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Referendum sul taglio dei parlamentari. Il “NO” dell’Anpi

Si avvicina la data del referendum confermativo – oppure no – della riforma costituzionale che si è concentrata sul cosiddetto “taglio dei parlamentari”.

Un taglio consistente, quasi un terzo, motivato con la meno politica delle argomentazione: “taglio delle poltrone e dei privilegi”, oltre al tipico slogan ultraliberista “tagliare i costi della politica”.

E’ ovvio per noi – per fortuna non solo per noi – che una riduzione del numero dei parlamentari è concretamente una riduzione della rappresentatività del Parlamento rispetto alla complessità sociale e politica del Paese.

Specie se, com’è per l’attuale legge elettorale e per quasi tutte quelle precedenti, fondate sul “principio maggioritario”, la riduzione del numero si combina con la “riduzione forzata dei partiti”, per farli diventare sostanzialmente soltanto due e perfettamente intercambiabili al governo senza mutare di una virgola gli assetti di potere.

Se davvero la motivazione “riduzione dei costi e dei privilegi” avesse un’importanza per le forze che hanno votato questa ignobile “riforma costituzionale” avrebbero potuto proporre e imporre il taglio degli stipendi dei parlamentari.

Nelle discussioni sul programma politico all’interno di Potere al Popolo, per esempio, è stata avanzata la proposta di ridurli a 2.500 euro al mese, invece dei quasi 14.000 dei deputati e dei quasi 15.000 dei senatori. Al tempo stesso, viene proposta l’assunzione temporanea dei “collaboratori” dei parlamentari per tutta la durata della legislatura, in modo da evitare l’attuale “mercato degli schiavi” a disposizione dei singoli eletti.

Come si vede con una banale moltiplicazione aritmetica, il “risparmio” sarebbe molto più consistente e si conserverebbe la condizioni essenziale del “pluralismo” politico. Specie se, come sosteniamo, questa riforma semplicissima da attuare (è una legge ordinaria, non tocca la Costituzione) fosse accompagnata da una legge elettorale totalmente proporzionale, senza soglie di sbarramento. Che è poi il modo di permettere a nuove ipotesi politiche di nascere, competere teoricamente alla pari ed eventualmente affermarsi.

Pubblichiamo perciò volentieri la presa di posizione dell’Anpi, che si smarca per una volta dal campo presuntamente “democratico”, compartecipe di questa pessima “riforma”.

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Il NO dell’Anpi al referendum

E’ chiaro da tempo che la crisi della democrazia che attraversa l’Italia è una crisi di rappresentanza, causata da leggi elettorali che hanno favorito l’elezione di nominati dalle segreterie dei partiti, dal crescente potere dell’esecutivo sul parlamento, dal progressivo cambiamento della natura stessa dei partiti. Invece di operare per eliminare la cause di tale sfiducia, aggravata dalle perduranti e gravi difficoltà economiche e sociali in cui versa il Paese, da anni si insiste in vari modi per cambiare la Costituzione, privilegiando sempre il tema della governabilità su quello della rappresentanza, mettendo in discussione la divisione dei poteri ed aggravando così la crisi di sistema.

L’ultimo effetto della continua campagna per modificare i meccanismi democratici del nostro Paese cambiando la Costituzione è la legge di modifica costituzionale che riduce il numero di parlamentari, una legge rispetto a cui abbiamo in passato espresso le nostre critiche, che oggi ribadiamo.

E’ falso che con tale legge aumenterà l’efficienza dei lavori delle Camere, perché si renderà invece precario e macchinoso il funzionamento delle commissioni e degli altri organi del Parlamento. E’ demagogico esaltare il risparmio di costi derivante da tale riduzione, perché si tratta di una cifra sostanzialmente irrilevante rispetto alle dimensioni del bilancio dello Stato.

La verità è che questa riforma, mal congegnata, risponde ad una logica populista ed antiparlamentarista, che aumenta il discredito verso la democrazia, insistendo sul tema dei suoi “costi”, spesso necessari per un suo corretto funzionamento, verso le istituzioni democratiche, riducendole a “poltrone”, verso gli eletti, sprezzantemente definiti “la casta”. Non solo: questa riforma pone l’Italia fra i Paesi europei col più alto rapporto fra numero di cittadini e numero di parlamentari, rendendo più difficile proprio la rappresentanza, difformemente dall’orientamento dei Costituenti che avevano invece inteso garantire un corretto rapporto fra numero di eletti e di elettori.

Per di più occorrerà riscrivere immediatamente la legge elettorale, al fine di garantire la presenza in parlamento, a rischio, con tale riforma, di tante forze politiche, e rivedere i criteri di elezione del Presidente della Repubblica da parte dei grandi elettori delle Regioni.

Per queste ragioni l’ANPI prende posizione per il NO al prossimo referendum operando, com’è sua tradizione, in piena autonomia anche organizzativa in ogni aspetto dello svolgimento della campagna referendaria non aderendo di conseguenza ad alcun tipo di comitato, e ponendo al centro del dibattito pubblico una più ampia riflessione sui continui tentativi di manomettere la Costituzione, che invece, oggi più che mai ed in ogni sua parte, conferma straordinari elementi di attualità e di modernità.

Ribadiamo l’assoluta necessità di una reale attuazione delle disposizioni costituzionali, che ancora oggi sono disattese in parte rilevante, e l’urgenza di ribadire e rilanciare la centralità del Parlamento rispetto al potere del governo, sempre più esteso e incontrollato, all’abuso di decreti legge e di voti di fiducia, alla prassi di spostare al di fuori del Parlamento le sedi del dibattito e persino delle decisioni proprie delle Camere.

Più in generale, davanti alla crisi economica e sociale da cui l’Italia non è mai uscita da un decennio, occorre finalmente operare per la realizzazione concreta dei principi costituzionali in merito al lavoro, alle imprese, alla sanità, alla scuola, ai servizi, all’ambiente, alla cultura, al paesaggio, alla legalità, alla solidarietà, all’eguaglianza, alla pace.

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