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Le primarie che cambieranno l’America

La corsa per la nomination Democratica alle elezioni presidenziali si fa incerta, mentre i commentatori di entrambe le sponde dell’Atlantico continuano a chiedersi come sia possibile che un indipendente che si dichiara seguace delle teorie di Eugene Debs, l’unico socialista che si sia candidato alla presidenza degli Stati Uniti, riesca a competere alla pari con la macchina da guerra dei Clinton (non solo Hillary: il marito è sceso a sua volta in campo, con la consueta tracotanza). Per capirci qualcosa sarebbe meglio leggere, piuttosto che gli articoli degli esperti, “Outsider in the White House”, la straordinaria autobiografia di Bernie Sanders pubblicata da Verso.

È la storia appassionante di un uomo che senza soldi, senza il sostegno di un apparato di partito, né  tantomeno dei media, classificato come “sovversivo” in base ai canoni della correttezza politica americana, nel giro di trent’anni è riuscito: 1) a farsi eleggere sindaco della più grande città del Vermont, 2) a vincere quattro campagne elettorali per l’elezione al Congresso, sbaragliando i candidati repubblicani e democratici, 3) a vincere, nel 2006, l’unico seggio senatoriale che spetta al piccolo stato al confine con il Canada in cui vive da decenni (è nato a New York da immigrati dell’Est Europa di origine ebraica).

La sua non è la solita storia del self made man americano che si fa largo lottando con il coltello fra i denti contro tutti e tutto, ma quella di una persona onesta e tenace che ha costruito la propria carriera politica attraverso l’amicizia delle tante persone che è riuscito a convincere, non ad aderire alla proprio ideologia, ma a nutrire fiducia nel fatto che ne avrebbe difeso sempre e con tutti i mezzi gli interessi (gli interessi dei più deboli, per chiarezza), fiducia che ha ottenuto dimostrando di far seguire i fatti alle parole. Come ha fatto a mettersi nelle condizioni di dimostrarlo?

Le cose sono più semplici di quanto si pensi: mettendo insieme coalizioni arcobaleno di militanti sindacali, ambientalisti, femministe, associazioni per i diritti civili, ecc. da opporre alle macchine di partito; raccogliendo fondi attraverso migliaia di piccole offerte per far fronte ai potenti finanziatori avversari; mettendo al lavoro giovani volontari per girare porta a porta nei quartieri, spedire tonnellate di email e fare miriadi di telefonate, nonché “battendo” a sua volta il territorio con una quantità impressionante di comizi. Poi a mano a mano che vinceva, è diventato a sua volta una (sia pur piccola) star mediatica e, quando i media lo ignoravano, ha imparato a compiere mosse capaci di attirarne l’attenzione (famoso un suo intervento al Congresso durato ben otto ore).

Insomma riscoperta dei “vecchi” media, scommessa sul contatto fisico con gli “elettori”, tenacia, pazienza e tanta, tanta fatica (è evidentemente sorretto da una salute oltre che da una volontà di ferro). Naturalmente tutto questo non basta, passando dal piccolo Vermont alla grande nazione americana.

Eppure anche il corpaccione assopito di un Paese anestetizzato da decenni di politica spettacolo sembra cominciare a scuotersi. Si scuote perché milioni di americani (giovani, donne, anziani, immigrati, ecc.) vivono in condizioni di povertà impensabili fino a pochi anni fa e cominciano a chiedersi se quell’ometto del Vermont non potrebbe fare di più per loro dell’amica di Wall Street. Si scuote perché anche gli intellettuali della classe media, dopo anni di crisi e l’evidente fallimento delle ricette liberiste, cominciano a credere che Thomas Piketty (ormai assunto al ruolo di “economista superstar” presso il pubblico americano) abbia qualche ragione nel dire che l’unico programma sensato è quello di Sanders. Si scuote perché, mentre i Democratici si occupano da decenni quasi solo dei diritti civili cari alle classi medio-alte, trascurando i problemi socioeconomici che affliggono i poveri (il che ha consentito ai Repubblicani di massacrarli, descrivendoli come la sinistra “fighetta” dei ricchi) Sanders ha invertito la tendenza e, pur senza mollare sui diritti civili, ha rimesso quelli economici e sociali in cima alla lista.

Ecco perché il “femminismo” della Clinton non convince più le donne, soprattutto quelle al di sotto dei trent’anni che le preferiscono di gran lunga Sanders. Una delle tante giovani femministeintervistate dal New York Times, ha detto: “Mi chiedete se vorrei una donna come presidente? Ovviamente sì, ma non è la domanda giusta: dovreste chiedermi se voglio questa donna come presidente”. Comunque vada a finire, dopo queste primarie la politica americana non sarà più quella di prima.

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