lenin, sono adesso anche e soprattutto manufatti per l’esportazione verso i mercati del “centro”. Si possono fare ipotesi sulle cause di tanta trasformazione. Una può essere stata la decisione del “centro” di puntare al proprio interno su di uno sviluppo trainato dai consumi delle famiglie (sostenuti, nonostante i bassi salari, da un credito bancario concesso indiscriminatamente e in una misura che poi abbiano scoperto insostenibile), da cui la necessità d’importare i manufatti “periferici” perchè più convenienti: se nel 1973 negli Stati Uniti nel valore complessivo delle merci scambiate soltanto l’11,7% erano d’importazione, nel 2004 esse sono salite al 49,7%2!
Una seconda ragione può essere dipesa dalla liberalizzazione degli scambi internazionali a seguito della costituzione della Organizzazione Internazionale del Commercio (WTO) a cui aderiscono i paesi che rinunciano a praticare dazi contro le merci altrui ed in cui è stata accolta l’11 dicembre 2001, ad appena due mesi dall’attentato alle Torri Gemelle di New York, anche la Cina “rossa” in cambio della sua adesione alla “crociata antiterroristica” americana. Ma come che sia, l’effetto finale è stata una mutazione della struttura merceologica delle esportazioni periferiche: dove prima prevalevano in percentuale le materie prime che, peraltro comprensive di gas e petrolio, erano pari all’84,6 % nel 1975, adesso dominano i manufatti che erano già il 60% già nel 19953. E dando profitti così ingenti da consentire alla “periferia” di rovesciare anche l’andamento degli investimenti esteri potendo destinare quei profitti all’acquisizione delle stesse imprese del “centro” dove produrre i manufatti che sono necessari a quel mercato, così che una rappresentazione complessiva può assumere la forma seguente:
¬———————— Materie prime ¬—————— ———Agricoltura
Centro Periferia
Manufatti ¬——————— Manufatti ¬——————— —Industria periferica
Industria centrale ¬———— Investimenti esteri ¬————— Profitti
In questo schema sommario di circolazione di merci e capitale vanno indicate due conseguenze. La prima è che i manufatti esportati dalla “periferia” al “centro” entrano in concorrenza con quelli prodotti dal “centro” provocando il loro ribasso di prezzo (deflazione) e con ciò spingendo le produzioni del “centro” a rinchiudersi negli esclusivi settori “di nicchia”. La seconda è invece questa: siccome lo sviluppo industriale periferico richiede anche materie prime, ad esempio energetiche, in precedenza attratte soltanto dai mercati del “centro”, esse risultano adesso intercettate anche dalla “periferia”, con ciò generando un loro rialzo di prezzo (inflazione) che costringe il “centro” a ricercare fonti alternative per sfuggire ai rincari delle commodities, come sono anche chiamate.
Ora, per seguire Ricardo che ne aveva intravisto l’estrema possibilità, un simile vantaggio comparato della “periferia” nella produzione dei manufatti, insieme allo svantaggio comparato del “centro” nell’acquisto delle materie prime potrebbe condurre all’esito finale, naturalmente esagerato, di un abbandono da parte del “centro” di tutta la produzione di manufatti perché non più conveniente. Ritorniamo all’esempietto ricardiano dello scambio estero di stoffa contro vino: se alla fin fine il Portogallo si trovasse messo meglio anche nella produzione della stoffa, non sarebbe indubbiamente più vantaggioso per i capitalisti inglesi e per i consumatori di entrambi i paesi che in tali circostanze il vino e la stoffa venissero prodotti entrambi in Portogallo e che a questo scopo venissero trasferiti in Portogallo il capitale e il lavoro impiegati dall’Inghilterra nella produzione di stoffe»4? Ne risulterebbe la fine della produzione dei manufatti nel “centro” imperialista, al quale rimarrebbe comunque la funzione necessaria di sostenere la domanda per assorbire una loro produzione eseguita, adesso, soltanto dalla “periferia”.
Ma come giustificare la centralità di un “centro” che è già comunque passato, nella attuale condizione imperialistica, da esportatore ad importatore di manufatti?………..
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa