E’ ormai evidente, come ammettono gli stessi analisti borghesi, che i recenti dispositivi politici e finanziari delineati dalla Banca Centrale Europea configurano – di fatto – una sorta di direzione e controllo, da parte del nucleo forte dell’Euro (l’asse franco-tedesco), dell’Azienda/Italia.
Una linea di condotta che si afferma sempre più sull’onda dell’ottovolante delle borse e dell’inasprirsi del corso generale della crisi la quale, come dimostra la vicenda statunitense di queste ultime settimane, non è più circoscrivibile in alcun ambito nazionale ma investe, seppur con indici differenziati, l’intero scacchiere globale.
In tale contesto stanno affiorando, come è già accaduto in altri snodi della recente storia politica del capitalismo tricolore, i puntuali appelli alla responsabilità nazionale, al siamo tutti nella stessa barca e alla concordia interclassista con il chiaro intento di esplicitare e rinsaldare un nuovo patto sociale con al centro l’obiettivo di una nuova gigantesca svalorizzazione della forza lavoro, dei diritti collettivi e del complesso delle condizioni di vita e di lavoro dei ceti sociali popolari.
Tutta la querelle di questi giorni circa la necessità di varare ulteriori manovre economiche imperniate su provvedimenti normativi che mirano allo smantellamento di ciò che residua delle tutele in materia di pensioni, previdenza e sanità è finalizzata – non solo dal governo del Cavaliere ma anche dalla Presidenza della Repubblica, da Confindustria e dall’insieme dei poteri forti – ad imporre, approfittando dell’esecrazione di queste ore, una nuova torchiatura al complesso del mondo del lavoro e della società.
Come interpretare – altrimenti – le dichiarazioni del Ministro Sacconi, a proposito del prossimo varo della nuova Carta dei Lavori che, a suo dire, dovrebbe completare il disegno di Marco Biagi, se non come il volgare tentativo di sfruttare il clima politico generale e la sensazione di disorientamento che gli effetti della crisi provocano per meglio capitalizzare i propri desiderata antisociali?
E come interpretare la crescente enfasi circa la funzione delle parti sociali le quali stanno assumendo, salve qualche formale e stanco distinguo da parte della Cgil, un ruolo di autentici complici nella nuova mattanza antiproletaria che sta prendendo forma e sostanza in queste ore?
Di fronte al delinearsi di un simile scenario occorre da parte di quanti, a vario titolo, animano il dissenso, il conflitto e l’ostilità verso gli interessi delle banche, degli speculatori e del capitale, affermare – con coraggio e la determinazione necessaria alla bisogna – che non c’è niente su cui si può collaborare e che dentro le dinamiche della crisi e dei rapporti sociali gli interessi dei lavoratori, dei precari, degli immigrati e degli studenti sono inconciliabili con quelli delle classi dominati.
Mai come ora non solo la prospettiva storica e futura ma l’immediata vita quotidiana registra la profonda divaricazione e polarizzazione tra gli interessi del capitalismo (in ogni sua forma e configurazione) e quelli del moderno proletariato (inteso come un insieme di figure sociali interessate dalle conseguenze delle molteplici modalità con cui si connatura lo sfruttamento non solo sul e del lavoro ma dell’intera vita).
Tali dinamiche non sono di la da venire ma sono già in atto come ci ricorda, materialisticamente ed al di là di ogni feticcio ideologico, il corso della crisi mondiale in Italia, in Europa e in tutto il mondo.
Da qui l’esigenza di riattualizzare e rendere materia viva ed agente dello scontro politico e sindacale le storiche parole d’ordine della migliore tradizione del movimento operaio internazionale le quali, nei momenti in cui il capitale invocava l’union sacrè, hanno saputo interpretare e tradurre in iniziativa politica conseguente l’inconciliabilità pratica tra interessi ed approdi che sono divergenti ed oggettivamente contrapposti tra loro.
Nessun sacrifico e nessuna collaborazione, quindi, verso il capitalismo tricolore, l’Azienda/Italia ed ogni esecutivo governativo (sia esso ancora presieduto da Berlusconi o, peggio ancora, da tecnocrati alla Monti o Draghi) che si farà carico dei rinnovati attacchi al salario, ai diritti, al welfare ed alla libertà di lotta e di organizzazione.
Nessun sacrificio e nessuna collaborazione nei confronti di istituzioni, stati e governi i quali dovessero fare appello alla tregua sociale per meglio difendere l’economia nazionale, anche, eventualmente, in un quadro di accresciuta competizione globale, verso cosiddette ingerenze di capitali stranieri.
In tal senso i già annunciati appuntamenti di discussione del prossimo 10 Settembre e del 1 Ottobre, a Roma, assumono, ben oltre l’arco di forze e le specifiche motivazioni con cui sono indetti, un importanza vera per connettere tra loro i fili di una battaglia sociale la quale – ora come non mai – deve urgentemente incaricarsi di un profilo programmatico in grado di praticare forme di mobilitazione che alludano concretamente ad una autentica rottura con le compatibilità politiche ed economiche capitalistiche.
* Rete dei Comunisti
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