Non avevamo dubbi che la morte di Antonio Negri (Toni) avrebbe dato la stura al consueto balletto di dichiarazioni e di commenti squallidi, zeppi di livore e – soprattutto – grondanti pura ignoranza da tutti i pori.
E’ bastato leggere i titoli delle agenzie di stampa, dei giornali (quelli stranieri sono stati “più cauti”) ed ascoltare qualche commento per cogliere la riperpetuazione – a comando – del solito cliché sui “teorici padri della violenza”, sui “cattivi maestri” e, finanche, l’accostamento del profilo umano e politico di Toni a quello di un “giano bifronte dell’eversione”.
Insomma – in un sabato prenatalizio del 2023 – ci è sembrato rivivere e rileggere i titoli del “secolo scorso”, quelli all’indomani della montatura giudiziaria del 7 Aprile 1979, quei titoloni ad effetto in cui una Magistratura di guerra (sostenuta apertamente da un Partito Comunista oramai approdato al collaborazionismo, all’adesione alla NATO e alla teoria dei “sacrifici necessari”) scatenava la “caccia all’autonomo” (ossia contro chiunque osasse mettere in discussione le potenti ristrutturazioni in atto e l’avvio di quelle trasformazioni autoritarie che si sarebbero completate qualche anno dopo) per mettere la parola fine ad una straordinaria stagione di lotte, di conquiste sociali e di “assalto al cielo” che dalla metà degli anni Sessanta percorreva la penisola.
Un ciclo di lotte che – in fabbrica, nei quartieri, nelle scuole e nella società – avanzava affermando diritti, dignità e scardinando l’intera struttura di potere. Un moto sociale contro cui erano state frapposte le stragi di stato, gli omicidi fascisti, le esecuzioni poliziesche e migliaia di anni di carcere verso gli oppositori.
In questo contesto il Teorema Calogero (dal nome del Magistrato padovano che avviò l’inchiesta 7 Aprile) e le successive evoluzioni penali e processuali furono il suggello di stato, la marchiatura a fuoco che doveva sancire la messa al bando dell’antagonismo e di ogni forma di sovversione sociale.
Toni Negri – molto più dei numerosi altri compagni coinvolti nei vari blitz polizieschi – fu trasformato mediaticamente in una icona maledatta, nel “simbolo del male”, nel “capo di tutte le organizzazioni terroristiche” e nel “mandante di omicidi, rapine e quant’altro”.
Insomma serviva il “mostro” da sbattere in prima pagina e a Toni – ed a tutte le altre compagne e compagni – non fu risparmiato nulla dal punto di vista inquisitorio e degli anni di carcere comminati.
Ma ridurre la vicenda di Negri alla sola parentesi penale significherebbe ridimensionare l’enorme apporto che Toni ha dato alla “teoria della trasformazione sociale”.
Dalla fine degli anni Cinquanta Toni – con la sua iniziale militanza nelle eretiche formazioni socialiste della sonnolenta e clericale provincia veneta – ha rappresentato una nuova capacità di scandagliare la società, disvelando apparati ideologici strutturali e sovrastrutturali su cui fondavano gli allora dispositivi della governance e della riproduzione sociale classista.
Attraverso i fecondi incontri con Rodolfo Morandi, con Raniero Panzieri e le varie “rotture politiche ed epistemologiche” di Quaderni Rossi e Classe Operaia l’opera di Negri è stata tutta interna alle prime forme di Inchiesta Operaia, di Autorganizzazione al di fuori dei sindacati complici, di sindacalizzazione di braccianti, trasportatori e figure del “lavoro vivo” che non avevano mai incontrato un “agire collettivo e di parte”.
E poi – ancora – la straordinaria esperienza di Potere Operaio (con Piperno, Scalzone, Dalmaviva, Alquati e tantissimi altri compagni), la rottura al Convegno di Rosolina e l’incontro con le assemblee autonome operaie di Porto Marghera, dell’Alfa Romeo, della Sit Siemens, della Breda, della Marelli e con i primi nuclei di “autonomi” che agivano nelle metropoli.
Un enorme, complesso ed articolato filo/rosso che arriva fino al 7 Aprile 1979 percorrendo la stagione delle autoriduzioni, le sanguinose giornate di Aprile, le barricate nelle piazze e lo straordinario Movimento del ’77. Un fiume tumultuoso dove il contributo – in prima persona – di Negri fu determinante in consistenti aree politiche dell’allora “movimento” non senza scontri e dissidi con altre formazioni ed esperienze politiche militanti. Un azione singola e collettiva fatta di ricerca sociale, dibattito e studio attorno a nuove categorie analitiche non disdegnando mai “ardite sperimentazioni organizzative”.
Dopo la frattura del 7 Aprile – che avviene a cavallo di un generale ridimensionamento dei rapporti di forza tra le classi nella società italiana e nell’intero occidente capitalistico – si delineano altri scenari e muta la funzione, soggettiva ed oggettiva, di Negri.
Nei primi anni ’80 Negri e molti arrestati nei vari blitz polizieschi “contro l’autonomia” decidono di dichiarare pubblicamente la loro rottura ed avversità verso le “organizzazioni armate” attraverso una modalità, sicuramente discutibile, la quale risentiva di tutte le difficoltà che si registravano circa la necessità di un serio bilancio critico/autocritico di un periodo storico in cui – particolarmente la deriva soggettivista e militarista delle allora organizzazioni combattenti – non favoriva questa esigenza urgente e non più rinviabile.
Da quel passaggio politico duro, contraddittorio e sviluppato – concretamente – su un “piano inclinato” tra gli evidenti e spietati desideri di vendetta di un ceto politico di comando e il rifluire di quei movimenti sociali che erano il vero habitat dove avrebbe potuto lievitare un dibattito di tale portata prende l’avvio una stagione che si configura in netta discontinuità con le forme, i codici e la prassi degli anni Sessanta e Settanta.
Negri viene eletto parlamentare e poi scaricato strumentalmente da Pannella e dal Partito Radicale oramai totalmente impegnato in “giochi di palazzo”. Ed ancora la fuga dall’Italia, l’esilio in Francia, il lungo inabissarsi nello studio di Foucault, di Spinoza, lo studio sui nuovi strumenti di controllo e di introiettamento dei dispositivi di comando e di nuova valorizzazione del capitale (la Biopolitica) fino al ritorno in Italia alla fine degli anni Novanta dove sconterà, ancora, un ulteriore residuo di pena.
Con Seattle e l’avvio di quello che venne definito “il movimento dei movimenti”, con le giornate di Genova 2001 e subito dopo con l’azione islamista alle Torre Gemelle dell’11 Settembre 2001 e l’insieme dei sommovimenti che né derivarono il pensiero e l’influenza di Negri sono ancora in campo ed, ancora una volta, con un discreto ascolto.
Con la collaborazione di Michael Hardt (che rifletteva nella sua formazione teorica degli echi della nuova sociologia americana e di un certo post/modernismo) Negri avanza categorie interpretative in netta rottura con l’impianto leniniano e del più generale patrimonio del movimento comunista internazionale.
Le suggestioni circa “l’Impero” mentre proprio con l’interventismo imperialista in Afghanistan e Irak prendeva forma un nuovo scontro tra potenze, blocchi militari ed aree monetarie, l’approssimazione e l’evanescenza circa “le Moltitudini” mentre le dinamiche della crisi disegnavano una nuova catena del valore con una più estesa polarizzazione e proletarizzazione a scala globale e soprattutto, sul versante squisitamente politico, le aperture di credito verso un “processo di integrazione europeo che sarebbe stato foriero di unità e lotta a livello continentale” mentre in realtà – come dimostrato ampiamente in questi decenni – si è andata costituendo una nuova borghesia continentale che aspira a competere sul piano internazionale.
Su questi passaggi politici ultimi di Negri abbiamo maturato divergenze anche profonde con esiti e sintesi politiche difformi ed apertamente dissonanti tra loro. Del resto da Bernstein in avanti nel movimento comunista – frequentemente – le “innovazioni” (anche quelle avanzate con le migliori intenzioni) si sono trasformate e configurate controproducenti e foriere di tragici errori.
In questa dialettica la corrente filosofica dell’Operaismo (ed ancor di più il Post/Operaismo ed alcuni suoi epigoni), di cui Antonio Negri è stato un illustre interprete, ha frequentemente confuso “la tendenza percepita come una dinamica matura, totalmente dispiegata e già pienamente agente”. Tale assolutizzazione, ad un primo impatto, affermata sul piano analitico e teorico può apparire immaginifica e suggestiva in ogni sua declinazione.
In realtà accade che al momento della sua traduzione politico/pratica tale concezione genera – inevitabilmente – confusione, equivoci e debordamenti pericolosi ai fini degli interessi materiali delle classi popolari e del possibile avanzamento di una ipotesi di rottura rivoluzionaria.
Ovviamente le legittime critiche che possono esplicitarsi contro alcuni aspetti di un “uso disinvolto” di alcune categorie e forme della prassi non oscurano la densità e la ricchezza che Antonio Negri ha saputo infondere al canovaccio teorico della trasformazione sistemica.
Ci sarà un motivo per cui – all’indomani del suo arresto – la “democratica” casa editrice “Feltrinelli” mandò al macero tutti i testi di Negri e quelli prodotti dal Collettivo di Scienze Politiche della Facoltà universitaria di Padova (la collana Materiali ed Opuscoli Marxisti) che aveva edito e che riscontravano un discreto livello di vendite.
Evidentemente il “rogo purificatore” contro l’eresia era ed è ancora la modalità con cui il capitalismo affronta i suoi critici e i suoi oppositori. Una caratteristica di quel periodo che è ancora più viva ed attiva nell’epoca della fantasmagorica “democrazia digitale”.
Salutiamo Antonio Negri con lo stile di chi non ha mai risparmiato critiche e polemiche, anche veementi, verso di lui ma con un affetto che meritano tutti coloro che incardinano la loro vita al tentativo collettivo e continuo di ribaltare questa schifosa società e i suoi rapporti sociali.
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Francesco Casuccio
condivido parola per parola.
Turro
A qualcuno manca un pò di autocritica.