Con il voto decisivo del giudice più longevo, Celso de Mello, da 20 anni ormai componente dell’alta corte su designazione dell’ex presidente José Sarney, il Supremo tribunale federale (Stf) del Brasile ha deciso di riaprire il processo a 12 delle 25 personalità di spicco della vita politica e imprenditoriale del paese condannate per il più grave scandalo per corruzione della storia recente del paese sudamericano.
La corte ha accertato l’esistenza di uno schema di tangenti – denominato ‘mensalão’ (inteso come salario, mazzatta) – pari a svariate migliaia di euro che venivano pagate ai congressisti della coalizione di maggioranza di centrosinistra in cambio del loro voto a disegni di legge del governo durante il primo mandato di Lula (2003-2006), ex presidente del Partito dei lavoratori. Dopo aver inflitto condanne per un totale di 250 anni di carcere, con sei voti contro cinque – decisivo quello di de Mello – il Stf ha poi però accettato di ripetere parzialmente il procedimento. Una decisione possibile sulla base di un’antica norma che stabilisce che chiunque abbia ricevuto almeno 4 voti (su 11) da parte dei magistrati dell’alta corte contro la sua condanna può presentare appello contro la sentenza. Gli avvocati difensori puntano ora a un alleggerimento delle pene a carico dei loro clienti per fare almeno in modo che possano scontarle in regime di semi-libertà.
A beneficiare della decisione del Stf sarà, in particolare, il potente ex capo di gabinetto José Dirceu, un tempo braccio destro di Lula, già condannato a dieci anni e dieci mesi per corruzione e associazione a delinquere e ritenuto “la mente” dell’operazione. Con lui figurano, tra gli altri, anche l’ex tesoriere del Pt Delúbio Soares e l’ex presidente della Camera João Paulo Cunha.
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