Di continuo si sente parlare di abusi edilizi, abusi d’ufficio, corruzione, evasioni fiscali e tutte le altre declinazioni di azioni, che si fondano sullo sfruttamento e la frode ai danni dell’altro, sia esso lo Stato, un gruppo o un individuo.
Nonostante la modalità di gestione dei rapporti lavorativi e personali sia molto influenzata dal sistema economico capitalistico in sui siamo immersi, in altra parte lo è anche dalla storia di una nazione, in questo caso l’Italia.
Qui la mancanza di una reale appartenenza allo Stato borghese non nasce nei più da una matura coscienza politica di classe, ma da un atteggiamento infantile di chi da una parte delega, impegnandosi il meno possibile nella comprensione e nell’attivismo, specie in età adulta, per apportare cambiamenti allo status quo, preferendo abboccare a slogan interscambiabili, privi di un fondato disegno politico; dall’altro in cuor proprio mira a coprire posti di potere e comportarsi allo stesso modo di chi li tiene in moderna schiavitù. Il meccanismo è perfetto, perché pochissimi riusciranno a farlo, ma i più, agendo secondo le modalità di sistema, non faranno altro che tener in vita il moderno Moloch, illusi dall’ologramma della carota e fottuti da un manganello, che all’occorrenza prende diverse forme e direzioni.
Quale formazione?
Dopo l’istruzione obbligatoria, sempre di più l’accesso al mondo del lavoro viene filtrato da corsi di formazione. Questi corsi, specie nel campo della cura e dell’educazione, restano obbligatori, affinché l’aggiornamento del lavoratore non si fermi. In teoria sarebbe anche giusto se lo Stato se ne facesse carico, ma in pratica il tutto si concretizza in una compravendita di titoli, che pesa sui lavoratori che devono pagarseli e arricchisce, spesso in modo poco pulito, enti e singoli a cui questa formazione viene appaltata.
Passaggi ancora più angusti sono i periodi di prova, che se hanno esito negativo, possono invalidare un intero percorso. Ora se già è difficile in Italia denunciare mobbing o abusi in situazioni di normalità lavorativa, diventa impossibile in queste condizioni di totale dipendenza dal supervisore, per riuscire a terminare un percorso che dia una qualifica di accesso a una professione.
Per la difficile dimostrabilità di certi fenomeni, per le lungaggini processuali con un codice che è reso oscuro e confuso di proposito, per la solitudine in cui quasi sempre il lavoratore si trova ad affrontare certe difficoltà, per la paura vista l’assenza di validi sostegni e ammortizzatori sociali (la nostra è l’epoca dei bonus, da vincere come una lotteria), si ingoia merda, perché l’alternativa potrebbe significare perdere tutto o molto di ciò che a fatica si è riusciti a mettere insieme, e rimanere in un limbo indefinito in caso di denuncia.
Cosa si impara?
Al di là del contenuto e dell’ambito, che caratterizza i singoli corsi, bisogna soffermarsi sul contenitore. Le dinamiche di compravendita, di subalternità e asimmetria, di delazione e di comunicazione, fatta di non detti e di manipolazioni, tra i sottoposti, che cercano di ingraziarsi nei modi più abietti i loro supervisori – educatori – capi, l’arrivismo a scapito dell’umanità vanno a definire le dinamiche interne al sistema formativo, prima, durante e dopo la firma di un contratto di lavoro.
Il tirocinante impara così quali sono gli strumenti di sopravvivenza in una società capitalistica degenerata come quella Italiana, sempre più grottesca e con ancora il “popolo più analfabeta e la borghesia più ignorante d’Europa” come dice Pasolini, per bocca di Orson Welles ne La Ricotta. Il lavoratore li affina.
È facile capire che un simile modello impiantato è antitetico all’evoluzione di un individuo e a quella di un popolo o nazione. Usiamo gli ultimi due concetti solo per estensione, consapevoli della problematicità di certe categorie, che vanno sempre vagliate da un’ottica internazionalista e di classe.
Buoni propositi e cattivi presagi
Insieme alla formazione continua, l’inclusione e il benessere sono le altre due parole d’ordine degli ultimi due decenni. Parole che fanno lo stesso effetto della libertà accanto al popolo nel nome del vecchio partito della “buonanima” del Berlusca.
Alla luce di quanto delineato finora, includere significa in realtà accogliere i nuovi adepti, affinché man mano possano adeguarsi ai modi di essere, di pensare e di agire, funzionali ad una società malata e accettare che andare contro, ricercando una propria individuazione e rivendicando diritti, può essere molto rischioso e poco conveniente, soprattutto se non si è più studenti, si hanno bollette da pagare, malattie, figli ecc. Questo tipo di inclusione funziona talmente bene, che anche gli studenti che per età e condizione, potrebbero più facilmente sfuggire a certe logiche, ci finiscono dentro alla grande, spesso addirittura rincorrendole.
Ora quale benessere ci può essere in un sistema in cui, dall’educazione alla cura, passando per un’eterna formazione calata dall’alto, tutto si basa sul profitto e la sopraffazione ha permeato ogni ambito dell’esistenza?
Quale benessere ci può essere se ci sono salari da fame, se il controllo, lo sfruttamento, la diseguaglianza sono la norma, se l’ansia e la paura sono instillate, in modo più o meno subliminale, a livello mediatico e social, se diventa sempre più difficile distinguere il vero dal falso e come diceva Debord “nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso”?
Vasi comunicanti
Quel che si vede è un ciclo senza fine, in cui lo sfruttato vuole diventare sfruttatore e chi subisce torti, vessazioni e abusi, riversa le sue nevrosi o psicosi sugli altri, spesso facendo agli altri ciò che gli è stato fatto. Ben alla larga dalla consapevolezza e da un lavoro di integrata conoscenza esperienziale, questo movimento caotico fa gioco a un sistema che riduce al minimo gli spazi di relazione profonda con sé e l’altro e riempie tutti i vuoti con lavoro, cambi di direttive, siti e dispositivi sempre nuovi a cui adeguarsi, attività del tempo libero, pensate su misura per renderci consumatori perfetti, in base all’identikit personalizzato tracciato dagli algoritmi. E spesso la capacità di comprare oltre che essere il primo passo per l’autonomia e la differenziazione, finisce per diventare l’unico modo per appagare, male, tutti gli altri bisogni.
Questi sintomi individuali e collettivi diventano più insopportabili quanto più li riscontriamo in quelle figure e in quegli ambiti che dovrebbero essere preposti all’educazione e alla cura, ma finiscono per educare ad essere funzionali in un sistema che ammala e per non curarsi delle cause profond2.
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