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Conseguenze spiacevoli delle “buone intenzioni”

Un giorno un amico molto caro, conoscendo bene due cose di me e cioè il mio grande amore per il cioccolato e la mia incipiente paura di ingrassare, mi fece un regalo di compleanno composto di due elementi: un pacco enorme di diverse varietà di cioccolato e un biglietto con su scritto “per ricordarti che non sempre far il bene fa bene e che aiutare il prossimo non sempre produce conseguenze IN LINEA con i propri desideri“.

Bastardaccio!

Carogna di un toscano che al mio sorriso di stupore reagì con due battute tipicamente fiorentine, ir-ri-pe-ti-bi-li, e con una risata talmente sonora che ancora la sento. Il maledetto aveva ragione e la lezione mi rimase impressa.

E qui arrivo al mio essere controcorrente rispetto a una cosa che troverà di sicuro tanti miei detrattori pronti ad attaccarmi.

Eh eh eh, ma prima devono arrivare a leggermi fino in fondo però 😉

Qualcuno lo farà onestamente, entrando in dialettica costruttiva, qualcuno invece lo farà alle spalle perché il confronto lo infastidisce o, semplicemente, perché è un po’ codardo e infame.

Ma prima, per evitare di essere del tutto fraintesa (un po’ è sempre possibile, ma almeno il tutto proverei ad evitarlo) voglio raccontare brevemente di quando venne invitato il prof. ABDALLA OMAR MANSUR – capo dipartimento della Lingua Italiana nell’Università Nazionale Somala a Mogadiscio, studioso di spicco della Lingua e Cultura Somale, dall’eloquio molto accattivante – a tenere una lezione ai nostri ragazzi di quarta e quinta ragioneria in quello che una volta era il miglior istituto commerciale di Monteverde, a Roma e che, essendo quella una zona di grandi battaglie risorgimentali, era intestato al garibaldino Giacomo Medici del Vascello.

Successivamente l’istituto cambiò nome assumendone un altro di tutto rispetto: “Federico Caffè”, un economista keynesiano che abbiamo amato in tanti, marxisti compresi, e che scomparve nel nulla circa trent’anni fa.

Non molti sanno che l’istituto di ragioneria una volta aveva dei programmi stupendi di economia politica, diritto, finanze e geografia economica, i quali, anno dopo anno, sono andati a scadere o addirittura a scomparire, seguendo inesorabilmente le amare e non progressive sorti della scuola italiana.

Lo studio di quelle materie per non meno di 6 ore a settimana forniva la base – e quando fatto bene anche più che la base – per capire molto della società e proseguire poi negli studi economici e giuridici, ma non di rado anche umanistici e talvolta scientifici, con un primo bagaglio significativo.

Una volta però!

I nostri ragazzi, di età compresa tra i 17 e i 19 anni, quindi, erano in grado di capire quel che l’intellettuale somalo, perfettamente parlante italiano avrebbe detto loro e, anche loro, come me davanti al biglietto d’auguri del mio amico toscano, rimasero stupiti come chi scopre una verità che, in fondo… bastava pensarci!

Qui è la grandezza di certe figure: quella di portare fuori di te (educere si direbbe in latino, cioè “trarre fuori”) ciò che potenzialmente era già presente.

Così, quando il professore spiegò che la difficile ripresa economica del suo paese aveva appena avuto una fase positiva dovuta finalmente all’ottimo raccolto di mais (importante componente dell’alimentazione somala), che avrebbe fornito reddito agli agricoltori e salari ai lavoratori attivando un circolo virtuoso, i nostri ragazzi parteciparono empaticamente alla buona notizia e i loro visi ne erano espressione.

Ma quando il professore disse che il circolo virtuoso era stato interrotto da un’azione umanitaria, intenzionalmente buona ma praticamente devastante, i ragazzi si guardarono e guardarono il conferenziere con aria interrogativa e stupita. Cos’era successo? quale intervento umanitario poteva mai aver stroncato la ripresa?

Semplice, disse il professore, è bastato l’arrivo di due navi cariche di mais inviato per sfamare la popolazione a far crollare completamente il mercato interno. Non sempre “aiutare il prossimo può avere conseguenze in linea con i propri desideri” come diceva l’infame toscano che regalava l’amato cioccolato alla sua amica golosa che però non voleva ingrassare!

Allora arriviamo al punto.

In un paese dove c’è molta disoccupazione, arrivare armati di ottime intenzioni e offrirsi gratis a fare il lavoro di bracciante (o raccoglitore di olive, uva, arance, pomodori o altro) per aiutare gli agricoltori, gratifica sicuramente le bravissime persone che vanno a fare i volontari a proprie spese faticando anche abbastanza, ma danneggia i lavoratori locali.

Chi pagherebbe una somma, anche minima, a qualcuno se lo stesso lavoro può ottenerlo gratis?

Così come nel caso del mais, chi comprerebbe il mais prodotto in loco se ti arriva gratis dai benefattori?

Qualcuno mi dirà che gli agricoltori di quei paesi sono a loro volta talmente poveri che non possono pagarsi la manodopera.

Bene, ammesso che sia così, perché allora non organizzarsi per acquistare, in anticipo sulla produzione e a prezzo giusto, il prodotto di quei raccolti fornendo così il denaro sufficiente agli agricoltori per pagare la manodopera locare e, inoltre, garantirgli a priori la vendita del prodotto?

Così si avvierebbe quel circolo virtuoso capace di renderli indipendenti e non assoggettati a un continuo “grazie” che, a lungo andare, mentre fa crescere affetto e rispetto per il benefattore, fa scendere la propria dignità e indipendenza fino a perderne consapevolezza e non rendersi più conto che mentre il lavoro ha le sue regole e la sua rispettabilità, l’elemosina, quale che sia la sua forma, rende un popolo dipendente.

Questo è il motivo per il quale sono contraria a progetti di raccolta olive in Palestina, sostituendosi ai lavoratori locali, mentre sono favorevole a progetti che favoriscano l’agricoltura e gli agricoltori senza mettere nell’angolo della disoccupazione assistita i braccianti locali.

Non mi odiate, vi prego! Ma pensate un attimino che seppure antipatica e controcorrente potrei anche avere ragione, così come aveva ragione il bastardaccio toscano, ma, soprattutto, come aveva ragione il prof. Mansur, l’intellettuale somalo venuto a parlare ai ragazzi di un Istituto commerciale in cui si studiava l’economia politica e la geografia economica!

Se siete arrivati fin qui vi abbraccio e mi dichiaro aperta ad accogliere le vostre critiche senza problemi e sempre pronta a mettermi in discussione!

Però sia chiaro, la Libertà non è mai gratis e se lo sembra, dietro c’è una trappola 😉

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