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Da Rosarno diparte la lotta

Giornata di freddo intenso al Sud. Piana di Gioia Tauro, San Ferdinando. «Un grande campo di agrumeti – racconta Alessia Candito su Liberazione – macchiato dagli scheletri dei capannoni industriali, realizzati per accaparrarsi  i finanziamenti regionali e mai utilizzati». Erano circa in 200 fra migranti, portuali, ambientalisti, esponenti di forze politiche come Rifondazione Comunista, di associazioni come Sos Rosarno, San Ferdinando in Movimento, Africalabria, Csoa Cartella a realizzare una occupazione simbolica delle terre, come avveniva oltre 60 anni fa. «Come Prc appoggiamo ogni lotta di lavoratori e disoccupati, italiani e migranti, che insieme si oppongono alla crisi e alla manovra finanziaria – ha dichiarato in sostegno alla mobilitazione Paolo Ferrero  -Non dimentichiamo Rosarno, lottiamo insieme per abolire la Bossi Fini e la Legge 30: su la testa».

Secondo i piani della Regione in quel terreno dovrebbe sorgere un rigassificatore che inibirebbe di fatto lo sviluppo della portualisitca e avvelenerebbe la terra e gli agrumeti. Da questo territorio potrebbe nascere ben altro: se si passasse dalla monocultura industriale, in mano alla grande distribuzione, a una produzione diversificata e legata alle esigenze locali la situazione potrebbe migliorare sia per i piccoli proprietari terrieri che per i braccianti.

Loro, i dannati della terra del terzo millennio, sono l’ultimo anello della catena di sfruttamento che coinvolge tutto il Meridione. 7 gennaio 2012, a due anni esatti dalla giusta rivolta di Rosarno, giorni che non sono andati dimenticati e che hanno sedimentato. Sì è vero, la vita dei braccianti non è certo migliorata. Si guadagnano 25 euro al giorno per 12 ore di lavoro e non ci sono più gli agglomerati fatiscenti in cui si dormiva insieme. Si vive in casolari diroccati, la concorrenza al ribasso fra lavoratori africani e dell’est europeo pesa sempre di più, l’assenza di un contratto regolare mette sotto ricatto i lavoratori, grazie alla mannaia contenuta nella Bossi – Fini e le sue successive modifiche. Il bisogno di un contratto, spesso non corrispondente alle mansioni svolte.

«Si realizza un vero e proprio dumping sociale -afferma Peppe Marra, del Csoa Cartella – creando ulteriori barriere anche con i lavoratori italiani». Due anni fa la giusta rivolta di Rosarno dei lavoratori africani, stanchi di angherie, minacce e sfruttamento. Giorni di tensione e di paura, con un ministro dell’interno che ebbe il coraggio di affermare quanto il pericolo fosse rappresentato dall’emergenza immigrati. Avevano alzato la testa e questo per i padani non è permesso. Molti scapparono e si dispersero per il Meridione, altri, di fatto deportati,  vennero a Roma e dopo notti passate a dormire all’addiaccio furono ospitati in alcuni centri sociali (quelli che gli Alemanno e i Gasparri vorrebbero chiudere). Supportati da un frastagliato movimento antirazzista, hanno sostenuto una vertenza che ha permesso loro di ottenere permessi di soggiorno temporanei. Nacque anche un vero e proprio soggetto l’Assemblea dei Lavoratori  Africani di Rosarno. (ALAR).

Ma il cambiamento che si è cominciato a respirare è nelle coscienze dei lavoratori. Rosarno ha costruito aggregazione e rivendicazione di dignità, altri esempi sono seguiti. Significativo lo sciopero delle rotonde a Castel Volturno, in terra di camorra, dove in tanti hanno scelto di non lavorare per meno di 50 euro esponendosi con i loro corpi al rischio di un potere criminale micidiale. La grande storia di Nardò, dove, con il supporto delle Brigate di Solidarietà Attiva, si è raggiunto un punto alto nella lotta contro l’infame pratica del caporalato, le iniziative “Ingaggiami contro il lavoro nero” che hanno coinvolto vaste zone del Meridione, sono segnali di un contesto in mutazione che potrebbe produrre effetti conflittuali positivi sia nelle sue dinamiche di auto organizzazione, sia ancora in una ricomposizione di classe che veda protagonisti tanto le forze politiche della sinistra di alternativa, i movimenti antirazzisti e i sindacati. E ci aspettano giorni di mobilitazione: chi non è andato in Calabria si è prodigato in iniziative di territorio.

A Roma decine di lavoratori italiani e immigrati hanno portato nella Capitale la voce dei nuovi “dannati della terra”. Prima al Colosseo e poi a Piazza di Spagna sono stati srotolati due striscioni che dicevano “Rosarno, Italia 7 gennaio 2010 – 7 gennaio 2012. La Lotta Continua”e “Come Spartaco spezziamo le catene”. A Piazza di Spagna, tra le vie dello shopping, tra i negozi dove lavorano in nero centinaia di persone e dove viene venduto il “made in Italy” macchiato dalla sfruttamento,  si è volantinato per dire che la crisi riguarda tutti e che solo insieme, lavoratori italiani e  immigrati, hanno gli strumenti per affrontarla. La scelta del Colosseo aveva poi un forte valore simbolico, il richiamo ad un’altra arena quella da cui ebbe inizio la rivolta di Spartaco.

Secondo gli organizzatori, difficile non condividere: «Questa non è Rosarno, è l’Italia.  il sistema agroindustriale, voluto dalla UE e dalle organizzazioni padronali. È il capitalismo nelle campagne, la filiera tutta italiana dello sfruttamento, che porta il Made in Italy sugli scaffali del mondo e garantisce i profitti a Auchan, Carrefour, Esselunga e Coop. Manifestazioni simili si sono svolte in contemporanea a Milano, Firenze, Potenza. Le iniziative continueranno fino al 21 gennaio, venerdì 13 l’appuntamento per il diritto di soggiorno e contro lo sfruttamento, per la sovranità alimentare e la difesa dell’agricoltura contadina, è a Roma, dalle 14 in Piazza Esquilino, il giorno dopo, sempre a Roma, su una piattaforma più estesa, da P.zza della Repubblica partirà un corteo antirazzista indetto dal coordinamento Stoprazzismo.

 

da controlacrisi.org

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