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Genova G8. Chi c’era e chi non c’era, allora come oggi

Molte sono le iniziative, le riflessioni e le celebrazioni a venti anni dal G8 di Genova, tuttavia ho la sensazione di un vuoto, di una assenza nella ricostruzione di ciò che avvenne.

Quella che si manifestò a Genova era l’espressione di un movimento mondiale, che già poco tempo prima era comparso con tutta la sua forza, in America Latina e poi nella città di Seattle, negli USA, e in Svezia, in occasione di vertici simili.

Era la rottura di massa con la globalizzazione liberista, quella esaltata in particolare dai governi di centrosinistra che negli anni 90, attorno alla presidenza Clinton, avevano persino progettato di costruire quello che da noi fu definito “ulivo mondiale”.

Quei governi di centrosinistra erano i protagonisti delle liberalizzazioni, delle privatizzazioni, del trionfo del libero mercato, che essi pensavano di governare a proprio uso.

Non c’era ancora in campo quella destra reazionaria che oggi è diventata lo spauracchio, usato da quelle stesse forze di centrosinistra, per riproporre sostanzialmente la politica liberista di venti anni fa.

Noi che scendevamo in piazza in tutto il mondo venivamo definiti NO GLOBAL, cioè nemici della globalizzazione ma da sinistra, nel nome dei diritti, dell’eguaglianza sociale, dell’ambiente, della pace.

La nostra sconfitta emarginò la nostra critica, e diede spazio invece a quella di segno opposto, che contestava la globalizzazione nel nome di Dio Patria e Famiglia, che accettava e promulgava tutto il peggio del capitalismo liberista, ma si proponeva di restaurare accanto ad esso i “valori “della destra reazionaria e fascista di sempre.

Eravamo NO Global ed il nostro primo avversario era quel “governo dei migliori” impersonato dal vertice del G8 di allora.

Per questo con noi non c’erano le forze principali del centrosinistra, il PD o come allora si chiamava, e i sindacati confederali. Nonostante molti loro sostenitori alla fine partecipassero alla mobilitazione di Genova, i gruppi dirigenti del centro sinistra rimasero totalmente estranei ed ostili ad essa.

E anche dopo l’uccisione di Carlo Giuliani, Bolzaneto, la Diaz, il centrosinistra e i sindacati confederali non aderirono alla gigantesca mobilitazione di protesta che ci fu in tutto il paese.

La Fiom, che allora partecipava al movimento e alle mobilitazioni del controvertice, dopo l’assassinio di Carlo fu formalmente invitata dalla CGIL ad abbandonare il campo, ma disubbidì.

A Genova c’erano i pacifisti ed i NOTAV, i movimenti civili sociali ed ambientali, i sindacati di base e conflittuali, gli operai e gli studenti, una nuova generazione di giovani che scopriva la lotta e l’impegno, come quella del 68. Politicamente c’era soprattutto Rifondazione Comunista, che aveva rotto con il centro sinistra di Prodi e aveva scelto una faticosa via di indipendenza da esso, che nel 2006 avrebbe rimesso in discussione.

Quella in campo a Genova nel 2001 era ben più che una grande mobilitazione, era una possibile alternativa sociale e politica a tutto il sistema dominante. Per questo il potere in tutte le sue forme si sentì autorizzato ad usare la violenza in tutti i suoi modi.

C’era già stato un precedente. Il 17 marzo del 2001 a Napoli si era svolto un altro vertice mondiale, proprio in preparazione del G8 di Genova. Ci fu una grande manifestazione che subì da parte della polizia le stesse feroci sopraffazioni poi dilagate pochi mesi dopo. Solo per pura fortuna non ci scappò il morto.

Quella violenza di stato avveniva sotto il governo di centrosinistra di Giuliano Amato, erede di quello di D’Alema che aveva bombardato Belgrado. Berlusconi e Fini si trovarono così la via spalancata per il terrore sanguinario di Genova.

A differenza di ciò che imperversa nella memorialistica di palazzo, a Genova non ci fu una generazione presa in mezzo tra gli opposti estremismi delle violenze dei black block e quelle della polizia in mano alla destra. No. A Genova ci fu la massima ferocia possibile di uno Stato, che ancora si definiva “democratico”, per sopprimere con la forza l’opposizione e l’alternativa.

Tutti i temi di fondo del 2021 sono validi oggi, anzi alla luce della pandemia e dei suoi effetti sanitari e sociali, si può constatare quanto questi ultimi venti anni siano stati buttati via nel rifiuto e nella regressione rispetto alla contestazione della globalizzazione liberista.

Dopo la sconfitta del movimento di Genova, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, non nell’America Latina dove invece si estesero i governi progressisti e anti imperialisti, il mondo occidentale è andato indietro. Così indietro che oggi teme il ritorno del fascismo.

Ricordare Genova significa quindi riproporre la necessità di costruire lo stesso campo di allora, alternativo al capitalismo liberista, a tutti i suoi governi, alle sue finte alternanze.

Essere coerenti con le lotte di venti anni fa significa da noi oggi essere contro Draghi, contro ciò che rappresenta e contro chi lo sostiene. Significa rifiutare la logica devastante delle compatibilità di mercato, del meno peggio rispetto ad esse, dei rischi calcolati sulla vita e sulla natura, nel nome del profitto.

Ci furono molte ingenuità verso il potere a Genova 2001, ingenuità sepolte nel sangue e nella violenza di stato. Ma il discorso di fondo di chi partecipò a quelle giornate era giusto e ancora oggi si ripropone.

Anche se c’è chi in questi anni ha abbandonato quella lotta e si è fatto irretire dal potere e dalla finzione e dall’imbroglio del cambiamento dall’interno, le coordinate di fondo dell’alternativa sono sempre quelle.

Chi non c’era a Genova allora, anche oggi sta con il sistema e rifiuta e contrasta i cambiamenti reali. Bisogna finirla con le distinzioni ipocrite: non ci sono buoni e cattivi nel nostro campo, siamo tutti dalla stessa parte, gli altri stanno di là e in mezzo non c’è niente, se non opportunismo e malafede.

Il nemico è sempre quello e il modo migliore per ricordare Carlo Giuliani e tutte le vittime di allora è riconoscerlo e combatterlo oggi.

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1 Commento


  • Carmine Marzocchi

    Una puntuale ricostruzione dei fatti e della posta in gioco di allora e di oggi.
    Necessaria davanti al tentativo delle forze dominanti , in particolare del sistema mediatico, di neutralizzare la portata di radicalità del movimento del 2001 con un racconto di comodo.
    Proprio in questo tentativo si inserisce una intervista rilasciata da da Cottarelli, quello delle politiche lacrime e sangue, a The Post internazionale in cui si facevano dei riconoscimenti di lungimiranza al movimento del 2001.
    Leggere per credere!

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